Il regime di Kiev: menzogne, persecuzioni e terrorismo in odio alla Russia

lo spettro della menzogna. Tutti, o quasi, i poteri statali, sovranazionali, finanziari, mediatici, lobbistici si sono coalizzati nel mantenere un regime basato sulle menzogne. Tra le altre, spicca quella che impone alle pubbliche opinioni la narrazione secondo cui sia stata la Russia a provocare la guerra con l’Ucraina e il cosiddetto Occidente, facendo datare la crisi a partire dal 24 febbraio 2022, giorno in cui le forze della Federazione Russa entrarono in Ucraina. È una falsificazione, perché il conflitto armato iniziò ben prima, con il golpe di Maidan nel febbraio 2014, quando il legittimo presidente ucraino Viktor Janukovyč, moderatamente filorusso, venne defenestrato da un sanguinoso colpo di stato finanziato da agenzie statunitensi e da alcune organizzazioni non governative facenti parte della galassia eversiva di George Soros (se ne è vantato lo stesso “filantropo” in una intervista alla CNN). Il nuovo governo filoccidentale, non legittimato da alcuna elezione, iniziò una feroce azione di repressione di tutte le espressioni politiche, mediatiche, civili e culturali, di quella parte dell’opinione pubblica russofona (il 40% della popolazione ucraina), russofila o semplicemente russa, come tutta la parte est e sud dell’Ucraina, la cosiddetta Novorossija, che comprende, tra altre regioni, Odessa, splendida città fondata nel 1795 da Caterina II ed edificata da architetti italiani, il Donbass (il Donetsk e il Lugansk), “cedute” all’Ucraina in periodo bolscevico, mentre la Crimea, liberata dai russi nel 1784 dal feroce dominio dei tatari musulmani venne “regalata” all’Ucraina da Krusciov. Inoltre è incontrovertibile il mancato rispetto, da parte degli USA e della NATO, degli accordi del 1991 quando, in cambio dell’assenso di Mosca alla riunificazione della Germania, l’Allenza atlantica s’impegnò a non espandersi ad est. Sappiamo come è andata a finire: con l’estensione della NATO a quasi tutti i paesi est-europei, sino ad arrivare “ad abbaiare alle porte della Russia”, con l’imperialistico intento aggressivo di strangolarla.

Il dominio della menzogna si accompagna sempre, è inevitabile, con un’altra imposizione alla pubblica opinione, implicita o esplicita: quella che Eric Voegelin ha lucidamente individuato come “il divieto di fare domande”.  Quando i potenti, ci dice Voegelin, sanno che “le loro opinioni non possono reggere all’analisi critica […] fanno del divieto dell’esame delle loro premesse una parte essenziale del proprio dogma.”

Ecco perché è cruciale, rompendo la congiura del silenzio, della censura e della menzogna, gridare la domanda: cosa è successo, e sta succedendo, in Ucraina? In quell’Ucraina che qualche esaltato euro-atlantista ha definito “bastione della democrazia”?

Subito dopo il golpe atlantista del 2014, iniziò una campagna di assassinii di oppositori al regime: scrittori, intellettuali, giornalisti, deputati al parlamento, magistrati accusati di essere russofili. Solo nel biennio 2014-2015 sono stati accertati ufficialmente le uccisioni di settantacinque oppositori al regime. E pochi ricordano il pogrom di Odessa del 2014, quando bande di nazionalisti ucraini si diedero a una feroce caccia al russo per le strade della città che fece almeno cento vittime di cui una cinquantina (o forse più, non si saprà mai) bruciate vive nel Palazzo dei Sindacati in cui si erano riparate e a cui le bande nazionaliste diedero fuoco.

Contemporaneamente partiva un crudele programma di eradicamento della cultura russa in tutte le regioni: divieto di uso della lingua russa, insegnamento scolastico solo in ucraino, poi messa fuori legge di almeno 11 partiti, chiusura di giornali, televisioni e radio filorusse. Circa 115.000 libri in russo tratti dalle biblioteche pubbliche sono stati bruciati in pubblici falò. Ma siamo ben lontani dall’obiettivo finale: tale Oleksandra Koval, direttrice dell’Istituto del libro ucraino aveva chiesto di eliminare dalle biblioteche 100 milioni di libri russi. E quando le regioni russofone dell’est, il Donetsk e il Lugansk, si ribellarono rivendicando l’autonomia, la risposta dell’Ucraina fu la guerra contro le due regioni: bombardamenti massicci su obiettivi civili, come mercati e ospedali, arresti e uccisioni indiscriminati, assassinii di amministratori locali.

Eppure, di questi massacri di cui si è reso colpevole il regime ucraino, dimostrati con prove, fotografie, testimonianze e persino accertati in un report ufficiale dell’ONU (che pure minimizzava il numero delle vittime, assai vicino alle 14.000), molto poco è comparso sulla stampa mainstream. Così come l’Occidente ha taciuto sull’uso sistematico, da parte dell’Ucraina, delle vietatissime bombe a grappolo. Dobbiamo le informazioni a cronisti coraggiosi e indipendenti, come Vittorio Nicola Rangeloni e Giorgio Bianchi. Esemplare (e terribile per la documentazione fotografica dei massacri, dei corpi torturati e delle distruzioni) il libro di Enrico Vigna, Ucraina, Donbass. I crimini di guerra della giunta di Kiev, Zambon Editore. Eppure le documentate accuse dei russi di questi massacri sono stati ignorati degli organismi internazionali. Ci ricorda, in un’intervista, lo storico Franco Cardini: “Hanno cominciato a uccidere le persone dopo averle accusate di collaborazionismo. I russofoni del Donbass presi casa per casa e passati per le armi”.

Così come troviamo poche informazioni, sui media mainstream, della persecuzione della Chiesa Ortodossa scatenata dal regime di Kiev: chiese e antichi monasteri violati ed espropriati, membri del clero arrestati e incarcerati, vescovi, sacerdoti e semplici fedeli aggrediti e percossi. In Ucraina, “bastione della democrazia”, la libertà di culto è gravemente conculcata.       

Incapace di vincere sul campo, l’Ucraina ha scatenato una guerra asimmetrica di natura terroristica, con assassinii anche al di fuori dei confini, oltre che attacchi ai treni e a strutture civili. Infiltrati hanno colpito anche in Russia, uccidendo intellettuali, giornalisti, scrittori. Nessuno in occidente si è indignato del brutale assassinio della giovanissima Darya Dugina, figlia del noto filosofo e politologo Alexander Dugin, anche lei filosofa, giornalista, poetessa e musicista.

Non solo l’Ucraina usa l’assassinio politico come forma di lotta, ma se ne vanta: Kyrylo Budanov, capo dei servizi segreti di Kiev ha dichiarato: “continueremo a uccidere russi nel mondo”, rivendicando orgogliosamente anche l’uccisione di “molti giornalisti propagandisti russi”. È recente l’assassinio, in un carcere ucraino, del giornalista di nazionalità americana e di origine cilena Gonzalo Lira, arrestato dei servizi ucraini con l’accusa di aver criticato il presidente Zelensky. Un delitto di opinione. Eppure l’amministrazione USA non si è mossa per liberarlo. Ha denunciato il padre: “Non posso accettare il modo in cui mio figlio è morto. È stato torturato, tenuto in isolamento per 8 mesi e 11 giorni e l’ambasciatore statunitense non ha fatto nulla per aiutare mio figlio.” Anche su questo caso è calato il quasi totale silenzio dei media atlantisti e russofobi.

Contemporaneamente i servizi segreti ucraini, addestrati da USA e Gran Bretagna hanno iniziato una feroce campagna contro i cosiddetti collaborazionisti, cioè russi della Crimea, del Donbass, di Odessa e di altre regioni russofone. Per gli sgherri di Zelensky, sarebbero collaborazionisti tutti i russi d’Ucraina che vogliono continuare a parlare russo, frequentare scuole in lingua russa, leggere libri e giornali in russo, ascoltare radio e televisioni russe e che hanno votato in liberi referendum perché le loro piccole patrie venissero annesse alla Madre Russia. Gli assassinii e gli attacchi terroristici che hanno come obiettivi collaborazionisti vengono non solo ammessi, ma sono anche motivo di vanto dei servizi. Riferisce l’Adnkronos nel marzo scorso di alcune dichiarazioni di Vasyl Malyuk, alto ufficiale dei Servizi di sicurezza (il famigerato SBU): “Ufficialmente non lo ammetteremo”, ma poi confessa che “moltissime” persone, collaborazionisti, amministratori locali nei territori liberati delle Repubbliche del Donetsk e del Lugansk o comunque filorussi in tutta l’Ucraina sono state vittime della campagna terroristica dei servizi di Kiev.

Inoltre sono migliaia i detenuti per collaborazionismo in Ucraina, spesso in condizioni terribili. Ne hanno parlato persino media russofobi come RaiNews (“Collaborazionisti in Ucraina. Pene severe e carceri piene”) o il quotidiano ultra-liberal e atlantista britannico The Guardian che è riuscito ad entrare in alcune carceri segrete ucraine dove sono detenuti, e soggetti a trattamenti inumani, uomini e donne colpevoli di aver collaborato con i russi o con le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk ma anche, semplicemente, di essere russi e di voler continuare ad esserlo. Persone quasi sempre arrestate dopo che questi territori sono stati rioccupati dalle truppe ucraine che, come primi atti, si sono dati alla caccia ai russi colpevoli di aver collaborato con i loro compatrioti liberatori. Spesso, scrive The Guardian, le confessioni sono state estorte con torture (“They had been pressured in signing confessions”). Secondo il quotidiano britannico, che cita i servizi di sicurezza ucraini dello SBU, gli imprigionati sarebbero 8.100, ma la cifra è chiaramente falsa per difetto. Le condanne continuano: anche nel mese di marzo, riferisce LaVerità, altri quattro filorussi sono stati incriminati e condannati a ben 15 anni di carcere per un indeterminato “collaborazionismo”.

Riferisce il ben informato sito l’Antidiplomatico di uno sconvolgente dossier, ancora del 2023, dell’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite (United Nations High Commissioner for Human Rights, UNHCHR o Office of the High Commissioner for Human Rights, OHCHR), che la nostra stampa si è ben guardata di riferirci, dal quale si evince in modo chiarissimo come l’Ucraina  (“Il bastione della democrazia”) abbia cessato di essere uno stato di diritto ed è ormai uno stato di polizia, dove la giustizia viene di fatto amministrata dai servizi di sicurezza, le persone vengano arrestate senza mandato e detenute senza controllo giudiziario. Inoltre il report dell’ONU documenta l’utilizzo di almeno 29 luoghi di detenzione non ufficiali tra cui appartamenti, sotterranei di edifici abbandonati, commissariati, sedi locali dei servizi. L’OHCHR rileva inoltre come nelle prigioni segrete siano emerse casi di tortura, maltrattamenti, minacce di morte, stupri e abusi sessuali. Denuncia questo ufficio dell’ONU: “La tortura e i maltrattamenti sono stati usati per estorcere confessioni o informazioni o per indurre i detenuti a collaborare in altro modo, per estorcere denaro e proprietà, oltre che per punire, umiliare e intimidire”.

La persecuzione contro i russi non è soltanto attuale, ma viene pianificata anche per il futuro. Con una stupefacente spudoratezza che va molto al di là del semplice wishful thinking, visto l’attuale andamento del conflitto, Kiev già annuncia il destino dei russi di Crimea (cioè di tutti gli abitanti, salvo un’infida e rumorosa piccola minoranza di tatari musulmani) dopo una ben poco credibile futura liberazione della penisola: il regime ha nominato tale Tamila Tasheva, non per nulla di origine tatara, come regista della gestione della Crimea dopo l’improbabile riconquista ucraina. Costei ha già promesso la punizione di almeno 10.000 collaborazionisti, epurazioni di massa e persino una espulsione forzata di un numero tra i 500.000 e gli 800.000 russi.

L’arroganza del regime di Zelensky non rispetta confini, sovranità degli Stati e diritti civili. L’autocrate di Kiev a febbraio ha promesso di inviare al governo italiano (copia anche alla Commissione Europea) una “lista di proscrizione” di intellettuali, giornalisti e in generale esponenti della società italiana che il l’ex comico dittatore considera filorussi. L’ordine è perentorio: l’Italia deve (è letterale) “zittirli”. Forse pensa a sistemi come quelli da lui usati per silenziare le opposizioni ucraine: assassinii, carcerazioni, torture?

Ciò che è stupefacente è stata l’assenza di qualsiasi sussulto di dignità da parte delle autorità italiane: non una reazione di indignazione e di protesta da parte dell’ultra-atlantista Giorgia Meloni né da parte del Ministro degli Esteri, Antonio Tajani (quello che, intervistato, sembra capitato lì per caso). Anche la stampa italiana mainstream, cioè quasi tutta, non ha dedicato grande spazio alla gravissima intimidazione di Zelensky né tantomeno abbiamo letto severi commenti di condanna, come quelli usualmente riservati a Putin. Unica eccezione un articolo di Maurizio Belpietro su LaVerità.       

Ultima notizia: l’Ucraina ha sospeso la sua adesione alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Quindi sono sospese ora anche ufficialmente la libertà di movimento, l’inviolabilità delle case, la libertà di pensiero e di parola. Sospesi da tempo anche i diritti consolari degli ucraini fuggiti dal paese per evitare l’arruolamento forzato per una guerra che molti ucraini non sentono; la polizia ucraina effettua delle vere e proprie retate nelle strade per rastrellare reclute che, senza addestramento sufficiente, vengono inviate al tritacarne del fronte. Non solo: l’Ucraina ha intimato ai paesi dell’est Europa che ospitano i gli esuli fuggitivi di arrestarli e consegnarli ai suoi aguzzini. Considerata la bieca e isterica russofobia che affligge paesi come Polonia, i paesi baltici, ma anche la Germania, non è da escludere che questo crimine internazionale venga commesso.

Lungi da essere una guerra tra un aggredito e un aggressore, il conflitto attuale è soprattutto una guerra civile. Il distacco dell’Ucraina (la “piccola Russia”) dalla “grande Russia”, che assieme alla “Russia Bianca”, la Bielorussia, componevano “tutte le Russie” era già stato condannato da Aleksandr Solženicyn (che pure si definiva ucraino “quasi per metà”) fin dal 1990: “Staccare oggi l’Ucraina significa passare attraverso milioni di famiglie e di persone. […] Non ci serve questa crudele separazione! Sarebbe il frutto dell’ottundimento degli anni comunisti. Insieme abbiamo sofferto l’epoca sovietica, insieme siamo precipitati in questo baratro e insieme ne usciremo”. Ancora una volta, come sul “sistema della menzogna” dominante in Occidente, Solženicyn fu profeta inascoltato.

E, per compiacere USA e NATO, il massacro continua.

     

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