Oggi si porta l’inclusione: sta bene con Louis Vuitton o con Prada, a seconda dei gusti, per le signore eleganti. Agli uomini è consentito abbinarla anche con accessori di minor pregio e, se uno è un prete senza talare, con ogni capo casual.
L’inclusione è cosa raffinata, si ispira all’ambra con cui ti metti al collo lo sprovveduto insetto imprigionato dalle bave voraci dell’albero (previa dispensa di nostra signora dei Gretini). La signora elegante è affascinata da questa morsa assassina e sente di dover esorcizzare i cattivi pensieri superandoli dialetticamente con la mano umanitaria tesa al diverso, da includere nel club degli uguali. Infatti per le signore eleganti, per i preti senza talare e per gli uomini equi e solidali, l’operazione che rinchiude il diverso dentro l’uguale viene considerata, appunto, altamente umanitaria e santificante. Nessun dubbio è consentito sulla imprescindibilità virtuosa di questo nuovo dogma.
Tutto nasce dal fatto che in principio c’è l’uguaglianza che, col tempo, da criterio posto dalla legge è divenuta attributo intersoggettivo. Cosicché un po’ tutti, compresi quelli che poi tanto ugualinon erano, hanno cominciato a proclamarsi tali, pensando fosse una condizione moralmente e filosoficamente obbligata.
Sennonché, è proprio il criterio normativo dell’uguaglianza che non solo presuppone la diversità, ma addirittura la valorizza e la protegge: ci si è accorti che l’uguale non è uguale se non c’è il diverso, e viceversa. Dunque, l’unico modo per valorizzare l’uguale è enfatizzare il diverso, magari incorporandolo. Così anche persone insospettabili nate uguali per natura, aspirando in cuor loro a diventare diverse, si sono messe in coda per essere incluse.
Risultato pratico: nel segno dell’inclusione, un’intera classe di ragazzini deve rinunciare alla gita di istruzione per la presenza di un elemento socialmente pericoloso che metterebbe a repentaglio la sicurezza del gruppo, ma che non può essere escluso dall’iniziativa perché deve essere incluso. Che poi, mutatis mutandis, è lo stesso principio per cui è vietato evocare la mamma nella classe dove c’è Viola che ha due papà e deve andarne fiera.
Ecco dunque che, in omaggio al principio di non discriminazione, il bello e buono e normale deve diventare brutto e cattivo e anomalo. Pena l’esclusione. Soltanto dopo questo processo di purificazione potrà ricominciare un nuovo ciclo di inclusione.
Ma pare ora si stia verificando una situazione allarmante, una vera emergenza umanitaria: una improvvida deregulation ha prodotto l’inclusione selvaggia di tutti i diversi disponibili ancora sul mercato, e attualmente non c’è più nessun diverso vero in lista di attesa. Toccherà inventarlo.
1 commento su “L’inclusione veste Prada. Divagazioni sull’ultimo grido radical chic”
Tutti inclusi, salvo i portatori di verità, che restano discriminati.