Perché l’arte contemporanea presenta una totale rottura con le rappresentazioni artistiche dei millenni precedenti, così da distorcere, decostruire, negare lo stesso concetto di Bello? Perché, assai spesso e salvo eroiche eccezioni, l’arte di oggi vuole rappresentare un vulnus, un rifiuto, esibito e orgogliosamente rivendicato, rivolto al reale, alla rappresentazione, alla forma, alle proporzioni, all’umano? Qual è il significato profondo, morale ancora prima che estetico, di questa perversione del Bello, che sembra essere un pendant visivo, rappresentativo e simbolico della dissoluzione dell’era presente, epoca del trionfo della bruttezza etica, sociale, comportamentale, politica? Quale la sua genesi storica, quali le cause profonde, prossime e lontane?
Anche se non mancarono segnali, prodromi, anticipazioni precedenti, è certamente nei primi anni del Novecento che si consuma visibilmente il divorzio tra realtà e rappresentazione pittorica e scultorea, tra arte e bellezza, tra visione e significato razionale della produzione artistica. L’arte figurativa rinuncia al reale, alla prospettiva, alle forme razionali e compiute, all’uso comprensibile della rappresentazione e dei colori, per diventare assai spesso irrazionale, repellente, in-significante, informe, deforme, oscura, infera, primitiva, mostruosa.
Nel suo libro Capire l’arte così scrive Stefano Zecchi, docente di Estetica: “Mai secolo come il Novecento ha tanto teorizzato il brutto nell’arte, accettando che in un’opera ci potessero essere elementi volgari, inespressivi, dissonanti, negativi. Tutto il grande fiume di cattivo gusto, di pornografia artistica che oggi si lamenta, nasce da quella trasgressività estetica che nei primi decenni del XX secolo […] aveva considerato il brutto nell’arte un principio di interessante e insostituibile novità, molto colta, molto intelligente, molto snob. Oggi se ne possono vedere le conseguenze in un’arte che si esprime con sempre maggiore volgarità e violenza, che trova nel brutto la sua unica possibilità comunicativa. La teorizzazione del brutto nelle forme dell’arte ha portato alla tolleranza del cattivo gusto nei comportamenti quotidiani”.
Ma, forse, le origini di questo irrompere del brutto e dell’osceno vanno ricercate ancora più lontano. Uno tra i maggiori storici dell’arte del XX secolo, l’austriaco Hans Sedlmayr ha individuato, descrivendolo in alcune sue opere ma soprattutto in Perdita del centro, un momento preciso, la fine del Settecento (l’epoca della Rivoluzione Francese, del teismo e, soprattutto, della massoneria), e una causa precisa, la possessione diabolica. Secondo Sedlmayr, in quel periodo “qualcosa” accadde a livello metafisico che si riverberò sul mondo dell’arte: “ISognidi Goya sono stati eseguiti nel 1792, cioè quando la rivoluzione francese raggiunge il suo culmine […]. Siamo nei decenni in cui molti artisti vengono posseduti da forze demoniache […]. Nell’arte, spesso gelida, diJ. H. Füssli [autore dell’infero dipinto L’incubo,NdR] sono innegabili gli elementi derivanti da una autentica allucinazione; […] J. Flaxman ha la visione del volto del diavolo. E’ come se nell’uomo si sia aperta una porta verso il mondo degli inferi”.
William Blake, pittore, poeta, teosofo, simpatizzante della rivoluzione, ostile a ogni forma di autorità, antireligioso narrò più volte di aver assistito a spaventose apparizioni demoniache. Degli influssi demoniaci nell’arte in questo periodo ci offre una precisa sintesi Maurizio Blondet in un suo articolo Quando tutto cominciò, reperibile in rete (Quando tutto cominciò – effedieffe.com). Da meditare anche la considerazione di Dalmazio Frau, studioso, critico e pittore, nel suo testo Crociata contro l’arte: “La Rivoluzione Francese è in realtà una ribellione satanica non soltanto contro la Monarchia e la Chiesa, ma anche contro tutto ciò che è Bellezza”.
Domandiamoci: possono agire, sull’arte contemporanea, influssi gnostici? Non si intravvede, in alcune opere e in alcune correnti “artistiche” un odio profondo, viscerale, rabbioso contro il Creato, il reale, l’esistente, tutto ciò che è vitale, organico, ordinato e sovraordinato? Se lo chiede anche Ciro Lomonte, architetto e docente presso l’Università Europea di Roma: “C’è dietro qualche forma di gnosticismo, c’è la prospettiva che disprezza la materia e il creato?”
Ricorriamo ancora alla potenza espressiva di Sedlmayr in Perdita del centro nel descrivere l’arte di oggi (o parte di essa: nonostante tutto, vi sono ancora artisti e opere dei nostri giorni che hanno mantenuto “la retta via” del Bello, del Vero e del Buono): “L’elemento notturno, pauroso, morboso, molle, morto, putrefatto e sfigurato, il tormentato, dilaniato, ottuso, osceno, l’invertito, il meccanico, tutte queste sfumature, attributi e aspetti di ciò che non è umano, s’impadroniscono dell’uomo […]. Essi trasformano l’uomo in un rudere e in un automa, in un lemure e in una larva, in un cadavere e in uno spettro, in una cimice e in un insetto, essi lo dipingono brutale, crudele, abbietto, osceno, mostruoso, meccanico. In diverse correnti della pittura moderna compare l’una o l’altra combinazione di questi tratti antiumani, dove in sostanza dominano, nel cubismo la morte, nell’espressionismo il caos ardente, nel surrealismo la fredda demonia del più profondo gelo infernale”.
Quest’odio per il reale, questa volontà di distruzione in generale e del significato in particolare, del razionale e del logico fino al limite del suicidario, dell’autolesionista, è evidentissimo nell’espressionismo, nel surrealismo, nel dadaismo. Il fondatore rumeno del dadaismo, Tristan Tzara, iscritto al Partito Comunista, nel suo manifesto del Dadaismo si dichiara contro la logica, a favore della contraddizione, contro il buon senso. E, a scanso di equivoci, chiarisce che il suo obiettivo è la negazione del senso, il trionfo dell’in-significante (cioè del non significato): “DADA non significa nulla”. L’in-significanza viene addirittura rivendicata e difesa.
Il pittore tedesco Paul Klee suggerisce, di fronte a un’opera d’arte, di non chiedersi mai “cosa significa?” perché l’unica e vera risposta può essere soltanto: “Niente! Presenta questo; essa esiste semplicemente”. La controprova di ciò è data all’elevato numero di “opere d’arte” contemporanee denominate “Senza titolo”. Come si può, infatti, dare un titolo, un nome a ciò che è insignificante, privo di significato e quindi di senso?
Il trionfo dell’irrazionale, del caotico, della follia, dell’atto violento si manifesta con estrema virulenza con il surrealismo. Il “poeta” Louis Aragon, tra i fondatori della corrente, anch’egli iscritto al Partito Comunista, (così come anche il suo sodale André Breton), lo chiarisce molto bene nel Seconde manifeste du surréalisme: “L’atto surrealistico più semplice consiste nello scendere in strada con la rivoltella in pugno e sparare alla cieca sulla folla.” E ancora: “La bellezza, l’arte per bene, ultimo risultato della logica bisogna distruggerla”; “Al diavolo la logica”; “L’arte è una stupidaggine”, “Noi rovineremo questa civiltà che vi è cara, in cui siete stati modellati come fossili nello scisto. Mondo occidentale, sei condannato a morte.”
D’altronde, è sempre Sedlmayr a ricordarci come i surrealisti considerassero il Marchese de Sade come “una figura centrale del loro Pantheon”. (Del “Divino Marchese” Thomas Molnar dice: “incapace di assalire Dio, tentò di distruggere la sua immagine nelle sue creature”). L’ideologia surrealista è l’apologia e il trionfo del caos e l’odio viscerale per ogni ordine vitale: “Motivo dominante della produzione surrealista è il caos assoluto”. E sempre Sedlmayr ci suggerisce che certi accenni “fanno apparire il surrealismo […] come una specie moderna di quelle sette “nere” del medioevo”.
Scrive lo psicologo Roberto Marchesini nel suo libro La rivoluzione nell’arte: “Scopo dell’arte [contemporanea, NdR]è sorprendere, urtare, sconvolgere; negare, rifiutare, ridicolizzare percezioni, valori, schemi attuali, infrangere ogni tabu. Questa è l’essenza della Rivoluzione: la negazione, il superamento di ciò che esiste attualmente; […] la demolizione di ogni valore, ogni pensiero, ogni punto di riferimento; la negazione continua, incessante, inesausta di ogni affermazione. La devastazione demoniaca, dionisiaca, shivaita di ogni cosa. Dell’essere stesso”.
È dunque significativo che molti degli artisti riconducibili alle avanguardie abbiano manifestato segni di follia o comunque di instabilità mentale: Van Gogh (che si mutilò), Gauguin, che tentò il suicidio, Munch, nevrotico e alcolista.
E altrettanto significativa l’adesione di molti di questi artisti a sette esoteriche, occultistiche, talvolta demoniache. Piet Mondrian aderì alla teosofia, come Kandinskij. Breton era dedito all’occultismo, Wright, l’architetto della famosa, o famigerata, “casa sulla cascata”, era stato introdotto agli insegnamenti dell’occultista Gurdjieff. Anche Paul Klee e Wassily Kandinsky furono influenzati dalle ideologie della setta teosofica e occultistica di Helena Blavatsky.
Ed ecco gli esiti contemporanei: l’osceno, l’immondo, lo scatologico; “Il […] percorso dell’arte moderna ha portato a quel trionfo dell’immondo nell’arte che […] riflette il vuoto morale e intellettuale della società dei nostri giorni”, scrive Roberto de Mattei. Ancor più esplicito Angelo Crespi, esperto e docente di arte, che ha scritto un istruttivo libretto: Cento anni di arte immonda. Dall’orinatoio di Duchamp alla merda di Manzoni: come il politically correct ci obbliga ad adorare il brutto.
Gli esempi, innumerevoli, sono disgustosi e ci limitiamo a pochi casi, oltre a quelli già citati nel sottotitolo: dalla “Turbo Cloaca” esposta al museo Pecci di Prato alle feci in travertino di Paul McCarthy (alte due metri per quindici tonnellate), dagli 80.000 chilogrammi di feci umane, ben squadrate in blocchi marroni esposte a Zurigo alle sculture “Shit head” e “Shit painting” di tale Marc Quinn. Non potevamo ignorare il solito Cattelan che intitolò “Shit and die” una mostra a Torino.
Purtroppo, coerentemente con le sue origini, l’arte contemporanea è andata anche oltre l’immondo: è giunta al blasfemo, alla bestemmia figurata, all’urlo rabbioso di insulto contro Dio e la Vergine, come hanno documentato notizie di casi, anche non lontani nel tempo, di miserabile oltraggio alle immagini di Cristo e della Madonna definito come “arte”.
L’insulto alla Fede spacciato per manifestazione artistica è malauguratamente praticato anche in ambienti ecclesiastici: il vescovo di Innsbruck, tale Hermann Glettler, tra l’altro responsabiledell’area “Arte e cultura” della conferenza episcopale austriaca, ha voluto apporre sulla facciata della cattedrale un’enorme scritta-installazione aopera della “artista” austriaca Katharina Cibulka, che così recita: “Fino a quando Dio avrà la barba io sarò femminista”. Non solo: nella cattedrale ha fatto installare una luce al neon rossa che ricorda una casa di appuntamenti della Repubblica di Weimar. E ancora:ha preso una vecchia statua lignea del Crocifisso, ha fatto staccare le braccia e l’ha appesa, a testa in giù, al muro: sarà il nuovo orologio di un ospedale. Le braccia segneranno l’una le ore e l’altra i minuti. La sua spiegazione: “Man mano che il tempo scorre, le braccia formano le diverse costellazioni e il corpo statico del Cristo morto prende all’improvviso vita, il che rappresenta un momento di liberazione dalla croce e un superamento della stessa morte”.
Forse Sua Eccellenza ignora che il Crocifisso capovolto è anche usato dai satanisti nelle messe nere. In sostanza, questa installazione, più che una “opera d’arte” è un’evocazione infernale permanente.
E’ recente il caso, vicino a Bologna, di una statua chiaramente raffigurante il diavolo, oscena e blasfema, con allusioni pedofile, che il presunto “artista” dichiara invece di rappresentare un fauno. E giustamente Silvana De Mari alza la voce: “Not with my money. Non può essere fatto con denaro pubblico”: Già, quante oscenità, quante evocazioni infere vengono realizzate con i nostri soldi?
I rimedi, gli antidoti a questa depravazione estetica ci sono e spetta a noi farli nostri: tornare alla consapevolezza dell’intima, metafisica identità e consustanzialità ontologica di Bello, di Buono, di Vero. Ricercare le cose belle, avere il coraggio, nonostante i presunti critici d’arte moderni e i loro volutamente criptici scritti, di gridare “il re è nudo” di fronte agli orrori contemporanei. San Tommaso identificò tre criteri essenziali della Bellezza: chiarezza, integrità, proporzioni (claritas, integritas, debita proportio). Facciamoli nostri.
4 commenti su “L’arte del diavolo”
L’uomo contemporaneo è quello fipinto da Francis Becon . Purtoppo ! Non a caso ammirato dal Joker -Nicholson . ( Batman 1 )
Bell’articolo !
Bene, ma non ci scordiamo lo spagnolo Salvador Dali’, l’artista più grande del 900 e certamente l’unico paragonabile per tecnica ai Caravaggio e Raffaello, che non aveva a che spartire con il resto del movimento artistico dell’epoca (lui si definiva l’unico surrealista prendendo le distanze dal resto dei surrealisti), incluso le sue idee politiche filo monarchiche e filo generale Franco. Tecnica, passione e bellezza fuse in uno stile surreale che andavano oltre l’umano.
L’involuzione dell’arte dell’arte moderna è parallela al trionfo del dio “buono” degli gnostici, sempre più evidente nella storia e nell’attualità. Anche dell’attuale chiesa.
Per fortuna, dalla fine del secolo scorso, non mancano segnali contrari. Ad esempio, nella Russia post-sovietica è nato un formidabile movimento artistico, diffuso in tutto il territorio, che si è posto come obiettivo la ricostruzione di opere architettoniche (soprattutto chiese), arredi liturgici ed antiche icone, esattamente uguali agli originali distrutti dai bolscevichi, e realizzati con le stesse tecniche costruttive. Per fare qualche esempio, le cattedrali del Cristo Salvatore e della Vergne di Kazan a Mosca, demolite durante il comunismo. Ma anche la quasi totalità delle nuove chiese ortodosse e greco-cattoliche, che dopo il 1991 sorgono quasi dappertutto nei Paesi post-sovietici (Russia, Bielorussia, Ucraina, Georgia ecc.) sono costruite in stili che vanno dal bizantino al barocco russo, mai contaminati da estetiche moderne, e con le tecniche costruttive del passato. Anche le scuole iconografiche non producono mai nulla di “nuovo” ma replicano archetipi di immagini antiche, prevalentemente bizantine. Questo fenomeno, se paragonato alle porcherie costruite dai cattolici negli ultimi decenni (e che hanno fatto ingrassare con parcelle milionarie legioni di architetti ed artisti “moderni”, quasi sempre di sinistra e spesso atei) deve veramente farci pensare…