Di P.Giovanni Cavalcoli,OP
Da alcuni anni nel mondo cattolico e nello stesso linguaggio della Chiesa si è diffuso l’uso di un termine spregiativo che trae origine da una setta del mondo protestante, ma che nelle intenzioni degli aderenti a tale setta, dovrebbe avere un significato positivo. “Fondamentalismo” infatti viene da “fondamentale”. E di fatti scopo sella setta è quello di stabilire ciò che nel cristianesimo è “fondamentale”, il che si ricaverebbe dal fondamento biblico. Fin qui nulla da eccepire. Senonchè poi tale fondamentalità, per questa setta, sarebbe data da un testo biblico interpretato ingenuamente, in modo arretrato, senza valersi della moderna esegesi storico-critica.
Così per esempio quando Gesù dice che se l’occhio scandalizza, bisogna toglierlo, o il Genesi dice che il mondo fu creato in sei giorni, o che esistono le acque al di sopra dei cieli, le parole vengono intese alla lettera.
“Fondamentalismo”, quindi, è diventato sinonimo di esegesi grossolana, superata ed ingenua, la quale finisce per assolutizzare o irrigidire detti, forme o figure della Bibbia, che vanno invece posti in relazione coi tempi o la particolare cultura dell’agiografo o interpretati secondo le esigenze dei generi letterari o delle moderne scoperte filologiche o archeologiche. E’ chiaro allora che in tal senso il fondamentalismo è un difetto nell’interpretazione della Bibbia e del cristianesimo. In tal senso parla di fondamentalismo anche il documento della Commissione Biblica del 1992 dedicato all’aggiornamento dei metodi dell’esegesi cattolica.
In tal senso si parla anche di “fondamentalismo islamico”. In tal modo il Magistero della Chiesa, ripreso da diverse parti, come per esempio i documenti degli ultimi capitoli generali dell’Ordine dei Frati Predicatori, condanna il fondamentalismo come mentalità creatrice di false sicurezze, tali da ingenerare nella condotta di chi le accoglie atteggiamenti aggressivi ed intransigenti nei confronti di coloro che non condividono la sua impostazione.
Ma questo termine è diventato anche un’arma nelle mani dei modernisti e dei relativisti, i quali, refrattari come sono all’intangibilità ed all’immutabilità del dogma cattolico, considerano “fondamentalismo” la certezza e la fermezza con la quale il cattolico fedele al Magistero aderisce alla dottrina della fede e la difende senza esitazione, senza compromessi e senza sconti. In tal modo il termine è diventato ambiguo e per conoscerne il significato, occorre verificare da chi è usato.
Negli insegnamenti del Magistero tale significato è senz’altro da prendersi in considerazione, perché vi si denuncia una forma di conservatorismo retrivo o di tradizionalismo superato o di ingiustificata rigidezza o un irrazionale fanatismo nel sostenere opinioni discutibili o addirittura concezioni errate. Si pensi per esempio alla vecchia concezione della soggezione della donna all’uomo o del popolo ebraico come popolo maledetto o delle altre religioni come manifestazioni sataniche o della religione cattolica come religione di Stato o della democrazia come sistema anarchico e via dicendo.
Viceversa, in bocca ai modernisti l’accusa di fondamentalismo va solamente ad onore di coloro che sono oggetto di tale accusa, perché costoro non sono altro che i cattolici fedeli alla Chiesa non solo nel suo aspetto tradizionale, ma anche nella forma che essa ha assunto nel postconcilio. Il cattolico accusato di fondamentalismo dai modernisti, che non si peritano di lanciare tale accusa persino al Papa e allo stesso Magistero della Chiesa, non ha che da compiacersi in quella “perfetta letizia”, della quale parla S.Giacomo, quando si viene insultati per il nome di Cristo.
Per i modernisti la preoccupazione di determinare con esattezza e precisione i contenuti della fede e l’identità cattolica, ufficio, questo, che è proprio di ogni buon cristiano e soprattutto del Magistero della Chiesa, è “fondamentalismo”, e si sostiene questa grave falsità magari col pretesto del “primato della carità”. Ma questo è un modo disonesto per sfuggire alle rigorose esigenze della verità e per poter giocare sull’equivoco o è segno di una mentalità relativistica, la quale dimentica che la carità non è che la messa in pratica della verità. Separata dalla verità, la carità va soggetta a tutti gli equivoci possibili ed immaginabili.
E’ questa la posizione del Padre Gerardo Luigi Cardaropoli, il quale, nel suo libro “Vaticano II – l’evento, i documenti, le interpretazioni, EDB, Bologna 2002, così si esprime: “Quando a partire della fede si fa strada la pretesa di sapere che cosa Dio vuole, si finisce per innescare processi di fondamentalismo”(p.118).
Il fondamentalismo, per Cardaropoli, è la “pretesa” di sapere che cosa Dio vuole in base alla fede. Allora, vorrei chiedere all’illustre teologo francescano, in base a che cosa il cristiano sa qual è la volontà di Dio? L’Autore non lo dice ed è chiaro il perché, perché se lo dicesse, sbaglierebbe. Infatti è precisamente la fede che ci dice che cosa Dio vuole. Egli poi conclude questo discorso stolto con un’altra stoltezza; infatti dall’errore non può che nascere l’errore, e dice: “ciò che caratterizza i cristiani non è la fede, ma la carità”.
Ma io vorrei domandare a Cardaropoli: che cosa è una carità senza la fede? Che la carità e non la fede sia la perfezione della vita cristiana, lo concedo; ma non bisogna dimenticare che la carità cristiana è caratterizzata dalla fede cristiana. Parlare di carità a prescindere dalla fede non è cristianesimo, ma impostura. Per questo, la preoccupazione di fondare la carità sulla verità di fede chiaramente definita non è fondamentalismo, ma autentico cristianesimo.
Occorre dunque guardarsi dal fondamentalismo denunciato dalla Chiesa senza dar alcun peso al fondamentalismo del quale parlano i modernisti, per i quali viene ad essere “fondamentalista” lo stesso Magistero della Chiesa con la sua preoccupazione di determinare in modo chiaro ed univoco l’identità cattolica, ovvero i fondamenti inconcussi della dottrina della fede, senza per questo ignorare l’evoluzione dottrinale e la sua relatività ai vari contesti storici, nonché il pluralismo teologico, l’esistenza di interpretazioni opinabili della Sacra Scrittura e di tradizioni che possono aver fatto il loro tempo.
Il rimedio al fondamentalismo denunciato dalla Chiesa è la leale apertura al sano ammodernamento del cattolicesimo promosso dal Concilio Vaticano II e dal postconcilio, il che comporta inscindibilmente il rispetto del vero senso della Tradizione, della quale lo stesso Concilio è esimio testimone, nel momento in cui, con le sue novità dottrinali, ne esplicita le sue inesauribili ricchezze.
Viceversa occorre denunciare con fermezza la torbidezza dell’operazione modernista che vorrebbe far passare per fondamentalista la posizione del cattolico fedele alla Chiesa di sempre, la quale – come disse Paolo VI – conosce e mostra meglio se stessa nei documenti del Concilio e del postconcilio.
Occorre dunque fare molta attenzione al termine “fondamentalismo” e distinguere bene il significato che ne dà la Chiesa da quello che ne danno i modernisti. Nel primo senso il fondamentalismo è l’assolutizzare un relativo, è l’arroccarsi a un passato ormai trascorso ed un’ingiustificata resistenza al nuovo, anche quando viene insegnato dalla Chiesa; nel secondo caso è la diligenza e la cura con le quali il cattolico sotto la guida della Chiesa precisa con chiarezza e certezza la verità di fede. Vedere in ciò un atteggiamento detestabile, come fanno i modernisti, è solo segno della loro confusione mentale e della loro slealtà.