Un po’ come accade per il potere, che secondo l’andreottiano motto “logora chi non ce l’ha”, potremmo dire in risposta ai due articoli di Riccardo Bonsignore apparsi sulla NBQ1 che stampare moneta uccide, certo, ma soprattutto chi non la riceve.
Innanzitutto salutiamo con favore il fatto che anche da quelle parti inizino a prendere in considerazione il fondamentale problema monetario, pur con tutti i limiti del caso; limiti che cerchiamo di tratteggiare di seguito.
L’inflazione è non solo un elemento strutturale ma profondamente artificiale e deriva nel mondo moderno dal potere concesso alle banche centrali e alle banche commerciali di produrre moneta dal nulla.
Ci troviamo subito di fronte al dogmatico asserto liberal-monetarista per cui l’inflazione rappresenta il male assoluto; il che, purtroppo, non ci sorprende affatto. Per ovviarvi, secondo l’articolo in questione le banche non dovrebbero avere il potere d’emissione, cosa che sottoscriveremmo anche volentieri, soprattutto con riguardo alle banche commerciali. Peccato che l’intenzione dell’articolista non sia di affermare che debba essere lo Stato a generare moneta, ma che la moneta non debba proprio essere emessa oltre a quella già circolante. O almeno queste sono le logiche conclusioni di quanto viene esposto.
La continua disponibilità di nuovi fondi genera poi una falsa idea di risorse infinite: la semplicità con cui la moneta viene stampata genera l’illusione che anche la ricchezza possa essere generata senza sforzo. In realtà l’inflazione non genera ricchezza ma la trasferisce.
Se qualcuno si arricchisce senza sforzo si tratta sicuramente di una ricchezza ingiusta, facilmente ottenuta a danno di qualcuno che si impoverisce, magari anche lavorando. Credo sia indubitabile che la vera ricchezza (economica, ma non solo) non può effettivamente essere generata senza sforzo, sia esso fisico, d’ingegno o d’intrapresa. Al contrario la moneta, che non è sinonimo di ricchezza, è totalmente gratuita; generarla non costa nulla, e poiché formalmente non è più legata a nessun bene materiale che ne garantisca il valore, oltre a essere gratuita è anche potenzialmente infinita. Oggi poi non è nemmeno necessario fare la fatica di accendere la “stampante dei soldi”; come sappiamo basta un click del banchiere.
La questione deve essere posta in altro modo. L’imperativo non è né stampare moneta ad libitum né evitare aprioristicamente di stamparla per paura dell’inflazione, ma fare in modo che i soldi che ci sono in circolazione non vengano a mancare a chi ne ha bisogno, in particolare a chi lavora per mantenersi e a chi pur avendone necessità è oggettivamente impossibilitato a farlo. Poi necessariamente non possono mancare tutti quei beni e servizi indispensabili a far funzionare decentemente un paese, quindi se occorrono soldi nella pubblica amministrazione non v’è ragione alcuna perché ve ne sia carenza. Sia privati che imprese per esistere hanno bisogno di un minimo di struttura pubblica, per cui non è giustificabile che questa cada a pezzi quando la disponibilità di soldi necessaria a mantenerla è potenzialmente infinita.
Sono sufficienti i soldi circolanti a garantire un giusto stipendio2, una sufficiente libertà d’impresa, servizi e infrastrutture almeno dignitose? Benissimo, allora non è necessario stampare (o cliccare) moneta.
Al contrario, non sono sufficienti? Allora si stampi (o si clicchi) senza alcuna remora fino al raggiungimento dell’obiettivo. Dov’è il problema? Riteniamo più moralmente inaccettabile un presunto rischio inflazione che la morte di fame di famiglie e imprese? Basta saperlo, ma risulterebbe piuttosto difficile da conciliare con magistero e retta ragione.
Il problema in realtà c’è, ma è di tutt’altro genere rispetto a quello paventato da Bonsignore, e consiste nel fare in modo che la moneta creata dal nulla non finisca nelle mani dei “mercati”, che non ne hanno bisogno, ma direttamente in quelle di chi ne ha necessità per sopravvivere; come già detto: famiglie, imprese, Stato.
Se i soldi freschi vanno in mano a chi ne è oggettivamente deficitario, il problema inflazione non esiste, e anche qualora si presentasse sarebbe comunque molto preferibile alla situazione precedente. Chiunque nel pieno possesso delle sue facoltà mentali preferirebbe riuscire a nutrire la propria famiglia o pagare i propri dipendenti con un po’ di inflazione, piuttosto che il contrario. Che giovamento trarrebbe dall’inflazione zero chi non avesse nemmeno soldi per mangiare? La stessa di chi possiede una casa con una splendida facciata ma il cui interno è completamente infungibile perché distrutto. Bello, ma cosa me ne faccio?
Alla domanda se la stampa di moneta e l’inflazione siano sempre sbagliate, la risposta che viene data dall’autore è
Tendenzialmente sì, quanto meno non è bene che siano strutturali.
La nostra modesta ma decisa risposta invece è “tendenzialmente no”, in quanto non è vero che tra le due cose, stampa e inflazione, vi sia un rapporto di proporzionalità o qualcosa di analogo, e anche qualora l’una fosse diretta causa dell’altra come pure può accadere, ciò potrebbe essere tranquillamente accettabile in vista del bene primario, che non è la “stabilità dei mercati” né la “competitività”, né la “libera circolazione di capitali” ma, lo ripeteremo fino allo sfinimento, la dignitosa sopravvivenza di persone, famiglie e imprese.
C’è anche un altro aspetto che depone addirittura a favore di una (moderata) inflazione: il fatto che il valore di soldi si deteriori può essere d’aiuto a non assolutizzarli, a comprendere che sono solo uno strumento, e a considerare come primaria la situazione in cui per vivere sia necessario lavorare piuttosto che adagiarsi su capitali e rendite.
La collaborazione sociale è quindi falsata e minacciata nella misura in cui ciascuno si sente poco protagonista dello sviluppo comunitario: siamo tutti rinchiusi in noi stessi nella veste di consumatori sfrenati e pretendiamo sempre di più dai decisori terzi — che si chiamino Governo, Banca Centrale o mondo della Finanza — senza riconoscere nel nostro impegno personale un contributo neanche potenziale allo sviluppo della società e dell’economia della nostra comunità.
Il contributo e l’impegno personale è essenziale e va incentivato, su questo non piove; solo che se una persona non trova lavoro perché le aziende chiudono per mancanza di liquidità difficilmente potrà sentirsi protagonista dello sviluppo comunitario. Lo sviluppo deve prima di tutto esserci, e sinceramente, siamo ben lontani da una situazione in cui le persone si adagiano perché tanto piovono i soldi dall’alto. Casomai se si adagiano è perché tanto i soldi non arrivano comunque!
Va poi fatto un fondamentale distinguo sui “decisori terzi”: non si può mettere nello stesso calderone Governo, Banca Centrale e Finanza. Oggi il potere decisionale è sostanzialmente invertito: i mercati finanziari che decidono dove vanno i soldi sono al vertice, la BCE che stampa moneta subito dopo, e il Governo che sostanzialmente subisce le decisioni dei primi non conta praticamente nulla.
Il fatto che siamo nelle mani dei mercati finanziari, lo abbiamo visto, è garanzia che le cose non funzionino come dovrebbero, ovvero che i soldi scorrano in senso inverso rispetto a quello che sarebbe necessario per il bene di tutti.
Il fatto che sia la BCE a decidere quando e quanto stampare indipendentemente dalle volontà dei governi non garantisce nulla, soprattutto se non si assume anche formalmente (e come minimo) il ruolo di prestatore di ultima istanza.
Nemmeno il Governo può garantire nulla, è ovvio. Ma questa soluzione offre un piccolo dettaglio: se ne viene data la possibilità, come in teoria dovrebbe essere in un sistema democratico, può essere mandato a casa nell’ipotesi che non abbia agito bene.
Il controllo dell’emissione e della distribuzione monetaria non può essere nelle mani di privati quali sono la BCE e i mercati. La moneta non può nascere come debito pubblico e credito del privato che la emette, per di più ad interesse. In questo consiste l’usura contemporanea; anzi, questa è la madre di tutte le usure e di buona parte delle ingiustizie finanziarie.
I moderni turbocapitalisti “della sorveglianza” lo sanno, e tanto per aggiungere un ulteriore livello allo sfruttamento usurario, la loro massima aspirazione è quella di battere autonomamente (anche se virtualmente) un proprio conio, in modo da assoggettare definitivamente i popoli senza nemmeno l’interposizione fittizia del sistema bancario.
Con le conoscenze odierne l’ingiustizia radicale che permea la società potrebbe essere non dico risolta (che sarebbe l’ennesima utopia), ma almeno in parte prevenuta alla radice, agendo laddove lo strumento principe che fa funzionare il sistema economico viene creato dal nulla e poi distribuito.
1 https://www.lanuovabq.it/it/le-politiche-monetarie-espansive-uccidono-risparmio-e-responsabilita e
https://www.lanuovabq.it/it/stampare-moneta-uccide-limprenditoria
2 Cosa c’entra lo stipendio dei privati con i soldi pubblici? Basti considerare che il rapporto tra lordo totale dello stipendio e netto finale è di 2:1, in molti casi anche di più. La differenza, il c.d. “cuneo fiscale” va allo Stato.
2 commenti su “Stampare moneta uccide. Di certo chi non la riceve”
Dio ci scampi dal liberalume, magari in salsa “cattolica”, dai “conservatori” conciliari, dall'”ermeneutica della continuità” e dal moderatismo in genere.
A cosa servono le farmacie comunali? A pagare meno le medicine? Manco per idea, visto che non decide il comune il prezzo del farmaco. Però danno stipendio a dipendenti appartenenti a categorie importanti (ordine dei farmacisti). Prezzi uguali ma finanziati con tasse per i cittadini.
Quali vantaggi? Un posto di lavoro per alcuni grazie ad un mercato artificiale (inflazione).
Tasse per gli altri.