Recensione del film “King Arthur” (regista Antoine Fuqua, soggettista David Franzoni, produttore Jerry Bruckheimer).
Di Emilio Biagini
L’efficienza della macchina hollywoodiana riesce a rendere digeribili le più farneticanti bufale. Non c’è dubbio, infatti, che questo film sia spettacolare e tecnicamente ineccepibile. Ma tutto ciò non riesce a mascherare la grossolana mistificazione storica che vi sta dietro. E anche davanti.
Si comincia con una solenne scritta che dovrebbe conferire al polpettone il prestigioso lustro di una profonda verità scientifica. La scritta proclama che “Gli storici sono d’accordo che la storia quattrocentesca di re Artù e dei suoi cavalieri sorse da un autentico eroe che visse mille anni prima nel periodo spesso chiamato degli Evi Bui.” E continua, in tono didattico: “Recenti prove archeologiche ne chiariscono la sua vera identità”.
Segue una voce fuori campo che ammonisce che gli avidi e malvagi Romani “bramavano di più, più terre, più popoli fedeli e sottomessi a Roma”.
Segue la crudele “aggressione” romana contro i poveri sarmati, la cui terra è devastata da una fantasiosa invasione nel 300 d.C. (sic, quando l’Impero da lungo tempo era ripiegato sulla difensiva). Che guerrieri sarmati fossero incorporati come cavalieri nell’esercito romano è noto, ma non certo in seguito a malvage costrizioni. Erano ben lieti di arruolarsi e diventare cittadini romani, come tutti gli altri non romani che prestavano servizio nelle legioni: per loro il servizio militare era la via principe verso la desiderata cittadinanza romana. Invece il film li mostra desiderosi solo di tornare “a casa”, e tutt’altro che romanizzati.
Il personaggio più disgustoso nella galleria dei cattivi è il vescovo Germanius, astuto, ipocrita, vigliacco e delinquente che blatera di religione a sproposito: perfetto ritratto di come i framassoni britannici vedono la Chiesa cattolica. E dai addosso alla Chiesa, che usciva appena dall’età delle persecuzioni e aveva tra le sue file un Sant’Ambrogio e un Sant’Agostino.
Il “Papa di Roma” (c’è bisogno di dire che è di Roma?) ha assegnato (sic, quando mai, durante l’Impero romano, sia pure in decadenza, il Papa assegnava terre?), dunque il Papa ha assegnato ad una importante famiglia romana (capeggiata da un certo Marius, il cui promettente figlio Alessio potrebbe addirittura diventare Papa) terre al di là del Vallo di Adriano. Assurdità totale: figuriamoci se una famiglia eminente veniva mandata allo sbaraglio a quel modo al di là dei confini già da tempo minacciati.
Naturalmente Marius è una specie di piccolo Hitler, che possiede numerosissimi schiavi celti che opprime e fa torturare (al contrario, alla fine dell’Impero lo schiavismo era pressoché estinto, sostituito dal colonato). Anche Ginevra è una sua prigioniera, che è stata opportunamente torturata dai suoi sgherri, e che Artù, il valoroso e generoso cavaliere sarmata che non vuol diventare romano, libera e successivamente sposerà.
Artù ha la missione di portare in salvo l’importante famiglia, ma Marius finirà ucciso da Ginevra con un colpo di freccia, in nome della libertà, che è il ritornello fiume dell’interminabile pappardella di Hollywood.
Pelagius, eretico britanno, viene indicato come paladino della solita hollywoodiana libertà: sarebbe stato ingiustamente scomunicato e fatto assassinare da malvagi vescovi come Germanius.
Dopo molte zuffe con i sassoni invasori, che avanzano (in realtà arrivarono solo dopo il ritiro romano, e chiamati dagli stessi regoli britanni), i sarmati e alcuni loro amici britanni, entrambi arceri formidabili che centrano il bersaglio meglio di John Wayne senza sbagliare un colpo, stabiliscono un loro mitico regno perfettamente ordinato, disciplinato e inquadrato come la guardia scozzese della regina Elisabetta (in realtà si frammentarono in tante piccole barbariche tirannidi, che gli antenati degli odierni inglesi si incaricarono di sterminare e schiavizzare come mai i Romani si sarebbero sognati di fare).
Ma la verità non conta. Milioni di persone vedono i film di Hollywood e credono che quella sia la realtà storica. E, del resto, quante paludate storie di professori universitari sono immuni da distorsioni ideologiche madornali e da un odio viscerale contro la Chiesa?