Il fallimento e la morte del principio democratico non poteva non mostrarsi in tutta una desolante crudezza proprio oggi, cioè nel tempo in cui esso viene evocato ossessivamente nonostante la sua inesistenza concreta. Come avviene per le filastrocche, capaci di addormentare i bambini proprio in virtù di una paradossale insensatezza, che attira l’attenzione distraendola da ogni altro pensiero compiuto. Infatti, se quelle nenie avessero un senso reale, esaurirebbero presto la propria funzione anestetica attivando il pensiero riflesso e anche il giudizio. Allo stesso modo, pensiero e giudizio sono stati azzerati di fatto dalla vita collettiva perché, grazie alla perdita del buon senso e della ragione naturale, alla ignoranza di massa frutto di una falsa acculturazione, si è realizzata l’anestesia della società.
Il destino fallimentare della democrazia è segnato dalla incapacità indotta nel popolo di individuare proprio quell’interesse di cui esso, proprio in virtù del sistema democratico, avrebbe dovuto essere l’interprete migliore.
Così oggi il Signor Draghi, come ha potuto svendere a suo tempo l’Italia senza dare troppo nell’occhio, è tanto sicuro della mancanza diffusa di capacità logica e di spirito critico da potere osare di dire con autorevolezza cose senza senso, o decisamente contra mores o contra ius. Nominato dalla guida suprema nostrana come Richelieu (fatte le debite proporzioni) da Luigi XIIIl, espressione del più puro principio autocratico, poche settimane fa ha potuto rilanciare impunemente lo spudorato appello elaborato in Cornovaglia, contro la minaccia rappresentata dalle “autocrazie”(!). Ha fatto propria quella spudoratezza, sicuro che pochi avrebbero colto il paradosso, e pochi si sarebbero messi a ridere pensando al pulpito da cui è venuta quella predica. Intanto si prepara tranquillamente la guerra contro la compagine dei refrattari ad una dittatura imposta dalla guida suprema, autoinvestita di poteri che l’ordinamento non gli riconosce.
Dopo le prove confuse del re dei dilettanti, che lo ha preceduto, Draghi ora non si serve più neppure dei giri di parole in cui quello si avvolgeva. L’anatema viene lanciato dal nuovo bancone, o balcone, presidenziale per intimorire i sudditi già addomesticati con le noccioline da fantesche televisive, altri figuranti, guitti et similia, molto propositivi e solerti, anche se del tutto incapaci di manovrare un qualunque sillogismo a partire da premesse plausibili.
Tanto sicuro di sé e della insipienza altrui, il nostro, da spingersi ad una ineffabile e spericolata scomunica: “l’appello a non vaccinarsi è un appello a morire”. Ed è da chiedersi se abbia poi capito l’enormità della caduta. Chissà. Forse annoiato dalle manovre felpate nelle stanze insonorizzate della finanza predatoria, ora l’ebrezza della scena tragica, della declamazione forte eschilea, l’idea dell’eroe tragico che occupa solitario la scena deve averlo travolto. Rigurgito senile di furori giovanili repressi dalle ipocrisie gesuitiche.
Un uomo intelligente e profondo come Baget Bozzo poteva rivendicare a sé con impudenza giovanile il diritto di affermazioni paradossali. Frutto di una sapienza superiore e disincantata perché autoironica. Ma il Richelieu del Britannia sembra ormai decisamente convinto del valore teologico delle proprie parole senza senso, è sicuro che esse vengano incassate de plano dalle masse addomesticate e abituate ormai a qualunque insensatezza. La teologia politica trionfa perché la fede nel nulla trionfa, in mancanza della fede nella Ragione.
Del resto se un Bergoglio, dopo la volgarità del primo “buonasera”, ha potuto sfoggiare impunemente durante otto anni una sensibilità teologica vicina a quella proverbiale del vecchio carrettiere fiorentino, anche l’uomo della provvidenza presidenziale deve avere sentito l’ebrezza della libertà da ogni freno inibitorio. Che si trattasse di assicurare la propria ammirata fiducia ad un ministro impresentabile, o di spacciare per discorsi seri, con signorile pacatezza, ogni stupefacente paradosso.
Intanto a qualcuno sta venendo il sospetto che, dietro le quinte, il consenso di Luigi XIII si stia trasformando nel silenzio di Hindenburg.