Di fronte alla crisi del primo Governo Conte e al repentino ribaltamento dell’alleanza parlamentare che lo aveva sostenuto, ci saremmo aspettati, a livello di mass media e al di là delle contingenze politiche, un minimo di dibattito sulla debolezza del nostro sistema democratico e sulla conseguente perdita di “sovranità” (art. 1 della Costituzione) da parte del popolo italiano.
Niente di questo è invece avvenuto. Tutto normale e tutto scontato, sulla base di un formalismo giuridico piegato alle convenienze di alcuni, al punto da arrivare – come ha fatto recentemente il direttore de “Il Foglio”, Claudio Cerasa – all’apologia del “trasformismo”, in nome delle virtù della democrazia rappresentativa, segno distintivo di un sistema che da Cavour a Giolitti, proprio grazie alle politiche trasformistiche creò – parola di Cerasa – il suffragio universale nel nostro Paese.
In realtà la questione è esattamente opposta e va rimarcata per evitare facili banalizzazioni. A meno di non volere giocare con le parole, il trasformismo, nella sua formula più recente, incarnata dal Conte bis, evidenzia una crisi strutturale del nostro sistema rappresentativo che non può essere ignorata, una crisi che ha radici profonde, ma che si è accentuata, negli ultimi anni, a seguito di una più ampia crisi del nostro sistema politico. Da ricostruire non c’è in definitiva solo la democrazia, attaccata nel suo fondamento, la sovranità popolare, ma la stessa politica, nella sua definizione classica di amministrazione della “polis” per il bene di tutti e nella determinazione di uno spazio pubblico al quale tutti i cittadini partecipano.
La democrazia, sulla cui essenza si sono divise generazioni di intellettuali, deve essere insomma ritrovata come “partecipazione di un popolo al proprio destino” – per dirla con Arthur Moeller van den Bruck. Per “ritrovare” un destino comune occorre ricostruire la politica come aspettativa collettiva sul piano dei valori civili ed insieme come buona amministrazione. L’una cosa deve andare a braccetto con l’altra, perché è partendo dalle scelte “di valore” che poi è possibile realizzare buoni programmi in grado di incidere sulla vita dei cittadini, sempre preoccupati – come ci dicono i sondaggi – del lavoro, della sicurezza, della salute, della qualità dell’ambiente.
In un sistema “normale” il confronto sulle idee (una volta si sarebbe detto pomposamente sulla Weltanschauung, sulla visione della vita e del mondo) e sulle scelte amministrative sta alla base del dibattito politico e del confronto elettorale. È la “normalità” della democrazia e dunque l’espressione di una volontà di partecipazione reale e non moralistica. È segno delle passioni civili e della visione strategica di un Paese che deve sapere scegliere sui grandi temi della vita, della famiglia, dell’identità nazionale, della sovranità, della geopolitica, temi concatenati l’uno agli altri.
In Italia, oggi, tutto questo sembra essere azzerato, sterilizzato, annichilito, nel segno di un trasformismo buono per tutte le stagioni e quindi di “visioni” edulcorate, sbiadite, dai “toni bassi” – come si è sentito in dovere di affermare il Presidente del Consiglio Conte in apertura del suo intervento programmatico alla Camera. Anche qui sembra che a valere sia la forma più che la sostanza, con una realtà nazionale dove la democrazia rappresentativa è sempre più svuotata di significati, in quanto delegittimata dalla scarsa partecipazione al voto e depotenziata nel segno del trasformismo e la partecipazione popolare è ridotta in quanto il popolo è privato di mezzi significativi per contare veramente nelle scelte politiche.
Quello che è avvenuto nell’ultimo mese è emblematico di questa condizione, con una sovranità popolare soffocata dal gioco delle alleanze variabili, un Presidente del Consiglio buono per tutte le stagioni e con i partiti politici che ne sostengono l’operato impegnati a fare dimenticare le proprie scelte passate (con buona pace per la coerenza ideale sbandierata dal Pd ed i vincoli di mandato chiesti, a suo tempo, dai Cinque Stelle).
Il risultato, rispetto al quale in pochi sembrano veramente volersi confrontare, è lo scollamento tra popolo e sistema rappresentativo, tra Paese reale e Paese legale. Questa è la vera questione all’ordine del giorno, una questione che va ben oltre i richiami formali alla Costituzione, gli inviti alla stabilità politica e l’apologia del trasformismo. Di formalismo, di stabilità e di trasformismo l’Italia rischia di morire.
3 commenti su “Se il trasformismo diventa una virtù…”
Veramente di fronte a certi soggetti il nostro grande Arturo Brachetti scompare. Ma il suo, almeno, è uno spettacolo che stupisce e diverte, il loro, invece, quanto meno innervosisce e stizzisce e indispettisce a un punto tale da far passare la voglia di andare a votare, esercizio divenuto inutile in questa nostra patria che non è più Patria, ma zimbello nelle mani di potenti burattinai che muovono i nostri insignificanti burattini, torma di Pinocchi nelle mani di Mangiafuoco.
Povero nostro Paese, a cui è ormai vietato “scegliere sui grandi temi della vita, della famiglia, dell’identità nazionale, della sovranità, della geopolitica”: temi di vitale importanza senza la cui sapiente attenzione è impossibile prosperare. Poche speranze ci rimangono, né tanto meno possiamo sperare nel sostegno di quell’organismo non di natura terrena preposto ad indicare la via del bene (perché del bene esso stesso è informato), poiché si è alleato con i potenti del mondo illudendosi di una ricompensa. Sarà una ricompensa infernale, purtroppo, se si ostineranno nelle loro posizioni. Il Padreterno non paga il sabato.
Come sempre GRANDE TONIETTA!
E purtroppo come sempre tutto vero quanto denuncia!
Cara Paola, grazie del complimento, ma le assicuro che assolutamente non sono grande. Solo di anni😊
Ma mi dica, lei è la Paola che un tempo si firmava Paola B.?