Guido Morselli, quando il genio fa controletteratura & controstoria

Nell’estate del 1973 metteva tragicamente fine alla sua vita Guido Morselli, il genio incompreso della letteratura italiana del ‘900. Lo scrittore, nato a Bologna ma cresciuto in Lombardia, tra Milano e Varese, nel corso della sua vita aveva scritto numerosi romanzi, e anche alcuni saggi, tutti respinti dagli editori a cui erano stati proposti.

Tra il materiale dello scrittore, lasciato per sua volontà alla Biblioteca di Varese, figura una cartella intitolata “Rapporti con gli editori”, che contiene il carteggio inedito di Morselli con i responsabili di varie case editrici, ai quali aveva sottoposto i propri scritti dal 1947 fino al 1973, fino all’ultimo ripetuto appello alla pubblicazione almeno di Dissipatio H.G., opera che riteneva avrebbe potuto interessare i suoi interlocutori.

Si parla, tra gli altri, di Mario Pannunzio, direttore del “Mondo”, Guido Calogero, direttore della “Cultura”, Vittorio Sereni per Mondadori. Morselli ottenne qualche risposta, molti ostentarono una placida indifferenza, altri persero i manoscritti come Luciano Foà che, nel 1956, smarrì Fede e ricerca negli archivi dell’Einaudi dove non fu più ritrovato. L’anno successivo, Geno Pampaloni, allora alle edizioni di Comunità, si prese sette mesi per leggere le 60 pagine del saggio Filosofia sotto la tenda.

Italo Calvino, nel 1965, rifiutando la pubblicazione de Il comunista presso Einaudi – di cui era direttore editoriale – gli scrisse una lettera in cui stroncava ogni sua velleità di scrittura, terminando con la frase “Spero che lei non s’arrabbi per il mio giudizio”. Morselli gli rispose che accettava la sua autorevole critica, e aggiungeva: “La prego: quando ritorna a Milano me lo faccia sapere, verrò a salutarla e per me sarà incontrare un amico. Per non essere, a Lei, del tutto uno sconosciuto: sono emiliano, autodidatta, vivo solo su un piccolo pezzo di terra dove faccio un poco di tutto, anche il muratore; politicamente sono in crisi, con quasi nessuna speranza di uscirne”.

Nel 1966 Rizzoli, infine, accettò di pubblicare un suo lavoro e iniziò a sottoporgli le bozze per la correzione; il nuovo direttore editoriale, tuttavia, annullò tutti i programmi e il romanzo restò in bozza. Il romanzo Contro-passato prossimo fu proposto a Carlo Fruttero il quale, rifiutandone la pubblicazione per Mondadori, scrisse che “…aveva un inizio sfolgorante, una buona prima parte, ma la seconda non convinceva”.

Morselli era arrivato a sessant’anni senza aver mai trovato un editore che apprezzasse quelle opere geniali e controcorrente rispetto alla moda mainstream del romanzo realistico, e decise di togliere il disturbo con un colpo di pistola.

Un anno dopo, l’editore Adelphi per volontà di Roberto Calasso, scopriva questo straordinario tesoro nascosto dei suoi inediti, e scoppiò il caso letterario. Immediatamente dopo la pubblicazione del primo romanzo, Roma senza papa, Giulio Nascimbeni scrisse sul “Corriere della Sera”: “La prima tentazione è di dire che c’è stato anche un Gattopardo del Nord. Viveva in luoghi profondamente lombardi, tra Gavirate e Varese. Scrisse migliaia di pagine. Sperò a lungo che gli editori si accorgessero di lui. (…)  Adesso esce un suo romanzo, Roma senza papa, pubblicato dalla Adelphi, e se ne resta attoniti, come davanti a un frutto raro e inimmaginabile”.

Giuseppe Pontiggia definì Morselli una “proiezione esemplare dello scrittore postumo, respinto in vita dall’incomprensione dei giudici (…). le resistenze che hanno ritardato il suo riconoscimento hanno come causa particolare l’essersi, Morselli, scostato dalla linea tradizionale del romanzo italiano”. Proprio questo era stato il motivo per cui l’editoria lo aveva snobbato: le sue opere contenevano troppi elementi di immaginazione, che si allontanavano dal grigio mimetismo della narrativa ufficiale “impegnata”. Addirittura, alcune delle sue opere potevano essere definite di fantastoria o, meglio, ucroniche.

Il romanzo con cui genialmente e meritoriamente Calasso volle portare a conoscenza del pubblico Morselli fu, come si diceva, Roma senza papa, un libro che riletto cinquant’anni dopo lascia stupiti per la sua visionarietà quasi profetica. Il romanzo era stato scritto tra il 1966 e il 1967, all’indomani della conclusione del Concilio Vaticano II. Morselli, che ebbe un rapporto sofferto con il proprio cristianesimo, guarda con preoccupazione alla rivoluzione scoppiata nella Chiesa.

La storia è ambientata alla fine del secolo, con una Chiesa profondamente cambiata, alla cui guida, in modo molto lasso, c’è un papa chiamato Giovanni XXIV. Nella Chiesa si è imposta la “collegialità” e vengono imposte riforme come l’abolizione del celibato dei preti. Il papato è diventato a tempo, della durata di quindici anni, e quindi si trovano dei pontefici “emeriti” che hanno lasciato il posto ad altri, compreso un americano ex giocatore di basket. Al lassismo ha fatto seguito il caos: singoli vescovi e anche sacerdoti prendono iniziative personali tra le più curiose, tra spontaneismi liturgici e iniziative auto promozionali. Oltre al caos in cui versa la Chiesa, anche la situazione sociale e politica è descritta con scenari inquietanti: l’Italia dopo il suo ingresso nel club europeo affronta una grave crisi economica con fabbriche in dismissione e attività che chiudono una dopo l’altra, a vantaggio dei Paesi del Nord Europa e degli Stati Uniti, guidati dalla Presidentessa Jacqueline Bouvier Kennedy.

Alla fine, arriva un nuovo papa, un tradizionalista irlandese, profondamente addolorato per la situazione di sfascio della Chiesa, e che abbandona Roma, rifugiandosi in un paese di campagna, concludendo che solo toccando il fondo si poteva risalire.

Dopo il postumo e tardivo, e in molti casi decisamente ipocrita successo di critica, oltre che di pubblico, Adelphi continuò con la pubblicazione delle opere di Morselli, tra le quali spicca per bellezza di scrittura e per originalità della trama, uno dei capolavori della letteratura ucronica mondiale, Contro-passato prossimo.

Questo romanzo, forse il più sottilmente paradossale e ragionato della produzione morselliana, ci racconta di come l’Italia venne sconfitta dall’Austria nella Grande Guerra e come, al modificarsi di questo fattore, ne sortì un mondo totalmente diverso: in conseguenza della sconfitta italiana anche su altri fronti le sorti del conflitto cambiarono, così da portare alla vittoria degli Imperi Centrali. Questo significò che la Rivoluzione Bolscevica in Russia fallì, e quindi niente Comunismo, ma nemmeno, negli anni ’20 e ’30, niente Fascismo, niente Nazismo, e isolamento degli Stati Uniti a casa propria. Uno scenario fin troppo bello per essere vero, determinato da un geniale ufficiale austriaco che propone un’idea ardita per sconfiggere l’esercito in grigioverde.

Qualche critico malevolo e affetto da nazionalismo italico ebbe ad attaccare Calasso – considerato troppo innamorato della Mitteleuropa asburgica – per aver voluto pubblicare anche questo romanzo, ma in realtà fu una scelta assolutamente meritoria perché portò alla luce questa storia davvero affascinante. Facendoci passare attraverso una galleria di personaggi, militari e diplomatici, attraverso aule di Parlamenti e corridoi di Ministeri, colpi di mano militari, equivoci, sviste, inganni, manovre, astuzie, attentati, l’autore costruisce una storia avvincente come un giallo e profonda come un romanzo storico.

Veramente uno scrittore da scoprire, o da riscoprire, questo Morselli. Mai entrato nei salotti buoni dell’intellighentia italiana, solitario abitante del tranquillo borgo di Gavirate, scriveva per esaudire un’esigenza interiore. Uomo controcorrente, non per scelta, ma per intima vocazione.

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