di Piero Vassallo
Il demone di Socrate, lo spirito indiscreto, che accende il combattimento della ragione contro l’istinto e dissuade la volontà dall’obbedire all’impulso carnale, che ad ogni costo esige l’appagamento immediato, è l’ostacolo contro cui Nietzsche ha puntato i fari abbaglianti della religione dionisiaca.
In Socrate, Nietzsche riconobbe l’odiato iniziatore della metafisica quale scienza della repressione e preambolo dell’infelicità, in ultima analisi la fonte dei rimorsi che avevano assillato la sua difficile e tormentata adolescenza.
L’avversione ai comandi del demone socratico derivava dall’allucinata convinzione che la qualunque resistenza all’istinto carnale fosse mortifera e, perciò, spregevole.
Ai suoi occhi, Socrate era colpevole di aver seguito la luce repressiva della ragione calunniando e atrofizzando i salutari impulsi della carne .
Nella sua prima opera d’impianto teoretico, La nascita della tragedia, Nietzsche afferma, infatti, che il dominio sul corpo è l’errore comune a tutti i razionalisti, Socrate in testa.
Da quel punto in avanti l’alluvionale opera di Nietzsche corre a precipizio verso l’estuario, dove la dottrina dei misteri dionisiaci giustifica e propizia il gioioso oscuramento della ragione e l’amaro trionfo dell’estasi orgiastica.
Ora la prima categoria cui Nietzsche fa appello è la volontà della carne in rivolta contro lo spirito: poiché la metafisica nasce dal demone socratico, che dissuade incutendo timore, la liberazione degli impulsi del corpo deve iniziare dalla insurrezione contro la ragione, in quanto strumento della virtù socratica.
Nella luce della rivolta egli contemplava, coerentemente “la ragione nella realtà e non nella ragione”, ove per realtà si deve intendere l’istinto .
Senza dubbio, l’imperativo del demone – conosci te stesso – indica la via regale dell’autodominio, la sola degna dell’uomo fedele al mandato divino.
La passione incontrollata e scomposta, di cui Nietzsche è stato vittima, si giustifica, invece, proclamando che l’obbedienza alla ragione è un atto di viltà.
L’attacco al demone socratico infatti si estende a Platone e al Cristianesimo: “Platone è un codardo di fronte alla realtà, conseguentemente si rifugia nell’ideale. … Platone così aberrante da tutti gli istinti fondamentali degli Elleni, così moralizzato, così cristiano – in anticipo” .
In questa capovolta visione, moralità e razionalità, congiurano nell’educazione dell’uomo alienato: lucidamente, l’ultramoderno Gilles Deleuze sosteneva che sarebbe stato un grave errore squalificare le opere nietzschiane dettate dalla conclamata follia esplosa a Torino .
Il target di Nietzsche era, senza dubbio, l’abbattimento della logica, che, nella “Gaia scienza”, è associata allo spirito animatore della rivolta plebea: “Niente è più democratico della logica: essa non conosce alcun riguardo personale e prende per dritti anche i nasi storti”.
Maria Adelaide Raschini a questo proposito osservava che “Certamente Nietzsche è stato colui che ha riassunto tutte le opposizioni al logos … Per Nietzsche il logos, la parola, la mediazione fra la realtà e il sapere è precisamente ciò che deve essere tolto” .
Di recente, Giovanni Reale, commentando una precipitosa sentenza di Sossio Giametta, secondo cui l’opera di Nietzsche sarebbe “il colpo di grazia vibrato al cristianesimo già da secoli languente”, ha dimostrato “che si tratta di un colpo di grazia che, sulla base del nichilismo nietzschiano, cade nel vuoto: infatti, sul nulla non si può costruire nulla”.
A conferma della sua tesi, Reale cita un brano di Thomas S. Eliot: “Solamente un cultura cristiana avrebbe potuto produrre un Voltaire e un Nietzsche. Non credo che la cultura dell’Europa potrebbe sopravvivere alla separazione completa dalla Fede Cristiana. Se il Cristianesimo se ne va, se ne va tutta la nostra cultura. E allora voi dovrete cominciare faticosamente da capo. Dovrete attendere che l’erba cresca perché nutra le pecore che daranno la lana di cui sarà fatto il vostro abito” .
Roberto Calasso, il più coerente e spregiudicato seguace dell’insegnamento oltreumano di Nietzsche, ha sostenuto la convergenza della filosofia dionisiaca con le fantasticherie sconclusionate, squisitamente a-culturali esposte nelle “Memorie di un malato di nervi”, classico del pensiero regressivo, scritto da Daniel Paul Schreber per annunciare “la propria progressiva trasformazione in donna e la prossima nascita da Schreber-femmina di un nuova umanità” .
L’umanità ultima, plasticamente rappresentata dal manifesto apocalittico pubblicato del transessuale paranoico Schreber, irrompe nell’età postmoderna, dove personifica il risultato della rivolta di Nietzsche – Dioniso contro la ragione e la morale platonica e cristiana .
La malattia mentale suscita la pietà. Il tentativo di attribuire al delirio i caratteri dell’illuminazione è spregevole. Roberto Calasso, nel fatidico Sessantotto, ha stabilito autorevolmente che la guerra condotta dagli illuminati contro la metafisica e la morale ha per corollario la volontaria e beata disgregazione dell’io.
In una pagina tetra e spaventosa, dichiara, infatti, che “Nietzsche si era esercitato, nei suoi anni più ricchi, alla distruzione attiva del soggetto, in obbedienza ad una regola di monaco guerriero [sic!], nella disciplina di scalzare ogni riferimento, nella pratica della magia dell’estremo” .
Pierre Klossowski ha addirittura sostenuto che la filosofia nietzschiana consiste “in una esaltazione del movimento per il movimento, che distrugge la nozione di un qualunque fine nell’esistenza e glorifica l’inutile presenza dell’essere nell’assenza di ogni scopo: in mancanza dei pretesi in virtù dei quali la vita vale la pena di essere vissuta, la specie umana muore; ma l’istinto di conservazione non smette di crearne di nuovi, in grado di preservarla dalla vertigine dell’essere, dall’angoscia di un’esistenza senza scopo, ma se i pretesti hanno sempre la funzione di nascondere l’inutilità dell’esistenza (come se si trattasse di giungere a qualcosa) solo i simboli di una religione, come i simulacri dell’arte, possono render conto dell’adesione all’inutilità dell’essere” .
Giunto all’estremo limite dell’ebbrezza dionisiaca, Elémire Zolla si abbandonava a fantasticherie sul pensiero plurimo realizzato per mezzo dei pezzi di ricambio ceduti da individui appositamente clonati.
La sua compagna, la professoressa Maria Grazia Marchianò, ricorda con orgoglio che Zolla “esclamava gioioso che si potranno cambiare tutti i pezzi del nostro cervello, vivere più dimensioni”, cioè perfezionare gli stati patologici connessi con la schizofrenia, avanzando nella direzione di un’inedita polifrenia .
Una sicura traccia di quest’indirizzo della filosofia intitolata a Dioniso, si trova nella più approfondita ed esauriente biografia di Nietzsche, scritta da Joachim Köhler . Nelle pagine di quest’opera di ampio respiro, è descritto (e documentato) l’affannoso sforzo compiuto da Nietzsche, nel tentativo di soffocare il lume intellettuale, affondandolo negli atti dell’istinto sfrenato.
Per definire la sua passione regressiva, Nietzsche ricorre alla dialettica tra le due anime della Grecia: la genuina, arcaica anima dionisiaca, che obbedisce agli istinti vitali, si oppone all’anima fittizia della filosofia apollinea, che è causa di décadence dall’istinto originario.
Per mostrare l’aspetto incontinente e morboso della teoria nietzschiana intorno allo spirito tragico dei greci, Köhler ricorda il compiacimento con cui il giovane professore di filologia a Basilea, si esaltava per gli atti della barbarie insorgente nella mitologia dionisiaca.
Köhler cita un brano dei taccuini di Nietzsche, dove si confessa, senza ombra di vergogna, che la lettura delle scene orribili. descritte nelle “Baccanti” di Euripide, destò l’entusiasmo incontrollato dei suoi allievi, evidentemente educati o istigati ad apprezzare quel genere disgustoso di rappresentazioni.
Opportunamente Köhler rileva la mostruosità dell’entusiasmo dionisiaco, che deliziava Nietzsche: “Euripide racconta come l’ambiguo dio Dioniso faccia prima assumere al suo dichiarato nemico Penteo, rappresentante della legge e dell’ordine, l’aspetto d’una smorfiosa e poi lo faccia dilaniare dalle Menadi. Sacerdotessa del sacrificio è la madre stessa, che, anch’essa accecata da Dioniso, porta in trionfo la testa del figlio ucciso infilzata sul suo tirso. E tutto questo ha destato piacere nei giovani! Non orrore o disgusto per il fatto che il grido della vittima si mescoli con il giubilo delle forsennate, ma una forte impressione, ecco cosa si aspettava Nietzsche dall’insegnamento del greco” .
La degradante emozione dionisiaca è una spia della vocazione irrazionalista operante nel preteso razionalismo moderno, infatti, sono squisitamente “dionisiaci” i forsennati cortei dei giacobini, che esibiscono come trofei le teste degli aristocratici ghigliottinati. E sono dionisiaci – coribantici – i grotteschi cortei intitolati all’orgoglio omosessuale.
Solamente nell’ebbra esaltazione, si può concepire quel rifiuto tassativo delle verità di ragione (non crederei nel Dio cristiano neanche se mi fosse dimostrato, proclama Nietzsche) che svilisce l’imperativo dell’etica riducendo la verità a prodotto di un’illusione. L’ultima disperata conseguenza della vocazione al regresso si legge in un famoso detto di Nietzsche: la non verità diventa condizione della vita.
Saldamente piantato nel solco della tradizione nietzschiana, Calasso, nelle “Nozze di Cadmo e Armonia”, definirà la conoscenza frutto dell’inganno e dello stupro della ragione .
Per i distruttori postmoderni della ragione vivere significa far vivere una menzogna. Lo stupro della ragione – l’ebbrezza menadica descritta da Euripide – abbatte l’autorità della metafisica: “Sì, amici miei, credete con me alla vita dionisiaca, e alla rinascita della tragedia. Il tempo dell’uomo socratico è finito. Inghirlandatevi di edere, prendete in mano il tirso [quello impugnato dalla madre di Penteo, per reggere la testa del figlio]. Osate essere uomini tragici, giacché sarete liberati. Accompagnerete il corso dionisiaco dall’India alla Grecia! Armatevi a dura lotta, ma credete ai miracoli del vostro dio!” .
Il festoso inno, che annuncia la prossimità della liberazione dionisiaca, rimane incomprensibile, finché non si pone mente al fatto che l’accenno alla processione del corteo sacro dall’India alla Grecia allude al passaggio del nichilismo shivaita da Oriente ad Occidente.
La vera essenza del pensiero nietzschiano, infatti, non consiste nella presunta felicità dei Greci, ma nella brama di dissoluzione, che agita gli iniziati ai misteri di Shiva.
Nell’opera di Nietzsche il principio d’immanenza abbandona i radiosi progetti di felicità per sprofondare nelle sue radici, che sono piantate nella disperata terra di Shiva.
In un primo tempo, alla guida della processione nietzschiana sono posti i primi officianti del rito postmoderno, Schopenhauer e Wagner .
In seguito, Nietzsche prende le distanze dai precursori, ed assume la guida del corteo funebre, senza abbandona il sentiero già tracciato.
La vera pasta della filosofia di Nietzsche è il pessimismo estremo, che Schopenhauer e Wagner hanno importato dall’India shivaita.
Il senso della filosofia nietzscheana è rigorosamente “indiano” e si identifica nella teoria schopenhaueriana, secondo cui il mondo è prodotto da una sostanza cieca e imperiosa, la volontà, che vuole soltanto se stessa: perpetuare la vita gettando i viventi (per inciso: ecco la fonte del vaniloquio heideggeriano intorno alla gettità) nella rete ingannevole del desiderio.
Il pensiero di Schopenhauer si ribella a questa incubosa rappresentazione della legge e perciò afferma l’intenzione di sottrarsi (a parole) al dominio della vita e del suo “genio perverso” mediante l’ascesi nel vuoto.
Nietzsche (al contrario? non è facile stabilire dove finisce la sua dipendenza da Schopenhauer) si esalta al pensiero della vita che schiaccia i viventi e perciò dichiara la dolorosa-festosa intenzione di tuffarsi in essa.
Respinge l’ascetismo antivitale di Schopenhauer, per gustare l’antivita nell’abbandono ebbro alla vita, cui ha, peraltro, negato qualunque significato.
Nella divergenza degli umori si trova quindi l’identità dell’impianto doloristico. L’ascesi antivitale di Schopenhauer, in Nietzsche si trasforma nel delirante festeggiamento del dolore vitale, e nell’elogio del destino di sofferenza. Cambiano la disposizione e gli umori, non il quadro generale.
L’ebbrezza dionisiaca, da un lato, aggredisce il pessimismo liberando l’istanza edonistica, dall’altro esalta la dissoluzione, facendo entrare il dolore nella splendida ragnatela dell’estasi. La filosofia nietzscheana è interamente inscritta nella danza del pessimismo intorno all’oscenità.
Nietzsche può presentare la sua opera come tempio in cui è consacrata l’unione degli irriducibili: “Un’idea – l’opposizione di apollineo e dionisiaco – tradotta in metafisica; la storia stessa come sviluppo di questa idea; l’opposizione risolta in unità nella tragedia; in questa ottica, certe cose che mai prima si erano affrontate … venivano illuminate e capite l’una per mezzo dell’altra” .
Naturalmente l’antitesi Apollo-Dioniso è riformabile alla luce di una più rigorosa analisi della religione greca. La dichiarazione di Nietzsche dissolve comunque l’ingannevole visione del contrasto fra la virtù ascetica (impropriamente detta apollinea) predicata da Schopenhauer e l’ebbrezza dinosiaca cantata a squarciagola da Nietzsche.
Come ha affermato il guru Calasso, questa gnosi sostituisce l’antitesi bene-male con la commistione: “Non c’è angolo sordido che non si lasci trattare come metafisica. E non c’è metafisica che non si lasci trattare come angolo sordido” .
Il contraffatto, sidereo ascetismo, che era intitolato alla ferocia sanguinaria di Apollo, il “dio con il pugnale”, è riversato nello spirito tragico e conciliato con la tellurica amoralità del dionisismo. La ragione dei moderni può intraprendere il discendente cammino che conduce al neopaganesimo.
La contrarietà dei due “poli” è abolita: “Il sì alla vita anche nei suoi problemi più oscuri e avversi, la volontà di vita che, nell’immolare i suoi esemplari più alti sente la gioia della propria inesauribilità, questo io chiamo dionisiaco … non per purificare da una passione pericolosa per mezzo di una violenta scarica – questo è stato l’equivoco di Aristotele – bensì perché, al di là di terrore e pietà, siamo noi stessi la gioia eterna del divenire” .
Si svela pertanto l’ispirazione patibolare, propriamente shivaitica, della filosofia nietzschiana. Disattivata la ragione, che altrimenti produrrebbe pericolose difese immunitarie, irrompe la luce abbagliante e spietata dell’imperativo nichilista: sacrificare la vita dei singoli alla vita anonima.
Il sacrificio manifesta la sua doppia identità: rito dell’ebbrezza ed esecuzione di una pena eterna, inflitta dal cattivo genio della vita.
Se non che le obiezioni mosse da Nietzsche contro la teoria aristotelica della catarsi, non hanno fondamento reale nella storia della religione greca. Dioniso, infatti, non era la personificazione di un genio greco preesistente alla (presunta) decadenza imputata a Socrate e Platone, ma il segno di un passato osceno e terribile, la traccia di quella selvatichezza che il platonico Giambattista Vico intitolerà al bestione.
Alla rappresentazione teatrale di quel passato, gli antichi greci, a differenza dagli studenti di Nietzsche a Basilea, reagivano con lo spavento e lo sdegno e così purificavano le loro anime.
Il dionisismo va dunque valutato alla stregua di una preistoria turpe e vergognosa, che il genuino spirito degli Elleni cerca di rimuovere e di esorcizzare.
Umiliare lo spirito della Grecia nel dionisismo significa falsificarne il significato e distruggerne l’eredità, trasformando la filosofia dell’incivilimento in una miserevole scena di barbarie.
Giustamente Joachim Köhler ironizza sull’indicazione risibile di un santuario della gioia sacrificale, che, secondo Nietzsche, sarebbe stato attivo nell’antichità greca .
A questo punto, a Köhler non è difficile ricordare le pesanti stroncature della tesi nietzscheana, compiute da autorevoli studiosi delle antichità greche, quali Ritsch (“fantasticheria artistico – religiosa – misterica”); Usener (“assurdità belle e buone”); Willamowitz (“dia piglio al tirso e trascorra dall’India alla Grecia”). E concludere: ”Nessuno sa di preciso se ci sia mai stata questa sorta di Lourdes ellenica, dove il dio appariva” .
Quale è, allora, la fonte della rivoluzionaria intuizione di Nietzsche? Köhler sostiene addirittura (e dimostra con ampie citazioni dalle lettere e dai taccuini di Nietzsche e della sorella Elisabeth) che la fonte era l’oppio, una sostanza allucinogena che, nella seconda metà dell’Ottocento, era usata come medicamento .
Un discepolo di Martin Heidegger, Karl Löwith sosteneva che Nietzsche ha tratto da Schopenhauer la dottrina dell’eterno ritorno, “il pensiero più abissale” .
In realtà l’idea dell’eterno ritorno è risalita dalla profondità delle allucinazioni gnostiche e catare per coronare la frenesia, oscillante tra piacere e dolore, vita e morte, ed adattarsi perfettamente al quadro dionisiaco della psiche drogata.
Peraltro è Nietzsche che indica la pista, descrivendo femminilmente la sua intuizione “Un rapimento, la cui enorme tensione si scarica talvolta in un torrente di lacrime … un totale esser-fuori-di-sé con la coscienza più precisa di innumerevoli brividi e correnti fino alla punta dei piedi; un abisso di felicità dove ciò che è più doloroso e cupo non ha più un effetto di contrasto. … Tutto avviene in modo involontario al massimo grado, ma come in un turbine di senso di libertà, di incondizionatezza, di potenza di divinità” .
Ad ogni modo Köhler dimostra esaurientemente che, nel periodo in cui “si drogava a Rapallo, in dosi più o meno massicce, [Nietzsche] era da tempo iniziato ai misteri dell’ampliamento e della scomposizione della coscienza” .
Nei taccuini, Nietzsche si lascia sfuggire un’ammissione compromettente, che Köhler cita a conferma delle altre prove: “Per sovrabbondanza di vita il superuomo ha le apparenze dei fumatori d’oppio e la pazzia e la danza dionisiaca” .
Di qui l’esplosione verbosa e torrentizia, che afferma il caos per tutta l’eternità , e profetizza l’anarchia: “Guardiamoci dal dire che esistono leggi nella natura. Non vi sono che necessità: e allora non c’è nessuno che comanda, nessuno che presta obbedienza, nessuno che trasgredisce” .
L’ossessione anarchica che, dopo aver attraversato l’utopia pornocratica dei sessantottini, oggi deraglia nella cultura dei centri per la socialità drogata, ha il suo fondamento iniziatico nelle febbrili pagine di Nietzsche.
Il ricorrente progetto di fondazione di una destra nietzschiana è, pertanto, un abbaglio, sconfessato e respinto a priori dallo stesso Nietzsche, che definiva la cultura conservatrice, professata da sua madre, “la più profonda antitesi di me stesso” .
Freud, che si definiva ammiratore e seguace di Nietzsche, costruirà la scienza psicoanalitica sul fondamento del concetto nietzschiano di repressione dell’istinto vitale.
“Crepuscolo degli idoli”, Opere di Friedrich Nietzsche, edizione italiana a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1970, vol. VI, tomo III, pag. 156.
Ibidem.
Cfr. “Nietzsche”, Se, Milano 1997, pag. 39.
Cfr.: “Nietzsche e la crisi dell’Occidente”, Marsilio, Venezia 2000, pag. 22. Identico rifiuto della razionalità (sempre in funzione della guerra alla ragione e alla morale) nel vero ispiratore di Nietzsche, Max Stirner, che Roberto Calasso definisce incisivamente “grumo purissimo di nichilismo”, cfr. “L’unico e la sua proprietà”, Adelphi, Milano 1979. Secondo Karl Löwith l’opera di Nietzsche termina nello scambio di sé con Dio, “una follia di cui non si può dire facilmente se fosse un caso estrinseco e senza senso o piuttosto un destino che gli apparteneva intimamente ovvero una follia sacra”. Cfr.: “Nietzsche e l’eterno ritorno”, Laterza, Bari, 1985 pag. 8.
Cfr.: “Contraddizioni da Superuomo”, “Il Sole-24 Ore”, 31 agosto 2003.
Cfr.: “L’impuro folle”, Adelphi, Milano 1974, pag. 14. Al saggio di Calasso fece seguito, casualmente nel 1977, il racconto di un anonimo pederasta (“I tormenti del presidente Schreber”). Per una curiosa coincidenza, nel 1977, in Milano, fu rappresentata una farsa pederastica (“La traviata norma”) che portava al calor bianco (“Un graal pieno di eros”) i valori gnostici già esposti nell’impuro folle: coprofagia, urofilia e via declinando..
Dal rigore immoralistico discende l’ideologia che giustifica le unioni omosessuali e la clonazione, puntualmente esaltata, nel “Corriere della Sera”, dal nietzschiano Elémire Zolla.
Post-fazione a “Ecce Homo”, Adelphi, Milano 1968. Più avanti, Calasso afferma una tesi condivisibile dimostrando che la follia di Nietzsche non ebbe origine dalla sifilide (tesi sostenuta da Thomas Mann nel romanzo “Doctor Faustus”) ma rappresentò il risultato dell’ascesi dionisiaca, praticata con rigore fanatico.
Cfr.: “Nietzsche, il politeismo e la parodia”, Se, Milano 1999, pag. 78.
“Sette”, supplemento del “Corriere della Sera”, 27 giugno 2002.
Cfr.: “Nietzsche Il segreto di Zarathustra”, Rusconi, Milano 1994.
Op. cit., pag. 167.
Cfr.: “Le nozze di Cadmo e Armonia”, Adelphi, Milano 1998, pag. 33: “la vera conoscenza è la perfezione dell’inganno, è l’inganno che si racchiude su se stesso, è quella perfezione che racchiude in sé l’inganno”.
“La nascita della tragedia”, Adelphi, 1972, pag. 136-137.
Al riguardo cfr. le osservazioni di Karl Löwith, in “Da Hegel a Nietzsche”, Einaudi, Torino 2000, pag. 267 e seg..
“Ecce Homo”, op. cit., pag. 68.
Cfr. “K.”, Adelphi, Milano 2002, pag. 33.
Cfr.: “Crepuscolo degli dei”, op. cit., pag. 161.
La fantasiosa idea di un santuario greco sta alla base della costruzione ideologica esposta da Roberto Calasso nelle “Nozze di Cadmo e Armonia”.
Cfr.: “Nietzsche Il segreto di Zarathustra”, op. cit., pag. 170.
E’ singolare il fatto che, in pieno Novecento, un nietzschiano dichiarato, quale era Sigmund Freud, abbia dedicato un ampio saggio alle virtù terapeutiche della cocaina. Sull’adesione di Freud alla filosofia di Nietzsche, cfr.: Ennio Innocenti, “Critica alla psicoanalisi”, Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1991.
Cfr.: “Da Hegel a Nietzsche”, op. cit., pag. 267-268: “Ciò che dei pensieri di Schopenhauer entrò positivamente nella filosofia di Nietzsche è l’intuizione naturalistica dell’eterno ritorno di quanto è essenzialmente uguale, nell’apparente mutamento del mondo storico”.
Cfr.: “Ecce Homo”, op. cit., pag. 99.
Cfr.: “Nietzsche Il segreto di Zarathustra”, op. cit., pag. 371.
Ibidem.
Cfr. “La gaia scienza”, Mondadori-Adelphi, Milano 1974, pag. 114 e seg..
Cfr.: “Ecce Homo”, op. cit., pag. 21.
Id., pag. 21.