di Patrizia Fermani
Raffaello Sanzio – Papa Leone Magno ferma Attila
La Chiesa offriva anche alla mente infantile una immagine di incomparabile grandezza spirituale.
Erano le figure di uomini e donne che rimanevano nella memoria come indelebili punti di riferimento, i fari capaci di illuminare di sé una storia millenaria ed eterna alla quale fin da bambini ci si sentiva orgogliosamente di appartenere. Tutti abbiamo avuto negli occhi Leone Magno, il vicario di Cristo che ferma, armato della croce, il flagello di Dio. Il capo feroce dell’orda barbarica che ha devastato tanta parte dell’Impero si arresta alle porte d’Italia di fronte a chi lo abbaglia con la luce della fede, e lo vince. Abbiamo letto di Gregorio che piega alla penitenza il potente re e siamo saliti tante volte anche solo con la fantasia a quelle possenti rocce ancora piene di mistero. Abbiamo visto Giovanni d’Austria con le bianche insegne papali. Abbiamo visto sugli innumerevoli altari della cristianità i tanti martiri.
Essi ci hanno detto mille volte che la verità è un punto incandescente per cui si può o si deve morire, non un punto di incontro. Ce lo ha ricordato ieri Tomaso Moro, oggi padre Kolbe e padre Popielusko, e i dimenticati di recenti primavere. Abbiamo contemplato la bellezza vertiginosa delle cattedrali erette da tante mani sconosciute e protese verso l’alto, e il silenzio delle antiche abazie che porta l’anima verso infiniti spazi e profondissima quiete. Siamo cresciuti con l’orgoglio di appartenere al cristianesimo anche per la grandezza morale, intellettuale e spirituale degli uomini che lo hanno interpretato e vissuto. Di questo orgoglio non potremo mai fare a meno.
I mostruosi flagelli che incombono sui nostri figli non hanno asce e cavalli, ma sono più infidi, feroci e distruttivi di quelli antichi perché avanzano indisturbati nella notte della ragione collettiva che ha già dimenticato il proprio passato e ha cominciato a distruggere la posterità.