Nel 1920, 99 anni fa, lo scrittore anglo-francese Hilaire Belloc scriveva un saggio intitolato Europe and The Faith, L’Europa e la Fede. In tempi di elezioni europee ho ripreso in mano questo testo, con le sue diagnosi nitide ed esplicite: è il Cristianesimo che ha fatto l’Europa, e quando viene meno la Fede, non rimangono a fronteggiarsi che l’opinione e la scienza, ma la prima non ha alcuna speranza contro la seconda. Quindi tutto il campo della conoscenza è tenuto solo da ciò che può essere dimostrato. Ed è proprio questa pretesa che rappresenta una delle più gravi insufficienze della modernità: non saper concepire altra forma di certezza all’infuori di quella basata sulla dimostrazione scientifica, e perciò di non potere riconoscere i propri principi primi perché indimostrati e indimostrabili.
“Questa attività di ricerca dell’anima abbandonata a se stessa” scrive Belloc “questo bisogno di dimostrazione, quest’ansia di farsi una convinzione personale attraverso la conoscenza fisica materialmente definibile ha occupato, come ben sappiamo, tre secoli della modernità. Tutti ben conosciamo i suoi prodigiosi risultati, ma nessuno di essi ha aumentato, fino a questo momento, la felicità umana; anzi tutti hanno contribuito in misura crescente ad aumentare il suo contrario.” Questo non significa negare la necessità di far progredire le scienze: “È una bestemmia negare il valore della progressiva conoscenza, ed è insieme codardo e pazzesco temerla per le sue supposte conseguenze. Queste conseguenze diventano negative solo per il riprovevole uso che se ne fa, cioè a causa di una cattiva filosofia”.
Se il cristiano non rifiuta affatto la scienza, tuttavia il mondo moderno ha operato un rifiuto di Dio e il conseguente isolamento dell’anima e il suo vagabondare incerto in cerca di risposte porta secondo Belloc a un altro curioso fenomeno apparentemente contraddittorio: la sottomissione a poteri senza fondamento. “Questo singolare e sorprendente risultato del lungo divorzio tra la mente sottrattasi al Cattolicesimo e la ragione ha una ripercussione profonda sul mondo moderno. E la grande battaglia che dovrà essere ingaggiata tra il caos e l’ordine si dibatterà ampiamente su questa forma di autosuggestione, intorno a questa accettazione di un’autorità priva di fondamento e irrazionale.”
Belloc, analizzando la storia del nostro Continente, trova che anche in ambito politico e persino economico il fattore religioso è quello più importante. La nascita del capitalismo, per lui, è una delle conseguenze dell’isolamento dell’anima. “Fu questa che permise una concorrenza sfrenata; assicurò alla raffinata astuzia e all’ingegno superiore un successo senza pericoli; sciolse da ogni freno la cupidigia. D’altra parte, spezzò i vincoli collettivi per cui gli uomini si mantenevano in una stabilità economica. Per essa sorse prima in Inghilterra, quindi nelle più attive nazioni protestanti, e da ultimo in gradi diversi nel resto della Cristianità, un regime per il quale pochi ridussero nelle loro mani la terra e i mezzi di produzione spogliandone gradualmente i più, i quali, così espropriati, poterono vivere solo per l’elemosina elargita dai proprietari, privi questi di ogni premura per la vita umana. I signori dominarono anche lo Stato e tutti i suoi organi: di qui i grandi debiti nazionali che accompagnarono il sistema; di qui il dominio finanziario esercitato da stranieri, di qui l’assorbimento della ricchezza.”
Quello che è stato negato dal capitalismo è la vera concezione della proprietà. Non “tutti proletari”, ma “tutti proprietari” aveva sancito papa Leone XIII nell’enciclica Rerum Novarum, carta fondamentale del Distributismo. È sbagliato quindi, sottolinea Belloc, cercare la liberazione nel rifiuto puro e semplice del principio di proprietà. Il socialismo è un sistema altrettanto inumano quanto il capitalismo, e ambedue scaturiscono dalla stessa mentalità, applicata allo stesso tipo di società malata. Ad ambedue si oppone una società di persone che possiedono in parte o nella loro totalità i mezzi di produzione e la terra, sia attraverso una proprietà vera e propria, sia attraverso un possesso consuetudinario. È il caso della società agricola, che non significa rurale, ma dove il primato economico non è del capitalismo industriale ma dell’agricoltura. “In una siffatta società tutte le istituzioni dello Stato riposano sul concetto di una sicura e ben divisa proprietà privata che non può mai essere messa in dubbio e che compenetra ogni mente umana. Questa dottrina, come ogni altra sana dottrina, – per quanto si possa applicare solo all’ordine temporale – trova nella Chiesa cattolica la più salda difesa”.
Tuttavia, Belloc non ignora realisticamente che il consolidamento delle realtà economiche e politiche formatesi negli ultimi tre secoli, insieme al venir meno di solidi criteri di giudizio morali e alla dissoluzione del corpo sociale e alla perdita di significato del termine autorità – che è la capacità di far crescere – non prospetta un futuro felice all’Europa. Questo processo potrà essere arrestato e invertito solo dal ritorno alla Fede: “In questo momento cruciale rimane salda la verità storica, che questo nostro organismo europeo, eretto sulle nobili fondamenta dell’antichità classica, fu plasmato dalla Chiesa cattolica, per essa esiste, ad essa è adeguato, soltanto nella forma di essa persisterà. L’Europa tornerà alla Fede o perirà. Poiché la Fede è l’Europa e l’Europa è la Fede”.
1 commento su “Non c’è Europa senza Fede”
Ovvio !