Una giovane donna impegnata nel mondo della comunicazione ha ricevuto, assai perplessa, il seguente messaggio da Linkedin, la piattaforma globale che facilita contatti professionali: “mostra i tuoi pronomi sul tuo profilo, per far sapere agli altri come devono riferirsi a te”. Superata la meraviglia iniziale, apprendiamo dal sito di Linkedin “l’importanza dei pronomi e come usarli”, attraverso il giudizioso pistolotto di una signora (almeno a giudicare dalla fotografia e dal nome) esperta in “diversity, equity an inclusion”, autrice di una sorta di Bignami dell’evangelo LGBT+. Gli utenti di Linkedin sono invitati a esprimere il loro “orientamento sessuale” o almeno in quale genere (grammaticale, sessuale?) vogliono essere incasellati. Pronomen omen, il pronome come destino, sia pure liquido, revocabile.

A parte il disprezzo per la privatezza e il senso comune (l’aspetto femminile e il nome Valentina, frutto della maledetta casualità biologica, non bastano a identificare la nostra amica, nel mondo felice dei Risvegliati) si rivela l’attacco alla creatura umana, decostruita sin nell’identità più intima. Linkedin fa parte della galassia Big Tech, ha sede a Mountain View, California, la città di Google, ed è stata fondata da Reid Hoffman, uno dei titolari della rete di pagamenti elettronici Paypal, miliardario e ottimo amico di George Soros. Con il sedicente filantropo della Società Aperta, Hoffman ha fondato nel 2021 Good Information Inc., un’agenzia di stampa il cui compito è “contrastare le false notizie sulla stampa e sul web”. Vasto programma.

L’accomandita dei due amiconi sostiene che in un “ambiente mediatico sempre più decentralizzato, forze antidemocratiche e reti di cattivi attori” hanno portato a “conseguenze pericolose”, tanto che “96 milioni di americani credono che le elezioni siano state rubate all’ex presidente Trump, mentre 89 milioni credono che la frode elettorale sia un grosso problema”. Il linguaggio orwelliano elevato a scienza. L’orientamento di Linkedin, come dell’intera Big Tech – con l’eccezione di Elon Musk – è quello del progressismo radicale globalista. Affrettiamoci a declinare le generalità, ossia a indicare i “pronomi”. Una prova in più mandanti della cultura della cancellazione: il piano alto dell’oligarchia, con buona pace di chi dà la caccia al marxismo culturale, il cui ruolo è quello – gregario e servile – del cane da guardia.

Non è colpa dei comunisti se Mark Zuckerberg prospetta il “metaverso”, il mondo virtuale che oblitera la realtà dietro gli occhiali tridimensionali a pagamento. Non sono i bolscevichi superstiti, ma Bill Gates, a chiederci di mangiare insetti e carne artificiale, imporci vaccinazioni e prefigurare un futuro di pandemie. Non è proletario e comunista il Grande Reset, la tabula rasa dopo la quale il Reinizio ci renderà felici pur non avendo – e non essendo – nulla, in cui ci ciberemo di alghe e piante tropicali in omaggio a Gea, la madre terra sui cui destini si chinano pensosi miliardari filantropi. L’attacco all’uomo, avviato con il potere finanziario, proseguito con Tecnopolis e con la decostruzione delle identità, dapprima nazionali, spirituali, culturali e comunitarie, poi familiari, sino a quelle sessuali e intime, viene dalle oligarchie globaliste. Prima lo capiremo, prima potremo organizzare la resistenza.

La pandemia ha fornito lo strumento più antico e insieme più raffinato a chi possiede tutti i mezzi: il dominio attraverso la paura. La stampa e la televisione di servizio – i proprietari sono sempre loro – evoca da due anni metafore belliche, scenari in cui dominano orrore e terrore, con successive rassicurazioni da parte degli impiegati di concetto, scienziati ed esperti. Stanno costruendo l’animale asociale, distanziato, nemico dell’Altro, solitario frequentatore del metaverso, estraneo alla realtà chiuso nella celletta di un alveare, abusato nel corpo e nell’anima. Risorgono anatemi del passato: i “negazionisti”, i no vax, sono gli eretici e gli infedeli da condannare al rogo. Le contraddizioni più palesi non vengono colte: il morbo è contagiosissimo, strillano, pressoché inevitabile. Se è così, perché esigere misure sempre più estreme, precauzioni in cui si incrociano paranoia e ipocondria?

Le bizzarre convinzioni instillate nella massa non hanno nulla di razionale, né attengono alla categoria della prudenza o dell’altruismo. Sono imperativi categorici, principi indiscutibili a cui conformare ogni condotta. Infrangerli produce nei credenti l’indignazione contro gli eretici, uniti all’ira e al desiderio di punirli esemplarmente.

Restrizioni e violazioni, nello schema della paura e dell’isolamento, finiscono per generare un nuovo universo (im)morale, in cui i principi naturali di prossimità, fiducia, compassione, cura sono sostituiti dalla distanza, dall’indifferenza e dall’ avversione per il prossimo di un homo viralis ridotto alle pulsioni elementari e ai suoi “pronomi”, tragiche controfigure della libertà. Scrisse Arthur Schopenhauer che l’uomo assennato in mezzo agli stolti somiglia a uno il cui orologio sia preciso in una città dove tutti gli orologi pubblici sono regolati male. Conosce l’ora esatta, ma a che gli serve?

L’immaginario epidemico contiene elementi tipici dei riti religiosi. I sacrifici per mantenere le distanze dal virus ricordano le privazioni ascetiche di ieri, inclusa l’autoflagellazione per scacciare il male e il peccato. La reiterata narrativa catastrofista, cui non si sfugge dovunque ci si trovi, ha evidenti analogie con il racconto apocalittico. In più vi è l’appello palingenetico alla “nuova normalità” dell’umano dissociato da se stesso, distante, attaccato agli apparati elettronici, dipendente dalle ultime notizie, immerso in una modalità esistenziale che chiamano “smart”, furba, un ulteriore rovesciamento linguistico.

Il dissidente è l’ateo di ieri, nell’ossessione religiosa per la purezza, sostituita dalla pulizia, sanificazione e compulsiva detersione delle mani. Eppure il detestato virus non si trasmette attraverso le superfici e gli oggetti. Per un verso, ci spingono verso libertà libidinali, nello scatenamento delle pulsioni più basse, in cui eccelle la menzogna del “genere”, con i suoi riti collettivi (i gay pride) e la sua folle grammatica: i “pronomi”, gli asterischi al posto delle desinenze, l’uso cautelare della “schwa”, il segno fonetico simile alla e rovesciata, per ostentare una sciocca neutralità.

Dall’altro, ci imprigionano nella paura, utilizzando antichi espedienti simbolici di cui non cogliamo più il significato. Lo spiega Jonathan Haidt ne La mente tribale, traduzione truffaldina di The righteous mind (La mente retta, “giusta”). La moralità tradizionale identificava il peccato con la sporcizia e la santità con la pulizia. In alcune religioni era una coincidenza simbolica, in altre imponeva prescrizioni precise, come l’obbligo di abluzioni affinché il corpo fosse netto al momento del rito e della preghiera. Studi anteriori alla pandemia hanno dimostrato che il sovraccarico informativo sui germi patogeni spinge a un comportamento antisociale, all’isolamento, alla sospettosità e provoca una marcata inclinazione a discriminare, stigmatizzare l’Altro.

Certi di esserci liberati di ogni tabù, fluidi in tutte le identità, abbiamo accettato l’esproprio del corpo fisico e l’abolizione di diritti naturali come la libertà di movimento e la possibilità di scegliere se essere o meno sottoposti a trattamenti sanitari. La forza colossale della comunicazione terrorifica ha elevato al parossismo la percezione di allarme. Quel panico e quello sconcerto hanno portato alla nascita di un universo morale in cui il virus diventa l’incarnazione del male.

Il vaccino non è percepito come strumento per prevenire la malattia, bensì come rito iniziatico, sacramento laico che conferisce la qualifica di buon cittadino. La mascherina, il gel, la distanza interpersonale diventano simboli di virtù, di superiorità morale, mentre l’universo pandemico ha portato alla luce il peggio dell’essere umano, incoraggiato l’egoismo e in qualche caso il sadismo (le dichiarazioni di alcuni ministri ne sono un esempio) nel privare dei diritti –naturali prima che legali- gli eretici e gli infedeli, renitenti alla vaccinazione.

La decostruzione procede anche promuovendo lo spionaggio reciproco, la delazione mascherata da virtuoso comportamento sociale. Totalitarismo riverniciato, come il caso dei ragazzini modenesi nominati controllori del “corretto” comportamento anti epidemico dei coetanei. Vale la pena rammentare il famoso esperimento di Zimbardo, i cui partecipanti furono divisi a caso tra carcerieri e prigionieri e posti in una struttura organizzata come una prigione. I finti secondini divennero presto veri aguzzini e l’esperimento dovette essere interrotto.

L’orrore massimo sarebbe che la vita priva di significato dell’uomo liquido ridotto ai pronomi e agli asterischi sia riempita di senso proprio dalla paura del virus. Sarebbe la vittoria finale della decostruzione cognitiva, materiale e spirituale, il segno che l’attacco all’uomo è riuscito a modificare irreversibilmente la realtà. Arthur Koestler, autore di Buio a mezzogiorno, denuncia del totalitarismo, ammise che negli anni in cui era stato comunista, per evitare l’orrore del vuoto era disposto a negare tutto ciò che i sensi gli mostravano come evidente.

Il controllo mentale è diventato una scienza, coltivata nelle cattedrali del potere riservato. La psicologia fa la sua parte, così come le tecniche di insegnamento via computer e i modelli di comportamento indotti, propaganda, pubblicità, sovraccarico di informazioni. Solo masse che non credono ai loro occhi possono convincersi di assurde teorie che decostruiscono l’identità intima di ciascuno; solo masse travolte dalla paura possono prestare fede alla narrazione falsamente scientifica del vaccino e della pandemia. Eppure accade: ci trattano da cavie, i topi e i piccioni della gabbia di Skinner, e cadiamo nella trappola. Estinguiamo la verità attraverso i comportamenti oggetto di rinforzo negativo, ossia la riprovazione del potere o l’ansia di ritenerci soli a credere in ciò che vediamo.

Anni fa transitavamo nelle zone dell’Emilia in cui più forte è il potere della sinistra di ascendenza comunista. Nei quartieri nuovi, lindi, ordinati, tra villette ben tenute e automobili di grossa cilindrata, simboli di ricchezza e laboriosità, colpiva la toponomastica. Ogni via e piazza era intitolata a personalità, episodi, parole d’ordine della sinistra internazionale. Nulla di più distante dalla quiete e dall’evidente soddisfatto conservatorismo delle abitazioni e delle auto, dell’ordinata sequenza di alberi e giardini. Ciononostante, quella toponomastica, quel senso comune introiettato attraverso i nomi dei luoghi familiari, produce un senso positivo, un condizionamento inavvertito che consente il trasbordo ideale, ossia permette di chiamare nero ciò che è bianco senza che la coscienza si ribelli.

L’essere umano, diceva Unamuno, muore di freddo e non di oscurità. Oggi è il gelo il padrone del nostro cuore. Ci avvolge un brivido cui è difficile sfuggire. Il tempo è carente del minimo calore umano, di abbracci e di sorrisi che, quando ci sono, si nascondono dietro la mascherina della sottomissione. La pandemia – uguale all’algida, permalosa neutralità dei pronomi – priva del tonico per continuare a vivere. Alla sopravvivenza dicono di provvedere coloro che governano il mondo, ma a che pro, privati di amore, fraternità, solidarietà, in definitiva estirpati dell’umanità? Ci abituiamo a vederci in lontananza, un orizzonte indistinto in cui il prossimo e i deliri si mescolano diabolicamente, come realtà e virtualità nel metaverso prossimo venturo.

Viviamo nell’autismo emozionale, nell’egoismo soddisfatto dei sopravvissuti, prodromo dell’inverno politico, sociale, spirituale. Ci hanno tolto le emozioni, poi, poco a poco, l’individualità, le idee, il pensiero, infine il possesso di noi stessi. La maggioranza non se ne è avveduta, giacché, senza la capacità di sentire, siamo carne senz’anima. Nulla ci colpisce al di là della nostra circonferenza corporea, il dolore altrui diventa fastidioso; si è impadronito di noi il vento gelato dell’indifferenza, dell’amoralità, dell’accidia.

Accogliamo tutto con uno sbadiglio, in attesa della notizia successiva, l’unica cosa che conta è Io, il Sé dimezzato del servo che lecca la mano del padrone. Il congelamento è orribile, lascia sul viso una smorfia simile a un inquietante sorriso sardonico. Contemplandolo, i nostri padroni potranno dire che moriamo di felicità, dopo averci ridotto a pronomi. Pronomi: letteralmente, significa “al posto dei nomi”, ovvero codici, QR, numeri, capi di bestiame umano.

Tuttavia gli uomini, alcuni uomini, e poi sempre di più, si accorgeranno del freddo e si muoveranno per scaldarsi a vicenda e ritornare nomi, cognomi, persone. Molti riceveranno il vento freddo senza resistenza. Altri, i lupi che resistono al gelo, mostreranno la faccia e i denti ai persecutori. L’attacco all’uomo viene da altri uomini: prima o poi fallirà. Pronomi di tutto il mondo unitevi, e il sangue si gelerà nelle vene dei Padroni.

1 commento su “Attacco all’uomo”

  1. Complimenti! Condivido l’analisi antropologica e filosofica, ed ovviamente la speranza di un ritorno alla Legge di Dio. Vedo in pericolo i nostri giovani affascinati e coinvolti dal “progresso” tecnologico e dal mondo virtuale. Dobbiamo cercare di aprire i loro occhi e le menti. Grazie

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