Il questionario di Pietro – di Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro

La chiesa di Francesco è diventata il luogo delle opinioni, piuttosto che delle verità. Intanto un’acqua torbida e tumultuosa vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità

 

di Alessandro GnocchiMario Palmaro

 

(su Il Foglio – 14 novembre 2013)

 

gnocchi(1)Anche quando dovrebbe essere al servizio di Nostro Signore, la burocrazia ecclesiale finisce sempre per provvedere soprattutto a se stessa, proprio come quella mondana. Non fa che parlare di sé, avocare ogni atto a sé e vedere Chiesa e mondo a immagine di sé. Il questionario di preparazione per il Sinodo straordinario sulla famiglia recentemente diramato da Roma ne è solo l’ultima conferma. Riesce difficile vederne l’utilità, se si vuole veramente comprendere che cosa crede e che cosa pensa, quindi che cosa prega e che cosa è, il gregge affidato a Pietro.

Fino a qualche decennio fa, sarebbe bastato molto meno per avere contezza della situazione: qualsiasi prete che dicesse messa santamente, dopo il “Salve Regina” finale, avrebbe saputo riferire immediatamente al vescovo, e poi questi al Papa, senza dimenticare un volto e un’anima. Ma era un’altra messa ed era un modo di “sentire cum Ecclesia” che non va più di moda. La domenica mattina, dopo l’esile e orante “Asperges me…” intonato dal sacerdote, il popolo proseguiva vigoroso e sicuro sulla melodia gregoriana nell’implorare “Domine hyssopo et mundabor, lavabis me et super nivem dealbabor…”. Sulle parole del Salmo 50, ciascuno chiedeva per sé e per i fratelli di essere mondato nel sentore sacro dell’issopo e nel lavacro divino che lo avrebbero reso più bianco della neve. Intanto, racchiuso nel piviale sorretto dai chierichetti, il celebrante si era avviato lungo la navata ad aspergere e mondare con acqua benedetta coloro che, ancora un volta, accorrevano al sacrificio del Golgota. Per ognuno aveva uno sguardo e un’attenzione speciali, a ciascuno secondo il suo bisogno, poiché ne conosceva le virtù e i peccati. Era Cristo che passava ancora tra le folle della Galilea e della Giudea: “Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam…”, e chi sentiva il gregoriano risuonare da fuori si affrettava per toccare il lembo del mantello di Colui che li conosceva e li amava uno per uno.

“Il padre Smith” racconta Bruce Marshall nel romanzo della lotta di questo sacerdote con la carne e il mondo “percorse le file dei fedeli, mentre Patrik O’Shea lo precedeva col secchiello dell’acqua benedetta, e spruzzò di gocce d’argento i facchini ferroviari, gli scaricatori del porto, i marinai, le maestre di scuola, le commesse e le servette, che si segnarono. Sui capelli, sugli scialli, sulle zucche pelate, il prete spargeva l’acqua santa, lavando tutti simbolicamente, dai pensieri e dalle ambizioni dei giorni feriali. Arrivò alle vecchine degli ultimi banchi che avevano in testa il berretto del marito appuntato con un grosso spillo perché se San Paolo aveva detto che la gloria della donna è la sua capigliatura, aveva detto anche che quando andava in casa del Signore doveva tenerla coperta. Alle tre girls del varietà, coi capelli che parevano trucioli, il padre Smith dette una spruzzatina speciale, perché quei loro visi gialli gli fecero un effetto così tremendo, e lo stesso fece per il professor Bordie Ferguson, in terza fila, perché pensava che questo metafisico soffrisse di orgoglio intellettuale”.

Padre Smith, come ogni altro sacerdote dei suoi tempi e della sua pasta, non avrebbe avuto bisogno di un questionario arrivato da Roma e anticipato dai giornali per sapere che cosa pensassero le sue pecorelle della fede, della dottrina, della morale e delle follie del mondo e della carne. Parlava al suo gregge con le parole di Dio e riferiva a Dio con le parole del suo gregge, che nulla avevano di mondano: mediatore sull’altare, lo era anche in canonica e lungo le strade della sua città.

Ora, la Chiesa di Roma si appresta al Sinodo sulla famiglia e avvia un’indagine conoscitiva in ogni diocesi per sapere che cosa frulla nella testa dei fedeli. C’è chi ha gridato al sondaggio e se, formalmente, si può anche eccepire, materialmente non si può ignorare la deriva mondana che concede molto, forse troppo, all’ansia sondaggistica. A cominciare dal linguaggio dolciastro e pedestre che ricorda tanto le preghiere dei fedeli delle messe di oggigiorno: “Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla Chiesa a proposito dei sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? (…) Esiste una pastorale per venire incontro a questi casi? Come si svolge tale attività pastorale? Esistono programmi al riguardo a livello nazionale e diocesano? Come viene annunciata a separati e divorziati risposati la misericordia di Dio e come viene messo in atto il sostegno della Chiesa al loro cammino di fede?”.

E’ sempre la liturgia a dettare la metrica e il linguaggio della Chiesa e se, in un ospedale da campo, viene celebrata la messa inventata a furor di Concilio da monsignor Achille Bugnini, non ci si può attendere altro: una specie di questionario da accettazione per un pronto soccorso, ma meno preciso. Non potrebbe essere adottato strumento migliore per dare corpo a quella contiguità con il mondo che piace tanto ai fan del pontificato di papa Francesco. Gilbert Keith Chesterton, con piena ragione, amava ripetere che ogni secolo ha bisogno di santi che lo contraddicano, ma oggi è difficile sentir dire da un pastore che, per esempio, nella Chiesa si entra in ginocchio lasciando il secolo sulla soglia. “Eppure” diceva in un’intervista Marshall McLuhan a proposito della sua conversione “quando le persone iniziano a pregare hanno bisogno di verità. Tu non arrivi alla Chiesa per idee e concetti, e non puoi abbandonarla per un mero disaccordo. Ciò avviene per una perdita di fede, una perdita di partecipazione. Quando le persone lasciano la Chiesa possiamo dire che hanno smesso di pregare. Il relazionarsi attivamente alla preghiera e ai sacramenti della Chiesa non avviene per mezzo delle idee. Oggi un cattolico che è in disaccordo intellettuale con la Chiesa, vive un’illusione. Non si può essere in disaccordo intellettuale con la Chiesa: non ha senso. La Chiesa non è un’istituzione intellettuale, è un’istituzione sovrumana”.

Laddove rimanga un minimo di rigore liturgico e razionale, risuona patetica la rincorsa al dissidente per offrirgli qualcosa di meno invece che qualcosa in più. Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia è un repertorio di suggerimenti al ribasso, ricco di perle che possono solo inquietare. “Lo snellimento della prassi canonica in ordine al riconoscimento della dichiarazione di nullità del vincolo matrimoniale” vi si dice per esempio “potrebbe offrire un reale contributo positivo alla soluzione delle problematiche delle persone coinvolte? Se sì, in quali”. Sembra che la Chiesa abbia scoperto oggi il territorio prima del tutto ignoto del dolore e della sofferenza abitato dalle famiglie distrutte e dalle coppie ricostruite che non possono accedere alla Comunione. Finalmente, nell’ospedale da campo di papa Francesco, dopo secoli di indifferenza e di distrazione, si troverà la medicina giusta.

Ma sui divorziati risposati, e ai divorziati risposati, la Chiesa dice da sempre tutto quello che c’era, c’è e ci sarà da dire: “Ci sono nella vita situazioni coniugali che chiedono comprensione e destano compassione senza fine (…). Questi casi veramente pietosi di donne tradite, disprezzate, abbandonate, ovvero di mariti umiliati dal contegno della propria moglie rappresentano, per la Chiesa e per il cristiano, casi meritevoli di molto rispetto e di sofferta considerazione”. Parole scritte nel febbraio 1967 da monsignor Pietro Fiordelli, vescovo di Prato che assurse agli onori delle cronache per la sua battaglia antidivorzista. E’ del 14 settembre 1994, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il documento firmato dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede Joseph Ratzinger e rivolto a tutti i vescovi del mondo “circa la recezione della comunione eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati”. Stiamo parlando di 19 anni fa. Il Sant’Uffizio, citando la “Familiaris consortio” di Giovanni Paolo II, Anno Domini 1982, parte dalla considerazione che “speciale attenzione meritano le difficoltà e le sofferenze di quei fedeli che si trovano in situazioni matrimoniali irregolari”. E poi scrive che “i pastori sono chiamati a far sentire la carità di Cristo e la materna vicinanza della Chiesa” accogliendo con amore queste persone, “esortandoli a confidare nella misericordia di Dio e suggerendo loro con prudenza e rispetto concreti cammini di conversione. Il Sant’Uffizio del “pastore tedesco” conosceva già la misericordia di Dio e la sofferenza bisognosa di aiuto e di verità e, proprio per questo, nel capoverso successivo, citando la “Humanae vitae” di Paolo VI, concludeva: “Consapevoli però che l’autentica comprensione e la genuina misericordia non sono mai disgiunti dalla verità, i pastori hanno il dovere di richiamare a questi fedeli la dottrina della Chiesa riguardante la celebrazione dei sacramenti e in particolare la recezione dell’eucarestia”.

La pastoralità non può mangiarsi la dottrina e il documento del 1994 ribadisce che la Chiesa “fedele alla parola di Gesù Cristo non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido il precedente matrimonio”. Questo concetto si chiama indissolubilità, è un vincolo di diritto divino e nessuna autorità, nemmeno un Papa, potrebbe arbitrariamente rinnegarlo. Da Enrico VIII all’ultima pecorella di padre Smith, nessuno può cancellare quel vincolo, se esiste ed è valido. “Perciò” conclude in modo euclideo il Sant’Uffizio “se i divorziati si sono risposati civilmente, si trovano in una condizione che contrasta oggettivamente con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica per tutto il tempo in cui perdura tale situazione”. La Chiesa è, innanzi tutto custode dell’eucarestia e non può venire a patti sul monito paolino che mette in guardia dal comunicarsi senza essere il grazia di Dio per non mangiare la propria condanna.

Se un’anima è in peccato mortale, nessun atto formale che sia però ingiusto potrebbe cancellare una verità di fatto, anche se reca la firma di un uomo di Chiesa. Non è possibile nessuna “amnistia”, neanche per i divorziati risposati, perché essa non cambierebbe in alcun modo la loro condizione reale davanti a Dio. Ma oggi, dentro la Chiesa, si è smarrito il senso del peccato e ciò che inquieta nel questionario inviato a tutte le diocesi dell’Orbe è l’implicita rassegnazione a tale fenomeno. Questa sorta di tensione anagogica al contrario turba sempre meno anime, come scriveva Cristina Campo in una lettera del 1965 a Maria Zambrano: “Come mai si celebra ancora la festa dogmatica dell’Unica Immacolata, mentre implicitamente si nega, in mille modi, la maculazione di tutti gli altri? In un mondo dove non è più riconosciuto non dico il sacrilegio, l’eresia, la blasfemia, la predestinazione al male – ma il puro e semplice concetto di peccato? Padre Mayer mi disse un giorno di scrivergli tutte le cose che mi turbano nello svolgersi del Concilio; e io gli riposi: ‘ma non sono che due, sempre le stesse: la negazione della Comunione dei Santi (potenza della preghiera, ruolo sovrano della contemplazione, reversibilità e trasferimento delle colpe e delle pene) e il rifiuto della croce (l’uomo ‘non deve più soffrire’, restare un’ora sola inchiodato alla croce della propria coscienza o alla porta chiusa di un irrevocabile ‘non licet’)”.

Quel “non licet” oggi spaventa soprattutto la Chiesa, anche se è stato meritoriamente ribadito dal prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, subito rimbrottato dal confratello Reinhard Marx. Sarebbe segno di ingenuità sottovalutare il sommovimento teso ad ammorbidire la posizione della Chiesa. Il dibattito avviato negli ultimi tempi non è altro che lo sbocco in superficie di un fiume carsico presente nel mondo cattolico da decenni. Un’acqua torbida e tumultuosa che vorrebbe spazzare via il muro dottrinale che protegge l’indissolubilità matrimoniale. Per motivazioni di ordine pastorale, per realismo e apertura al mondo e alle sue esigenze pratiche. Non si contano i parroci, i moralisti, i docenti di seminario, i vescovi che su questa faccenda hanno abbandonato da tempo quanto insegnato dalla Chiesa. C’è chi pensa al modello ortodosso, che consente un bonus, una sorta di carta jolly per validare il secondo matrimonio dopo il fallimento del primo. C’è chi studia l’idea della “benedizione” delle seconde nozze, come succedaneo del sacramento vero e proprio.

Dal Concilio Vaticano II in poi, la Chiesa ha preso a concepirsi e presentarsi come problema invece che come soluzione per la salvezza degli uomini. Anche quando parla del mondo, in realtà lascia trasparire o dice palesemente la propria inadeguatezza e promette solennemente di porvi rimedio recuperando il terreno perso dall’avvento dell’illuminismo in poi. La portata di tale mutamento di prospettiva la si può paragonare a quanto avvenne in filosofia con il criticismo di Kant. Con l’avvento della filosofia kantiana, l’uomo non è più ritenuto capace di conoscere il mondo nella sua intima realtà poiché la ragione non viene più ritenuta in grado di raggiungere il noumeno, la cosa in sé, il vero nucleo dell’esistente. Di conseguenza, essendo considerata incapace di conoscere veramente il reale, la ragione viene anche considerata incapace di definirlo e si ripiega su stessa, non parla che di se stessa e finisce inevitabilmente per concepirsi come un problema. Oggi la Chiesa appare intimidita davanti al mondo al pari dell’uomo kantiano davanti al noumeno. Dubita dei propri fondamenti intellettuali e pertanto, pur proclamando di aprirsi al mondo, in realtà si considera incapace di conoscerlo, di definirlo e, quindi, rinuncia a insegnare e a convertire: tenta solo di interpretare.

Se tutto diviene oggetto di interpretazione, è normale che sorgano le torri di Babele di documenti nei quali ogni minimo aspetto dello scibile viene preso in esame fin nei dettagli. Ma è ancora più naturale che i documenti non sortiscano alcun effetto sulla realtà per il semplice fatto che, in fondo, non se ne curano. Del resto, un organismo costretto a dubitare della propria capacità di conoscere e intervenire sul mondo non può che rifugiarsi in un universo fittizio creato sulla carta.

Il questionario di preparazione per il Sinodo sulla famiglia conferma tale deriva. E ora ne seguiranno altri, molti altri, moltiplicheranno le domande suggerendo un ancor maggiore numero di risposte. Se la Chiesa aveva affascinato Chesterton come “luogo dove tutte le verità si danno appuntamento”, oggi sembra diventata il luogo dove si danno appuntamento le opinioni. In un luogo simile si sarebbe trovata a disagio una santa anima sacerdotale come il Curato d’Ars. A un confratello che gli confidava le pene per la condotta immorale dei suoi parrocchiani, quella creatura naturaliter antikantiana non consigliò di far circolare un questionario, chiese semplicemente: “Ha provato a flagellarsi?”.

16 commenti su “Il questionario di Pietro – di Alessandro Gnocchi – Mario Palmaro”

  1. Una nota sul richiamo finale all’ “antikantismo”: a mio giudizio, è vitale per il buon cattolico essere non antikantiano, ma a-kantiano. Ciò significa non dare un’importanza fuori luogo a Kant né a chi lo precedette e lo seguì nel tragico percorso degli ambienti protestantico/giudaici verso il solipsismo, l’ideologia totalitaria omicida, in definitiva il suicidio (vero “manifesto” massonico: “la vita è mia e la getto quando e dove mi pare”).
    Cartesio, Spinoza, Locke, Voltaire, Rousseau, Kant, Hegel, Marx… fino a Sartre e a Simone de Beauvoir, sono dei “grandi fuori dalla retta via” o sono dei “piccoli”- direi dei “dilettanti del pensiero”?

    Il cattolico, ogni giorno calpestato dagli esiti di questa linea distruttiva anticattolica, deve dedicarsi a contrastarla oppure a vivere e pensare SENZA di essa (vedi S.Curato d’Ars, S.Pio da Pietrelcina ecc.) ?

  2. Dante Pastorelli

    Ottimo articolo. Una sola osservazione: mons. Fiordelli non assurse all’onor delle cronache in occasione della battaglia contro il divorzio, che pure combattè, ma, pacelliano di ferro, nel 1956 quando definì concubini due pratesi che si sposarono col solo rito civile. Fu processato e condannato, ma fu assolto in appello. Fu il più giovane vescovo d’Italia, in quegli anni. Con il concilio si adeguò ad ogni riforma e la sua voce si perse nel generale allineamento, ed anche nei momenti più difficili per la Chiesa non ritrovò il vigore giovanile. In ambito nazionale l’ombra lo avvolse.

  3. L’articolo è piaciuto anche a me, ma anch’io devo fare una piccola osservazione: monsignor Bugnini non si chiamava “Achille” bensì “Annibale” (conveniunt rebus nomina saepe suis ).

  4. Come è vero che “E’ sempre la liturgia a dettare la metrica e il linguaggio della Chiesa”. Anche nella chiesetta dove da piccolina assistevo alla Santa Messa più di cinquanta anni fa avevamo una specie di Patrick O’Shea (pure lui con un nome irlandese) che seguiva il sacerdote. Mi ha fatto tanto piacere ricordarmi anche di lui leggendo vostro prezioso articolo. Ogni punto che avete toccato va dritto dritto al cuore di un cattolico. La vostra è quella sensibilità cattolica che ben capisco. Fors’anche perché amiamo gli stessi autori.

  5. I rischi denunciati dagli autori ci sono, e c’è anche tanta confusione perché – come disse Benedetto XVI prima di lasciare il pontificato -, le vere intenzioni del Concilio furono inquinate dalle letture mediatiche e da un cattolicesimo progressista e mondano. Ma io credo che Gnocchi & Palmaro saranno certamente smentiti, se credono ancora che la Chiesa è guidata da Cristo e dal Suo spirito. Debbono solo avere un po’ più di pazienza, e saranno smentiti dai fatti. Altrimenti vorrebbe dire che siamo di fronte a uno dei momenti più oscuri della storia della Chiesa.
    Ad ogni modo sono sempre più convinto che non sono i polemisti – anche se servono -, a rinnovare la Chiesa, ma i santi. Quei santi che spesso sono in grado di mettere in crisi persino i polemisti! E il Santo dei Santi, che è Cristo, lo fa ancor di più! Che Dio assista la nostra amata Chiesa e anche il Santo Padre! Lui ci ha detto di pregare per lui varie volte. Oltre che polemizzare, preghiamo allora anche per lui e per noi stessi, perché non pecchiamo di supponenza!

    1. Concordo col tuo commento. Se le cose stanno come da tempo dice la coppia Palmaro & Gnocchi, in chi dobbiamo credere? Mi par di capire che papa Francesco, secondo loro, è una sorta di antipapa. Insomma: in quale chiesa credono? Sono ancora cattolici?

      1. Sono convinto che Gnocchi e Palmaro sono perfettamente in grado di difendersi da soli; intervengo solo perchè dirigo questo Sito e ho quindi la responsabilità di quanto viene pubblicato. Vorrei chiedere cortesemente al lettore Federico di specificare bene le frasi dalle quali si possa evincere che Gnocchi e Palmaro affermano che Francesco sia un antipapa. Se non fossero convinti che Francesco è il Papa, perchè mai avrebbero scritto i loro articoli? Era più che sufficiente da subito dichiarare che, secondo loro, Francesco è un antipapa. Conoscendoli bene, so che credono in Nostro Signore Gesù Cristo e nella Sua Chiesa, e solo per questo si sono messi “nei pasticci”, anzichè unirsi a un coro di lodi che rischiano di essere, quantomeno, superficiali. Inoltre, poichè il lettore Federico si chiede se siano ancora cattolici, gli chiedo di specificare cortesemente i motivi per i quali si possa dubitare del loro cattolicesimo.

        Grazie – Paolo Deotto

        1. Sono consapevole di aver adoperato espressioni “forti” nei confronti di Gnocchi e Palmaro; probabilmente, se ci mettiamo ad analizzare nei dettagli quanto hanno scritto fin qui (non mi riferivo solo al presente articolo, non troviamo affermazioni esplicite riguardanti i due punti che lei cortesemente mi contesta. Faccio invece una semplice constatazione: dal momento nel quale sono stati estromessi da Radio Maria, essi hanno preso a scrivere una serie di articoli sul vostro sito nel quale criticano e demoliscono senza tregua affermazioni, gesti, comportamenti, iniziative prese da papa Bergogliio. Così facendo essi agiscono con risentimento – anche se in buona fede – e diventano essi stessi complici e vittime di un meccanismo diabolico nel quale alimentano il dissenso e la diviisione nella Chiesa. Mi dispiace perchè il vostro sito è bello, contiene tantissimi articoli interessanti e coraggiosi, ma di questo passo si danneggia l’opera di evangelizzazione. la Chiesa ha sempre attraversato momenti di crisi anche gravi, con papi ed ecclesiastici corrotti, simoniaci, immersi fino al collo in peccati di vario genere. Di fronte a questo ci sono due atteggiamenti: o si crede che la Chiesa è la sposa di Cristo e si resta nell’obbedienza vera – di cuore – pur esponendo con rispetto il nostro disagio e le nostre perplessità, oppure ci si ribella. Ho letto recentemente la biografia bellissima di Eduard Gronau ( Ed. Ancora, 1995) su Hildegard von Bingen: anche allora da una parte c’erano i catari (e sbagliavano) e dall’altra le persone come Ildegarda che non si ribellavano e avevano al tempo stesso il coraggio di dire la Verità ai diretti interessati . Fatico a dire quel che ho detto, ma lo impone il rispetto della Verità e la carità fraterna. Amo la Tradizione, ho apprezzato tantissimo papa Ratzinger, amo la liturgia tridentina e sono il primo ad essere dispiaciuto di tutto il patrimonio di teologia e di bellezza che abbiamo smarrito nella Chiesa, non comprendo tante cose che avvengono nella Chiiesa di oggi che sembra davvero una barca sbattuta da ogni parte dal mare in tempesta. Ed è per questo che ho fatto le mie critiche. Se non mi capite, pazienza. E se ho fatto uso di espressioni ingiuste verso i due autori, chiedo sinceramente scusa, ma ho il dovere di dire che questi e quanti come loro agiscono si incamminano sulla strada dello scisma.

  6. Gualtiero Comini

    Io non sono all’altezza degli eminenti studiosi autori di questo articolo però a me pare che qui non si tratta più solo di alcune critiche all’azione di Papa Francesco ma di una bocciatura a 360°gradi della sua azione pastorale. Io ciononostante preferisco la fedeltà al Vicario di Cristo. Pare a me che ci sia il rischio che alcuni studiosi si rinchiudano in una torre d’avorio perdendo il contatto con noi poveri “cristi”ani. Non so fino a che punto queste presunte deviazioni dottrinali da parte del Magistero della Chiesa possano essere colte dal popolo di Dio. Inoltre pare a me che sia necessaria qualche azione di dissenso ad alcune linee dell’azione di Riscossa Cristiana perchè un assenso con percentuali bulgare (100%) non è un buon segno. Nessuno ha ragione sempre. Con stima ed amicizia

    1. Alla luce di ciò che scrive, caro Amico, mi vien da dire che forse è proprio per evitare l’assenso con percentuali bulgare – che, Lei scrive, “Non è buon segno” – che gli Autori dell’articolo, “bocciano”, son ancora parole Sue, l’ “azione pastoriale” del Papa …

  7. Elisabetta Frezza

    Mi sembra difficile, proprio per un “povero cristiano” che ha ricevuto gli insegnamenti di sempre, non sentirsi smarrito e disarmato di fronte a quelle che appaiono non certo “presunte deviazioni dottrinali”, ma picconate continue e inesorabili all’edificio della Chiesa cattolica. E il questionario sulla famiglia costituisce, in questa sistematica opera demolitoria, un intervento che assume un significato paradigmatico anche sotto il profilo metodologico.
    E ciò non significa affatto non credere che la Chiesa di Cristo resisterà e che portae inferi non praevalebunt adversus eam.
    Quanto al monito sulle “percentuali bulgare” di consenso, esso appare quantomeno risibile se riferito a uno sparuto manipolo di persone che serba un residuo di sana lucidità a fronte di un mondo osannante la new age vaticana.
    Dovrebbe piuttosto suscitare qualche perplessità la lode sperticata che un presidente comunista (e ricordiamoci sempre, responsabile della condanna a morte di un inoocente) rivolge al capo della chiesa di Roma in ragione della Sua generosa quanto inedita promozione della “cultura dell’incontro” e “del dialogo con tutti”, elogiando in Lui “l’assenza di ogni dogmatismo, la presa di distanze da posizioni non sfiorate da un margine di incertezza, il richiamo a quel lasciare spazio al dubbio che è proprio delle grandi guide del popolo di Dio”. Una sintonia di posizioni, questa, vagamente inquietante, sempre per quel famoso “povero cristiano”..

  8. Vinicio Catturelli

    Bravissimi i nostri amici ma attenzione: dopo il licenziamento da “Radio Maria”, la scomunica del new age Socci, ora rischiate il rogo se solo si muoveranno i nuovi componenti del Tribunale inquisitoriale delle “periferie esistenziali” con i tre nuovi “padri della Chiesa: Paolo Brosio, Andrea Fornelli e Massimo Spaccapigne (che sia un omonimo di quello che con Alleanza Cattolica scortò Mons. Lefebvvre dalla Principessa Pallavicini negli anni Settanta?) Ottantanove anni son tanti e tanti i ricordi che mi vengono alla mente guardando, appunto, questa fotografia del sorridente arcivescovo attorniato da cotanti giovani. Un saluto dalla mia Montecatini, Vinicio

  9. Gualtiero Comini

    E’ proprio singolare e positivo segno dei tempi che sia un Presidente comunista (o ex comunista) a riconoscere le radici cristiane della nostra Europa. Radici che tanti governanti anche cristiani e liberali non hanno voluto riconoscere. Mantengo poi la mia lucidità e non mi sento smarrito dall’azione di guida spirituale del nostro Papa Francesco pur ritenendo di sentirmi perfettamente inserito nel solco del plurisecolare insegnamento dottrinale della Chiesa cattolica ( e tale modestamente ritengo sia anche quello che l’attuale Pontefice ci garantisce)

  10. Vorrei che coloro che si scandalizzano di Gnocchi e Palmaro avessero letto, studiato, e meditato solo un decimo di quanto hanno fatto questi due autori. Rammento che sono intervenuti su Radio Maria con 2 programmi insostituibili, e per ben 10 anni.
    E poi …. quelli che pretendono di dubitare se sono ancora cattolici! Certo è che se ci fossero stati più G.e P. tra i cattolici non avrebbe vinto il divorzio, l’aborto, e entro breve le “nozze” omo con le nefandezze connesse. Speriamo che altri cattolici influenti si armino di coraggio e si mettano al servizio della Verità come G. e P.

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