L’approvazione alla Camera del divorzio breve non poteva non trovare su Repubblica l’adeguato commento di Michela Marzano, e chiunque abbia avuto modo di valutare le sue attitudini speculative non si è meravigliato né dello stile né dei contenuti (clicca qui). Ma la lettura merita comunque attenzione perché vi si trova rappresentato perfettamente il vuoto di pensiero che domina la vita pubblica, entra nella vita privata, e si manifesta puntualmente nei discorsi che provengono dalle più alte cariche sia dello Stato che della Chiesa cattolica.
di Patrizia Fermani
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Si tratta di affermazioni che denunciano ancora una volta quella incapacità generalizzata di pensare in termini generali ed astratti, l’incapacità di leggere il senso oggettivo delle cose, ricercare i criteri di valore, il significato e la funzione dell’istituzione, come il significato generale di un comportamento particolare. E tutto ciò, per chi viene qualificata e si auto-qualifica come filosofa, non è cosa di poco conto.
E l’interesse offerto da quella lettura sta appunto nel fatto di rispecchiare il modo ormai diffuso di guardare la realtà attraverso una lente che, mentre ingigantisce il particolare, rende del tutto incomprensibile l’insieme, ovvero proprio il suo aspetto reale e il suo significato ultimo. Quella incapacità di comprendere che l’uomo non può sottrarsi alla scelta morale senza relegarsi nell’indistinto biologico animale e riservare il caos per sé e per i propri simili. L’incapacità di vedere il significato generale del comportamento particolare, di comprendere che la vita collettiva comporta una assunzione di responsabilità. Quasi che non si dovesse più applicare alle questioni etiche neppure il principio che guida la raccolta differenziata e per il quale si richiede lo sforzo individuale in vista dell’utile generale.
Poco male, infatti, se da carenze logiche e gnoseologiche e da presupposti fallaci non venissero tratti criteri di giudizio falsi e proposte operative devastanti per tutti. Se tutto un modo di non pensare non comportasse l’indifferentismo morale e la imposizione per legge di tutto un repertorio buono solo per la autodistruzione collettiva.
Il pensiero corrente non ha neppure la pretesa, in fondo tragica e disperata, del nichilismo puro. Non c’è quel rifiuto totale dei criteri di valutazione di uno scetticismo che in genere tradisce la fame insoddisfatta di verità, lo sconforto di una sconfitta della ragione sopraffatta dal pessimismo o dalla stanchezza della disillusione. I criteri di valutazione ci sono, ma sono tratti dal particolare, presi ad unità di misura, ed estesi all’essenza stessa di una realtà. Cioè si prende ad unità di misura l’oggetto stesso che deve essere misurato. Vedo una sedia Luigi XVI e deduco che sia l’ideale per arredare un autobus. Così come l’architetto di fama progetta chiese che non sono chiese, perchè non ha il concetto di chiesa e il criterio estetico e pratico adottato arbitrariamente corrisponde alla propria incomprensione del sacro o a quella imposta da una nuova teologia dissacrante.
Alla base di questi procedimenti di cui in ogni campo vediamo le conseguenze, c’è spesso molto banalmente un deficit culturale, il disimpegno intellettuale, l’insensibilità morale, o, non ultimo, il brutale automatismo ideologico.
Questo stravolgimento dei canoni del ragionamento logico emerge in modo disarmante con riferimento al diritto di cui, ignorata la essenza, messa da parte la funzione, abusata la terminologia, vengono utilizzati arbitrariamente gli strumenti, vera e micidiale arma impropria al servizio di ogni nuova follia.
Dunque il nichilismo con cui abbiamo a che fare oggi non nega affatto la esistenza di criteri di valutazione, ma li prende nel calderone di ciò che è più indeterminato e soggettivo, cioè da ciò che non può essere per natura sua un valido metro di giudizio. Il risultato è naturalmente la perdita generalizzata del senso delle cose e la dissoluzione delle strutture etiche della società, che non riesce più ad orientare i propri comportamenti se non in modo disarticolato e alla fine autodistruttivo.
Così viene il plauso della Marzano a quei quasi quattrocento deputati incapaci, per natura o per cultura, di elaborare un pensiero all’altezza del tema trattato che, votando allegramente il divorzio breve, hanno votato in realtà il matrimonio a tempo indeterminato salvo risoluzione del contratto previa disdetta con un termine di preavviso non inferiore a sei mesi.
La signora ci spiega finalmente come il divorzio sancisca il venir meno del presupposto primo della validità del matrimonio, che è l’amore. Così apprendiamo che tra le condizioni di validità del matrimonio (oltre ai requisiti di capacità personale e alla mancanza di impedimenti legati al sesso, al rapporto di parentela o il legame di precedente matrimonio valido; tutti peraltro, quale più quale meno, in odore di essere superati dallo spirito del tempo) c’è sicuramente l’amore.
Non è il caso di soffermarsi sulle acute osservazioni di cui è corredata la tesi di fondo che ben rappresenta il pensiero forte di Repubblica e che si può sintetizzare così: “Finito l’amore, che senso ha continuare questa commedia?” Ovviamente non è elegante tirare in ballo i figli, che come tutti sanno oggi sono un inconveniente marginale.
Ma alla signora sfugge del tutto che la promessa reciproca non esaurisce in sè la propria ragione d’essere come uno scambio commerciale qualunque, perchè è in funzione di una entità superiore ai singoli e anche ai sentimenti che li legano reciprocamente. Ma sfugge anche del tutto che l’amore può essere un ottimo ingrediente e può continuare ad esserlo, come è stato per secoli, e tuttavia esso mantiene tutta la propria forza decisiva e il proprio senso se si trasforma sin dall’inizio nell’amore coniugale. Purché, a partire dal matrimonio, si ponga su un piano più alto e significativo, quello del sodalizio, del dono reciproco incondizionato come base propizia per affrontare il peso di una responsabilità che è privata e pubblica allo stesso tempo. Nella fucina in cui si formano quelli che verranno, l’amore non può prescindere dalla volontà e dal superamento di sè, dalla gratuità e dalla generosità, dalla compassione, che è la forma più nobile di partecipare in modo gioioso o dolente alla comune umanità.
La solennità del rito, la specialità delle tutele giuridiche, hanno sempre dimostrato quanto fosse chiaro ad uomini capaci di guardare oltre il proprio asfittico ego quello spazio più ampio in cui i moti, gli istinti, le passioni, le inclinazioni vengono sublimate in un orizzonte di più profondo sentire, rispondendo ad una vocazione più grande di quella segnata dalla natura. Idea questa espressa magnificamente con tutta la forza di pensiero che sta nella vera poesia, dai versi di Foscolo “Dal dì che nozze e tribunali ed are diero alle umane belve esser pietose di se stesse e d’altrui…”.
La qualità tutta sublimata dell’amore coniugale era chiarissima fin dai tempi più remoti e fu già cantata da Omero e più tardi dalla tragedia .
Ma ci sono anche quei versi bellissimi dell’Otello che scopre la profondità più dolente e salvifica dell’amore, là dove esso si allarga ad abbracciare il destino e il dolore, e si offre come forza di salvezza e di consolazione perpetua. L’amore coniugale quale forza spirituale con cui affrontare il destino: “ella mi amava per la mia ventura ed io l’amavo per la sua pietà”, verso che il genio di Verdi rivestirà di una melodia commossa e struggente.
Non bisogna pretendere che a Marzano o a Natalia Aspesi come a tutta l’equipe di Vanity Fair questi versi non facciano magari l’effetto di una riduzione dell’amore ad impegno assistenziale. Ma è proprio questo il punto. Stiamo parlando di una involuzione che è perdita di sapienza oltreché offuscamento dello orizzonte morale. Del venire meno del senso della vita e del coraggio di affrontarla con la invocata dignità che non si identifica nella possibilità di eludere il male e le difficoltà, ma nella forza di affrontarli.
Quello che vede la vispa Michela è un uomo piccolo imprigionato da impulsi sui quali egli non si prende la briga di applicare le risorse della ragione, anzi nei quali egli si compiace di rimanere chiuso tra le cianfrusaglie del piccolo cabotaggio ideologico, senza tentare la conquista di un punto di vista più elevato da cui dominare un più ampio orizzonte.
Del resto l’esempio di ottusità intellettuale prima che morale arriva, come dicevamo in apertura, dai vertici stessi dello Stato, se consideriamo la pervicacia con cui Napolitano insiste per costringere l’intero popolo ad una visione di morte programmata (clicca qui)
E sarebbe proprio il caso di avvertire costoro, fabbricatori insieme a tanti altri di una società alienata e pericolosa, che “ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne conosca la vostra filosofia”.
13 commenti su “Divorzio breve. La sconfitta della ragione – di Patrizia Fermani”
Purtroppo a questi livelli di cultura, sensibilita’ e codici etic0-religiosi la nostra societa’ non e’ piu’ abituata. Si preferisce il giornaliero girovagare di notizie fatue e passeggere.
La cultura predominante si serve di stereotipi dell’idea dell’amore che hanno una taratura modesta elaborata per manipolare la gente.
Condivido, da uomo sposato e padre di famiglia, questo articolo, che sembra rispolverare e far rivivere i grandi valori dell’uomo che coniuga attorno all’amore la sua stessa essenza umana e spirituale.
Non un amore nato e poi finito, ma l’anima stessa dell’uomo e la sua intelligenza che lo guida nei turbinii della vita e della passione, per proteggere quello che e’ il grande dono divino dell’ Amore fra un uomo e una donna, consacrato nel matrimonio.
Una cosa non ho mai capito, forse qualcuno potrebbe gentilmente chiarirmelo: per i Cattolici l’unico matrimonio è quello in Chiesa. Due persone sposate solo per la Legge in realtà NON sono sposate. E’ come se convivessero. Ma allora perché il divorzio, che come è giusto che sia è unicamente civile, è osteggiato? Quelle persone non sono comunque sposate. Che firmino atti in un Municipio o in un Tribunale non cambia una virgola questo fatto. La stessa cosa vale per una coppia sposata in Chiesa: anche nel caso divorzino, non fanno null’altro che interrompere qualcosa che non vale niente, anzi, che non esiste. Quella coppia resta comunque sposata… o no?
come dice Foscolo l’uomo ha manifestato in certe istituzioni l’esigenza della propria civilizzazione. L’indissolubiltà del matrimonio è stata riconosciuta anche dallo Stato in ragione della importanza, per il singolo come per l’intera società, di famiglie stabili in cui chi si affaccia inerme all’esistenza può trovare sicurezza e esempi di vita buona e all’occorrenza anche di capacità di sacrificio. Il divorzio senza ostacoli ora distrugge lo stesso istituto matrimoniale che dovrebbe stare a cuore proprio allo Stato prima ancora che alla Chiesa. Non è questione che si esaurisce nella sfera degli interessi privati. E dalla libertà della libertà è più facile essere travolti. Tutti.
Però nel corso della Storia nessun Matrimonio è mai stato indissolubile… Egitto, Grecia, Roma, Islam, Cina, civiltà Precolombiane… in tutte queste civiltà esistette il divorzio. L’unico Matrimonio indissolubile è appunto quello Cattolico.
Teniamo anche conto che in questo momento sul pianeta l’unico stato nel quale non sia previsto il divorzio risulta essere la Città del Vaticano. Fra parentesi è anche l’unico luogo dove ci sono unicamente uomini non sposati. Mi chiedo sinceramente come un non cattolico non sposato cattolicamente possa essere d’accordo a seguire delle regole che sono unicamente cattoliche…
Qui Federico non si tratta di regole,si tratta di buon senso e di valori che sono scritti nel cuore di ogni uomo.Poi si possono chiamare “civiltà” ,popoli in cui era normale sacrificare anche 20.000 persone in una sola giornata per ingraziarsi questo o quell’altro dio? Oppure come nella Roma pre cristiana si gettavano i figli non voluti dalla rupe Tarpea,perchè privi di qualsiasi valore ?
II cristianesimo è stato invece il più grande motore di civiltà,ha dato forma a queste esigenze, ha dato risposte che per secoli l’uomo aveva solo intuito.Ha fatto capire all’uomo il suo immenso valore,l’importanza del dono della vita,il valore di un figlio,l’importanza di un malato (sono nati gli ospedali) ,l’importanza dell’istruzione (sono nate le università) e si potrebbe continuare all’infinito elencando le opere che la carità cristiana ha donato al mondo.
Il valore della fedeltà coniugale e dell’indissolubiltà del matrimonio non è una vuota regola cristiana,ma l’unica via possibile per garantire la realizazione autentica della vocazione dell’uomo e della donna, e lo sviluppo di una società sana e veramente libera.
Come dicevo prima, è una questione di ragione….come può reggersi e progredire una società se le sue fondamenta poggiano sull’instabilità?
Il fatto che nel tempo siano esistite forme di “separazione”(ripudio) ,non le qualifica come comportamenti giusti.
Il fatto che esista la poligamia ,non la rende automaticamente e moralmente accettabile.
Il fatto che ci sia l’aborto ,non lo rende giusto.
Il fatto che esista il divorzio non lo qualifica come un bene.
Ma infatti divorziare non è un bene, come non lo sono l’aborto, i sacrifici umani ed il ripudio: quello che metto in dubbio è che il matrimonio indissolubile sia un valore scritto nel cuore di ogni uomo, visto che, come tutti noi sappiamo, non è mai esistito da nessuna parte ed in nessuna epoca tranne che nel cattolicesimo. Come valore comune a tutti e di buon senso mi sembra singolarmente poco diffuso, se mi permettete… e questo, a mio parere, lo rende difficilmente accettabile a chi cattolico non è.
Tutto questo senza voler polemizzare con nessuno, solo con volontà di discussione 🙂
Se può servirle, Federico, la invito a leggere l’articolo di Francesco Agnoli su Lanuovabq del 23 maggio “Famiglia e divorzi…” (scusi se non metto il link, e poi è tardi). Il matrimonio indissolubile è anche un valore scritto nel cuore dell’uomo; se nelle civiltà è stato poco praticato, beh sappiamo il perché. Non per nulla Gesù ha detto: per la durezza del vostro cuore Mosè ha permesso il ripudio, ma in principio non era così.
Cara Claudia… non è che il Matrimonio indissolubile sia stato poco praticato, nel corso della storia… non è stato praticato MAI. 🙂
Poi ognuno ovviamente ha le proprie idee, ci mancherebbe, ed è liberissimo di pensare che il Matrimonio indissolubile sia GIUSTO. Nonostante questo non mi sembra molto sensato dire a qualcuno favorevole al divorzio “Tu nel tuo cuore sei favorevole al matrimonio indissolubile, anche se non te ne accorgi e sei convintissimo del contrario. Non importa che io non abbia nessun altro esempio da darti in tutta la storia dell’umanità oltre alla convinzione della mia religione… fidati.”
Federico,per un momento lasciamo da parte il cristinanesimo.Le faccio una domanda: non la sembra forse folle voler iniziare un relazione,che richiede impegno reciproco,con una persona che le dice fin da subito che sarà un rapporto a tempo determinato? A me sembra sinceramente una pazzia…Come si affronterebbero le difficoltà in un rapporto così impostato?
Come verrebbero educati i figli?Si predica la stabilità sul lavoro e il contratto a tempo indeterminato,e poi per le nostre relazioni,per le nostre famiglie,per i nostri figli, ci accontentiamo di esperienze passeggere che non impegnino più del necessario?
Mi dispiace ma l’uomo ha bisogno d’altro…è una questione di ragione.
Ogni nostra scelta deve essere orientata verso un fine ultimo e ogni nostro comportamento assume un impotanza diversa in vista di quel fine.
“Le faccio una domanda: non la sembra forse folle voler iniziare un relazione,che richiede impegno reciproco,con una persona che le dice fin da subito che sarà un rapporto a tempo determinato? A me sembra sinceramente una pazzia…Come si affronterebbero le difficoltà in un rapporto così impostato?”
Ma certo che è una follia! E oltre che una follia, è una cosa triste e deprimente… io non potrei mai cominciare un rapporto con queste premesse.
Il problema (almeno per la maggior parte del mondo) non è all’inizio della relazione… è alla fine. Che bisogna fare quando purtroppo l’amore finisce? Perché capita, eh. Magari due persone hanno sbagliato a sposarsi. Magari una picchia l’altra. Magari semplicemente viene fuori che, vivendo insieme, non ci si sopporta.
Cosa si possa fare in questo caso secondo il Cristianesimo, noi tutti lo sappiamo.
Cosa si possa fare in questo caso, secondo tutti gli altri, è proseguire ognuno per la propria strada.
Il mio non è un giudizio di merito, ci mancherebbe… anche perché personalmente sono un romantico e tendo al grande amore… 🙂 Ma ritengo che sia fuorviante utilizzare l’argomento “valori scritti nel cuore di ogni uomo” perché, insomma… sappiamo tutti che non è vero! Il matrimonio indissolubile è un grande valore cristiano, e così dovrebbe essere propagandato.
Almeno, sempre a mio parere 🙂
Condivido quello che scrive Leopoldo,questa società ha un’idea distorta di cosa sia l’amore.
Nei vangeli l’amore , viene indicato con il termie Agape,ma la nostra società delle emozioni sensibili,materialista,che ha smesso di guardare alle cose del cielo,per volgere lo sguardo ai limitati orizzonti di questo mondo,lo identifica con le sole passioni.L’amore che nel
progetto di Dio unisce l’uomo alla donna,non è un generico sentimento volto a soddisfare i soli istinti carnali e passionali
,ma è un amore che coinvolge tutta la sfera delle sensibilità e delle virtù di cui è capace l’uomo con l’aiuto del suo
Creatore.Richiede dedizione,sacrificio,comprensione,silenzio,pazienza.Tutti aspetti che la nostra società ha sacrificato
(assieme alla spiritualità) ,sull’altare dell’egoismo e dell’autodeterminazione.Se si perde di vista la meta,il punto di arrivo a
cui siamo chiamati,ogni tipo di sofferenza,ogni tipo di sforzo che dobbiamo compiere per manterci in piedi,per costruire
legami solidi e duraturi,per educare dei figli,perde di significato e si sceglie facilmente la via apparentemente più comoda.
Via resa ancor più “comoda”da provvedimenti distruttivi come questo del divorzio breve.
Queste leggi non alleviano il dramma di chi è coinvolto,dei figli che lo subiscono,ma amplificano il problema
,creando individui incapaci di assumersi ogni tipo di responsabilità.
Inutile comunque parlare in questi termini con chi ha smesso di adoperare la ragione.
Della malattia si dovrebbe cercare la causa,non limitarsi a “curare” il sintomo.
La causa è l’allontanamento da Dio.
Condivido l’ottima argomentazione dell’Autrice. Mi permetto però di dissentire garbatamente sull’utilizzo, a sostegno della propria tesi, di Foscolo, grande poeta ma pessimo ideologo, angustamente illuminista e incompatibile, se non per accidens, con il vero realismo classico e cristiano. Le parole del bel verso citato derivano in realtà dalla filosofia di Vico, orecchiata dal poeta e poi collocata in un contesto del tutto alieno dalla Weltanschauung cattolica del Napoletano.
E’ verissimo quanto Lei dice. Ma la poesia come sappiamo ha una forza evocatrice che si libera al di là dei limiti umani, morali o culturali del poeta. quel verso esprime in modo incisivo il significato della istituzione che noi andiamo perdendo perché sopraffatti dal nostro particulare. E a mio avviso lo esprime con grande efficacia, indipendentemente dalla ” filosofia” foscoliana.