Non possiamo non esserci perché, a trentasei anni dall’approvazione della legge 194, dopo quasi sei milioni di aborti, è ormai evidente che la strada da fare per risalire la china è quella della mobilitazione personale. Abbiamo atteso per trentasei anni che qualcosa cambiasse, sperando nell’ intervento della politica ad opera di illuminati esponenti pro vita, nelle iniziative ufficiali del Movimento per la vita, nella mobilitazione dei cattolici e nei richiami di Pastori coraggiosi.
di Marisa Orecchia
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La realtà dell’aborto procurato ha permeato in questi anni ogni ganglio della società, ogni ambito della cultura, in una scala di principi capovolti, nella quale il delitto- come afferma Giovanni Paolo II nell’ Evangelium vitae – è chiamato diritto.
Come sperare oggi che possa liberarci dalla legge assassina la politica vana e malata di una democrazia vuota per aver perso ogni aggancio con la legge morale e la ragione stessa, e nella quale”l’assunzione del bene comune come fine e criterio regolativo della vita politica” (Evangelium vitae,n.70) è stato spazzata via dal più sfrenato relativismo etico connotato da profonde pulsioni thanatofile?
Qualunque politico serio e responsabile del bene comune non avrebbe esitato a por mano a una revisione, quanto meno a una rivisitazione della legge 194, dopo ben trentasei anni di vigenza, alla luce di quanto annualmente è messo in rilievo dalle relazioni al Parlamento sul fenomeno aborto nel nostro Paese, anche in rapporto alle gravissime crisi demografica ed economica conseguenti la caduta etica e antropologica causata dalla legalizzazione dell’aborto.
Nulla di tutto ciò. Solo sporadiche prese di posizione su elementi più o meno marginali, limitate a questioni procedurali, da parte di certi portavoce del mondo cattolico non sempre credibili a causa di posizioni passate mai sconfessate, o da parte di quanti ritengono la 194, tutto sommato, una buona legge da applicarsi in toto.
Ad oggi la legge 194 rimane purtroppo l’intoccabile Minotauro cui sacrificare ogni anno un congruo numero di giovani vite.
E possiamo forse attendere l’intervento dell’Europa per dire basta alla strage dell’aborto? Questa Europa che è stata la madre della cultura occidentale, che ha generato il luminoso medioevo delle arti, delle lettere, delle Università, delle Cattedrali, degli Ospedali, frutto della ferma e irrinunciabile consapevolezza della trascendente dignità di ogni persona, oggi nega se stessa assieme alle sue radici. A colpi di sentenze e di sanzioni diffonde dai suoi palazzi iniziatici un neognosticsmo omosessualista che ha come unica matrice l’odio per la natura dell’uomo e per il suo Creatore.
No, neppure da questa Europa potrà venirci una parola di speranza, con buona pace di quanti hanno riposto tanta fiducia e tanti mezzi nell’operazione Uno Di Noi per tentare di arginare almeno l’uso degli embrioni umani come cavie da laboratorio.
E allora mettiamoci in marcia, per dire, di persona, che adesso basta. Mettiamoci in marcia nella gioia del ritrovarci e di leggere negli occhi dell’altro il nostro stesso desiderio di vita, di verità.
Se è vero, come è vero, che la verità è feconda, che il bene è diffusivo, sempre più altri saranno contagiati dallo stesso desiderio, dalla stessa verità. Non è, questa, ingenua illusione, ma certa speranza nella vita e nella verità che, ne siamo certi, riusciranno a rimuovere il cupo sudario di morte che oggi tutto ricopre, come nella mattina radiosa il sole scaccia le nebbie della notte.