Cari ragazzi
che di nuovo vi siete buttati anima e corpo a recitare il copione già scritto che qualcuno vi ha messo in mano, provate almeno una volta a fare lo sforzo di leggerlo e di capirlo, prima di andare in scena. Prima di unirvi al coro (al chiasso) che si è raccolto a segnale, prendete uno per uno gli slogan che avete trovati già pronti da martellare sui social e da strillare nelle piazze e nelle scuole, e chiedetevi quale senso abbiano – perché un senso ce l’hanno – e come mai il loro suono, per frequenza e intensità, sia tale da penetrare dentro di voi fino a scavarci una tana. E da lì corrodere pian piano i tessuti, come fa un parassita.
Davvero pensate che l’allestimento imponente spuntato fuori all’indomani di un tragico fatto di cronaca nera sia il frutto di una straordinaria convergenza di idee e di azioni, scaturite da un’ispirazione spontanea del bravo cittadino collettivo? Sul serio credete, rispondendo al precetto, di incarnare la nuova gioventù ribelle, paladina di una società migliore di quella logora e decadente che vi abbiamo consegnata in eredità?
Che vi stiamo servendo un mondo avvelenato e putrescente, è fuori di ogni dubbio. Che abbiate la voglia di risanarlo, è cosa buona e giusta: siete voi, domani, a doverlo vivere. Lo slancio ideale, per ragioni quantomeno anagrafiche, vi appartiene per legge di natura. Ma questo straordinario potenziale di energia, insito in ognuno di voi, lo state dissipando in forme di obbedienza irriflessa che è il contrario esatto dell’antagonismo creativo, intelligente, a un sistema che vi vuole tutti succubi. Uguali. Devoti.
Vi siete assuefatti, ormai, alle manifestazioni preconfezionate, addirittura agli scioperi farlocchi promossi da un’opaca istituzione autoritaria ma senza autorità. È una trovata geniale nella sua patente idiozia: lo sciopero, che incarna per antonomasia l’arma del soggetto debole contro il potere, è diventato il mezzo con cui lo stesso potere rastrella adepti per il suo tornaconto, regalando loro, in unica soluzione, tanto l’ebbrezza della (finta) trasgressione, quanto il comfort della piena approvazione sociale.
Si tratta di quello stesso potere che non molto tempo fa, col pretesto di un’emergenza sanitaria, vi ha sequestrati, isolati, colpevolizzati e ricattati e voi però allora siete stati zitti, perché vi è mancato lo sparo del via e il suggeritore delle battute da mandare a memoria. E avete anche accettato, senza fiatare, di esibire un lasciapassare per bere uno spritz. Oltre che per prendere un treno, per entrare in un cinema, per fare due tiri al pallone. Dall’esperimento siete usciti distrutti, e i suicidi non si contano più. Ma questi non sono delitti di Stato: no, lo Stato quella volta non vi ha detto di chiamarli così. Anzi, ve lo ha espressamente vietato, così come ha punito in modo implacabile, disumano, ogni minima infrazione al ferreo catechismo biosecuritario e ai suoi rituali grotteschi.
Di fronte a tanti plateali controsensi, non vi sorge il dubbio che vi stiano facendo aderire a un piano che non è vostro piano? Elaborato, anzi, per dispiegarsi contro di voi e la vostra vita?
Provate a scavare un po’ sotto i lemmi ossessivi smerciati dalla centrale, arrivate fino alla fonte. Scoprirete un programma, apparecchiato per filo e per segno negli organismi sovranazionali (ONU e dintorni) e da lì diffuso sottoforma di agende di cui vi prestate a essere esecutori inconsapevoli e zelanti.
Certo, costa fatica cercare oltre l’apparenza, frugare dietro le parole d’ordine, indagare le cause e gli effetti di ciò che avviene intorno a voi. Ci vuole tempo, intraprendenza, buona volontà, e probabilmente strumenti che nessun “educatore” si premura più di fornirvi e dovreste conquistarvi da soli: uno sforzo non richiesto se ci si lascia trasportare a peso morto dall’onda di piena mediatica senza chiedersi alcun perché.
Evidentemente, in mezzo ai mucchi di paccottiglia ideologica con l’etichetta di “educazione civica” che vi tocca ingurgitare a scuola per legge, non c’è spazio per i principi basilari della civiltà giuridica della quale in Italia ci vantiamo pure di essere culla. Per esempio, il principio per cui la responsabilità penale è personale. Oppure quell’altro, che stabilisce come il bene della vita va protetto in sé e per sé, indipendentemente da chi ne abbia subito l’offesa. La vita del padrone vale quanto la vita del servo della gleba: questa conquista della storia umana viene calpestata ogniqualvolta si insinui l’idea regressiva che la gravità di un omicidio si misuri in ragione della qualità della vittima – del suo sesso, della sua razza, delle sue opinioni politiche, del suo credo religioso, delle sue condizioni morali o sociali, di chissà cos’altro – perché così si spalanca la porta all’arbitrio del più forte, e alla barbarie di ritorno. La stessa che alligna dietro la colpevolizzazione generale per un reato individuale.
Per questi e per mille altri motivi, prendetevi il tempo della riflessione.
Pensate solo come nelle società dove brilla da tempo il sol dell’avvenire, dove le donne sono più “emancipate” e i vincoli famigliari praticamente dissolti, dove la figura paterna è evaporata nell’indistinto e di fatto non esiste più, lì la violenza si impenna. Come si spiega questo strano fenomeno se la colpa è tutta di ciò che, a comando, chiamate “patriarcato” pretendendo di buttare via, insieme a una formuletta senza fondamento, i tratti costitutivi del maschio e del padre? Siete convinti davvero di cancellare le violenze cancellando la virilità e la fortezza d’animo, la responsabilità e l’attitudine alla protezione dei più fragili, delle donne e dei bambini?
Invece di combattere contro l’oppressione delle idee, vi concedete come carne da cannone alla più becera propaganda. È importante che realizziate presto l’inganno, perché anche voi siete chiamati, come i vostri padri e le vostre madri, a essere custodi della vita e della sua potenza creatrice. Il motore del mondo, che risponde a leggi invincibili, esige la complementarità.