Fede cristiana e vita militare. Militia est vita hominis super terram – di Marco Sudati

La compatibilità tra fede cristiana e vita militare è, da qualche tempo, un argomento capace di creare non pochi disagi, in chi sinceramente voglia professare la vera Fede senza alcun contrasto con la propria vocazione militare. Scopo di questo scritto è quello di dimostrare non solo come non vi sia incompatibilità tra Fede e servizio della Patria in armi, ma evidenziare le affinità esistenti tra cattolicesimo romano e virtù militari.

Il presunto contrasto tra fede cattolica e vita militare è sostenuto da due punti di vista distinti e distanti: quello di un pacifismo cattolico di matrice progressista – venuto alla ribalta come uno degli effetti nefasti del Concilio Vaticano II e del clima di euforia progressista che ha segnato il cosiddetto periodo post-conciliare – che non ha alcun solido riscontro nel magistero tradizionale della Chiesa cattolica; e quello di un neo-paganesimo presente in alcuni ambienti della destra radicale.  Il pacifismo ateo e progressista, tipico di una certa sinistra – e già funzionale alla propaganda sovietica negli anni della cosiddetta “guerra fredda”, che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo – non costituisce oggetto di interesse nel presente articolo, in quanto fondato su presupposti completamente estranei all’orizzonte filosofico e culturale dell’ambiente umano a cui ci riferiamo.

Per quanto concerne l’ambito del neo-paganesimo, riconducibile a tradizioni religiose europee pre-cristiane, la presunta inconciliabilità tra fede cristiana e vita militare, si fonderebbe sul sostanziale pacifismo che contraddistinguerebbe il cristianesimo, liquidato come la religione che invita a “porgere l’altra guancia”; una religione che mortificherebbe una certa virilità attiva, ossia non solo capace di sopportare ma anche di attaccare.

Tali accuse – spesso utilizzate col proposito di allontanare i giovani dall’interesse verso il cattolicesimo – si fondano su di un’interpretazione tanto parziale quanto errata del cristianesimo e dell’ortodossia cattolica. Confondere la pace – che è tranquillità nell’ordine e, prima ancora, armonia fra Creatore e creatura umana – con il pacifismo – che è, invece, il rifiuto di ogni possibile conflitto, in barba alla realtà e con buona pace dei diritti della verità, della denuncia e della lotta all’errore, del diritto/dovere di difendere se stessi ed il prossimo dall’ingiusto aggressore; un’ideologia malsana che fa della pace un valore assoluto a cui tutto sacrificare – è un grave errore in quanto si confonde un vero valore, ancorché relativo, con la sua caricatura.

La pace fra gli uomini è certamente una condizione ottimale, affinché si possano esprimere le qualità di ciascuna persona e le comunità prosperino. Ma, nella condizione umana post-peccatum – ossia considerando la natura umana ferita dal peccato originale – non è realistico pensare di vivere in assenza di ragioni che possano giustificare la necessità di combattere.

Se la pace è, per certi versi, una condizione favorevole ed auspicabile affinché gli uomini si realizzino per quello che sono, sotto altri aspetti lo può essere, nella sua drammatica durezza, anche la guerra dove il valore degli uomini trova modo di esprimersi nei più ardui cimenti.

Il magistero tradizionale della Chiesa romana, non ha mai affermato l’incompatibilità tra Fede e vita militare; anzi si può sostenere, in tutta tranquillità, l’essenziale affinità tra esse esistente. A chi assomiglia il religioso che, vestendo l’abito del suo ordine o della sua congregazione, sceglie di militare sotto il vessillo di Cristo Re per l’onore di Dio ed il bene delle anime, se non al militare che, vestendo la sua uniforme, mette la propria vita al servizio della Patria e della comunità nazionale?

Lo spogliarsi della propria individualità per vestire, invece, i panni della causa, fatto ben simboleggiato dall’abito e dall’uniforme, è un elemento di chiara affinità, come del resto lo sono alcune virtù quali la fortezza, la temperanza, la fedeltà, la tenacia, l’obbedienza, il coraggio, il rispetto della gerarchia, il dominio di sé, il senso del sacrificio nell’adempimento del proprio dovere.

Quella militare, se ordinatamente vissuta, è una vocazione paragonabile a quella religiosa. Ogni cristiano, non condizionato dagli effetti devastanti della confusione seguita al Concilio Vaticano II, sa che il combattimento è parte integrante della propria vita. Combattimento spirituale, certamente ed in primo luogo, contro le tentazioni del mondo e per l’integrità della propria anima; ma, se necessario, anche combattimento sul piano materiale per la difesa della propria vita, di quella dei propri cari, della Patria, della Civiltà. Come accadde, per esempio, al tramonto dell’Impero Romano d’Occidente, con il generale Ezio contro gli Unni; nella Spagna occupata dagli islamici; a Lepanto ed a Vienna contro le armate turco-mussulmane; in Vandea e nell’Italia pre-risorgimentale con le insorgenze controrivoluzionarie ed anti-giacobine; nel Messico dei Cristeros contro la repressione anti-cattolica condotta dallo Stato massonico; nella Spagna flagellata dalla barbarie comunista ed anti-cristiana.

La nota frase tratta dalla Sacra Scrittura (Libro di Giobbe), “Militia est vita hominis super terram” – a cui fa eco la saggezza naturale di Seneca secondo il quale “Vivere militare est” – ben si addice a rappresentare quale sia il senso cristiano della vita su questa terra: una milizia, ossia schieramento e combattimento.

Anche la figura di San Michele Arcangelo, che la teologia cattolica ci presenta quale Capo delle milizie angeliche che combattono contro gli angeli decaduti per la loro infedeltà, dà chiara evidenza dell’essenza militante e guerriera dell’autentico cristianesimo, ossia del cattolicesimo romano non edulcorato e stravolto dal patetico e malizioso tentativo di chi vuole conciliare la Fede con quel mondo per il quale Cristo non prega (2).

Da S. Ambrogio a S. Tommaso d’Aquino, passando per S. Agostino, solo per citare alcune delle più importanti figure di Padri e Dottori della Chiesa, non solo non vi è la condanna del “mestiere delle armi” ma giustificazione della guerra ed esaltazione della vita e delle virtù militari. A tale proposito, riportiamo quanto scritto dalla nota studiosa di storia antica greca e romana, Marta Sordi, nella sua opera L’impero romano-cristiano al tempo di S. Ambrogio: “Nell’Esamerone … Ambrogio pone la decadenza dell’antica repubblica, alla quale, fedele alla tradizione senatoria, guarda con rimpianto, in stretto rapporto con la mutata concezione della militia. Egli deplora la negligenza con cui si svolgono negli accampamenti i turni di guardia, l’indisciplina e l’incuria con cui si accettano i servizi pericolosi imposti dall’imperatore: di qui l’ammirazione per la disciplina con cui l’antica Roma aveva sottomesso il mondo, che abbiamo colto nella lettera del 384 D.C. La virtù che Ambrogio esalta in Camillo, in Attilio Regolo, in Scipione è l’antica disciplina militare romana, fatta di fortezza, di vigilanza, di resistenza alla fatica, di dedizione alla causa comune”.

A chi scrive capitò, anni or sono, di assistere ad una conferenza sul tema del pacifismo cattolico, organizzata da un gruppo parrocchiale di evidente stampo catto-progressita. Ebbene, in tale occasione non fu citato un solo riferimento al magistero cattolico che desse, in qualche modo, un fondamento dottrinale e teologico alle ragioni del pacifismo di quei confusi cattolici. Solo umanitarismo, di cui purtroppo è pregno il mondo cattolico dopo lo “tsunami” vaticanosecondista.

Come risolvere il problema che alcuni pongono, circa il rispetto del precetto che ci chiede di amare il nostro nemico? L’amore verso il prossimo è innanzitutto un amore di benevolenza, desiderare che il nostro prossimo possa vivere la propria esistenza realizzando se stesso per ciò che è: creatura ad immagine e somiglianza di Dio, chiamata a perseguire il fine per cui è stata creata, ossia vivere secondo la volontà di Dio e, mediante questo, ottenere la beatitudine perpetua.

Cristo ci chiede di fare uno sforzo e, con l’aiuto della grazia divina, desiderare in cuor nostro il bene anche per chi ci fa del male. Un invito esplicito alla magnanimità (già virtù della migliore tradizione romana pre-cristiana), alla grandezza d’animo che ci fa piacere a Dio. Ciò, tuttavia, non significa negare la realtà delle cose, ossia disconoscere la verità e la giustizia senza le quali non vi può essere carità (3). L’amore verso il prossimo non esclude la giusta punizione di chi si rendesse colpevole di un delitto: la colpa deve essere riconosciuta ed espiata. Amare il prossimo – ed anche il nemico – non significa, dunque, assecondare ogni suo desiderio, bensì volere in cuor nostro, e per quanto da noi dipende, il suo bene, ossia che realizzi appieno la sua vita secondo la dignità della natura umana e possa perseguire il fine ultimo a cui ogni essere umano è chiamato: la vita senza fine con Dio, effetto della Redenzione operata da Cristo e di una vita cristianamente vissuta.

La vita militare contempla la possibilità di dare e di ricevere la morte. Può un cristiano dare la morte, anche qualora non si trattasse di difendere la propria o l’altrui vita minacciata da un ingiusto aggressore? La risposta della Chiesa cattolica è si, ciò è moralmente lecito. In guerra, quando il soldato è chiamato ad obbedire ed a combattere contro altri uomini del campo avverso – i nemici – dare la morte è ammesso in quanto lo si fa in vista di un obiettivo che non è quello di volere la morte di quell’uomo, il nemico appunto, per l’odio personale che si nutre nei suoi confronti – perché lo si vuole privare del bene naturale più grande, ossia la vita – bensì quello di eliminare un ostacolo al raggiungimento dell’obiettivo per cui si combatte, colpendo un uomo che, per il fatto di indossare una divisa, ha rinunciato in qualche modo alla sua individualità ed ha assunto la responsabilità di rappresentare qualcosa di più grande ed importante, sul piano naturale, della sua stessa vita: il bene della Patria e della comunità nazionale, per cui si combatte, vale di più – sul piano naturale – del bene della singola persona (4). Tutto ciò la dice lunga sul rispetto che si deve avere nei confronti della divisa militare e di chi, con onore, la porta.

Carità delle armi, così può essere chiamata la vocazione militare cristianamente vissuta. Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, questa frase di Gesù Cristo, riportata nel Vangelo di San Giovanni (15, 13), sintetizza in modo efficace il senso dell’espressione “carità delle armi”. Il militare, infatti, è colui che, per costituzione (5), pone la propria persona a disposizione della Patria e della comunità nazionale – gli amici – fino al punto di donare il bene terreno più prezioso che possiede, ossia la vita, senza nulla chiedere in cambio agli uomini, ma al solo scopo di poter esprimere al sommo grado le virtù proprie della sua condizione di soldato, e così piacere al Padre Eterno in vista del bene massimo: godere senza fine la visione beatifica di Dio.

In conclusione di questo articolo, riportiamo quanto significativamente scritto anni fa dal sacerdote Ennio Innocenti:

“È opportuno, prima di tutto, che si consideri se questa religione (quella cattolica n.d.r.) offra un fondamento all’antimilitarismo. Non ci riferiamo ad obiezioni emerse in singole coscienze di cristiani, ma al significato obiettivo dell’insegnamento cristiano. Ora è noto che né il Battista (San Giovanni Battista n.d.r.), né il Cristo, né il Cefa (San Pietro n.d.r.), né l’Apostolo delle genti (San Paolo n.d.r.) hanno mai avanzato obiezioni al compito proprio del soldato. Le autorità spirituali che hanno conservato e trasmesso l’insegnamento originario hanno sempre affermato che santificarsi è possibile in ogni professione, compresa quella militare.

I maestri della morale cristiana sono unanimi nel riconoscere che il Vangelo non può essere assunto a pretesto per incoraggiare la prepotenza e la violenza e che, al contrario, la verità e la carità comportano durissime responsabilità, le quali possono richiedere i sacrifici più ardui, compreso il sacrificio della vita temporale, che non è affatto il massimo valore.

Che le virtù tipicamente militari possano diventare virtù cristiane e luogo d’incarnazione di autentica santità, è dimostrabile sia sul piano teologico sia su quello storico, dove i militari – anche di altissimo grado – giunti alla santità ufficialmente canonizzata sono in tal numero da sconfiggere in anticipo ogni possibile obiezione.

Naturalmente sono informato anch’io di ciò che dicono certi “carismatici” nostrani contro le virtù militari. Se essi, però, avessero letto le motivazioni di tante decorazioni non avrebbero, penso, seri dubbi sulla loro essenza morale. Ad ogni buon conto, essi non possono minimamente parlare a nome del cattolicesimo: essi, infatti, non sono soltanto in contrasto con i principi etici comuni, ma anche contro l’insegnamento dei papi.”

“… Ammetto che altri, e sono in numero non trascurabile, pur disponibili a riconoscere nell’eroismo militare un valore morale, sono restii a qualificarlo come cristiano, evangelico e santo. Ciò, però, si verifica a causa di una perdurante scissione fra piano umano e piano cristiano (naturale/soprannaturale) che non è giustificabile dal punto di vista della ortodossa teologia cattolica.”

“… Non c’è frattura fra valori morali e valori religiosi … non solo la moralità militare può preparare la santità religiosa, ma può a sua volta ricevere ispirazione e conforto dalla religione.”

“… E, di fatto, la religione cattolica:

  • esalta l’amor di patria, mediante il criterio del retto ordine della carità, per il quale il dovere della solidarietà è urgente nei confronti dei più vicini, specialmente se deboli ed esposti a gravi mali, e specialmente quando siano in pericolo grandissimi beni, come sono quelli della identità e della libertà nazionale;
  • giustifica l’obbedienza, mediante il criterio della giusta autorità, per il quale si realizza – sia pure a certe obiettive condizioni di ragionevolezza – la forma più alta dell’adorazione e della devozione, che è il rinnegamento di se stessi in ossequio al Bene voluto senza riserve;
  • benedice l’esposizione di sé al supremo pericolo della vita temporale, mediante l’ideale di ciò che di più caro vi è al mondo, il sacrificio, appunto, il “dare la propria vita per coloro che si amano”. Il ricordo va qui a mio padre, più volte ferito in combattimento, decorato al valore e, infine, caduto nell’ultima guerra (mondiale). Egli non era quel che si dice un praticante della religione in cui volle che io fossi istruito, ma non aveva il minimo dubbio che se fosse morto da soldato sarebbe andato subito in paradiso, il che, tradotto, significa: avrebbe realizzato la pienezza della vocazione cristiana e l’identificazione con il sacrificio di Cristo.” (6)

Ed ecco quanto sostenuto dal sacerdote Julio Meinvielle:

“… La spada è l’unica arma efficace che possa vincere … poiché essa, in quanto arma militare, rientra nel carattere eroico dell’uomo, del vir, del maschio. La spada è connessa, tramite vincoli metafisici, ai valori spirituali dell’uomo; è qualcosa di essenzialmente opposto al senso carnale (materialista n.d.r.) Vi sono due modi di combattere, radicalmente opposti: il primo carnale, l’altro spirituale; il primo, del diavolo; l’altro, di Dio; … il primo, insidia; l’altro attacca valorosamente.

Il diavolo sconfisse Eva con parole seduttrici, ma la Santa Vergine abbatte il diavolo schiacciandogli il capo. Il demonio tenta Cristo con affascinanti promesse, ma Cristo respinge il demonio con coraggio da leone …”

“… Allo zenit della grandezza medievale … i cavalieri e gli eroi combattevano alla luce del sole contro i nemici della Croce. Il Medio Evo è mistico e guerriero come lo è qualsiasi grandezza spirituale. La spada è al servizio della Croce. La carità cristiana, ci ordina di fare tutto il possibile in maniera efficace per il bene di Dio, il bene della Chiesa, il bene dei popoli cristiani, ci impone ugualmente di impugnare la spada per difendere efficacemente questi beni quando non c’è altro mezzo per garantirli… Se per sentimentalismo o viltà rifiuteremo di batterci, dovremo vivere da schiavi di una minoranza che … ci sottometterà alla tirannia del disonore. La carità stessa lo esige, perché non possono dire di amare davvero Dio, la Chiesa, la Patria, i figli, coloro che rifiutano di impiegare l’unico mezzo che assicuri il rispetto inviolabile di Dio, della Chiesa, della Patria, dei figli.” (7)

Dunque non solo tra fede cristiana e vita militare vi è compatibilità, ma, sotto molti aspetti, affinità. Queste due realtà, che come abbiamo visto possono davvero essere intimamente connesse, sono minacciate nella loro integrità dagli errori di cui è pregna la cultura dominante. Esempi di ciò sono costituiti, nelle Forze Armate italiane, da una certa impronta massonica – ereditata dal risorgimento – dalla promiscuità sessuale da non molti anni maliziosamente introdotta – capace di mortificare tanto la virilità maschile quanto la dolcezza femminile, nonché di generare quegli “equivoci” che inevitabilmente sorgono laddove uomini e donne siano chiamati a vivere intensamente a stretto contatto – e dall’infiltrazione di persone ed idee di esplicita appartenenza sinistrorsa.

 

Note

  • I sostantivi cristianesimo e cattolicesimo romano sono qui utilizzati indistintamente, facendo essi riferimento alla medesima realtà: la Fede ricevuta, custodita e trasmessa dalla Chiesa Cattolica Apostolica e Romana.
  • “Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per quelli che tu mi hai dato, perché sono tuoi”. Vangelo di S. Giovanni (17,9)
  • La carità è la terza delle tre virtù teologali (fede, speranza, carità) essa consiste nell’amare Dio sopra ogni cosa ed il prossimo come se stessi.
  • Questo argomento, come il buon senso dimostra, non può giustificare l’azione di chi, pur non essendo mosso da odio personale, giungesse al punto di uccidere una persona al fine di ottenere un obiettivo ritenuto buono. Per esempio, il ladro che sceglie di vivere accaparrandosi i beni materiali legittimamente posseduti da altri, da lui desiderati e, dunque, percepiti come bene (visione distorta della realtà, in quanto contraria al vero bene dell’uomo che consiste nel vivere conformemente alla dignità della natura umana, con tutto ciò che ne consegue sia sul piano naturale che sul piano soprannaturale), è disposto ad uccidere – anche non volendo direttamente la morte di una persona, ma mettendo comunque in conto la possibilità di ammazzare chiunque possa, in qualche modo, ostacolare il raggiungimento del suo obiettivo – è colpevole in quanto viola più comandamenti: quello che vieta di rubare; quello che vieta di desiderare la roba d’altri; quello che vieta di uccidere l’innocente, ossia colui che non ha fatto nulla di moralmente e gravemente illecito che possa giustificare la sua uccisione. Sarebbe diverso, invece, il caso di un padre che, dovendo sfamare i figli e non potendo fare altrimenti, chiedesse aiuto ad una persona dotata in abbondanza dei mezzi capaci di soddisfare tale necessità, la quale lo rifiutasse per puro egoismo. In tale evenienza il furto e l’eventuale accidentale uccisione di chi si opponesse al padre disperato, sarebbero fatti meno gravi, in quanto giustificati da valide ragioni di estrema necessità. Qualche ulteriore e doverosa considerazione:
  • il militare che non abusa della propria forza e che non vuole direttamente in cuor suo l’eventuale danno mortale che una certa azione potrebbe arrecare a civili inermi, non viola il comandamento che vieta di uccidere l’innocente;
  • la responsabilità della dichiarazione di una guerra ingiusta, è dell’autorità che la decide non dei soldati che, obbedendo, la conducono (resta ovviamente la responsabilità personale degli atti che ciascuno compie, così che vi possono essere comportamenti virtuosi di singoli militari appartenenti alla fazione che ha intrapreso una guerra ingiusta, e comportamenti riprovevoli da parte di militari appartenenti alla parte che conduce una guerra giusta);
  • la bestialità della guerra moderna pone seri problemi di ordine morale, che una retta coscienza non può ignorare. Il coinvolgimento brutale e di massa di civili inermi e la “asettica” conduzione di certe azioni belliche, che nulla hanno a che vedere con l’onore ed il valore a cui ogni soldato dovrebbe tendere, sono, a tale proposito, esempi eloquenti. Chiarito ciò, resta intatto il potenziale di virtù che la condizione militare possiede in sé, agli uomini il compito di attuarla con il decisivo aiuto della grazia divina.
  • Per costituzione, ossia per il fatto di essere tale; perché se non fosse così, non sarebbe un vero militare.
  • Rivista militare, n. 4, 1974
  • Pagine 139 e 140 dell’opera “L’ebreo nel mistero della storia” di Don Julio Meinvielle (1905 – 1973) Effedieffe Edizioni

 

6 commenti su “Fede cristiana e vita militare. Militia est vita hominis super terram – di Marco Sudati”

  1. Oswald Penguin Cobblepot

    Fermo restando il valore dello scritto, mi sono sempre posto una domanda: l’episodio della cacciata dei mercanti dal tempio non è una vicenda sufficiente per dimostrare che esiste un momento ed una giustificazione per l’esercizio di una “santa reazione al male”? Gesù, quando si è trattato di difendere i diritti conculcati del Padre Divino, c’è andato giù con le mani pesanti. O no? Mi sbaglio? LJC da Gotham, il Pinguino.

  2. Dal punto di vista della rivelazione biblica è vero che bisogna guardarsi da ogni forma di idolatria, anche da quella che nasce dalla indebita assolutizzazione del pur retto sentimento di appartenenza a una comunità storica. La considerazione dei totalitarismi del secolo scorso dovrebbe metterci in guardia dal rischio di totale assorbimento dell’individuo nello stato e il personalismo cristiano dovrebbe ricordarci che la dimensione relazionale della perona nion significa certo la negazione della dignità ontologica ed etica della singola persona umana. La cattolicità della nostra fede, cioè la sua universalità, ci dovrebbe poi ricordare il valore superiore dell’essere fratelli nella fede, come cristiani, e come esseri creati da Dio a sua immagine e somiglianza.

  3. Questo ‘vigoroso’ articolo mi induce a molte riflessioni relative alla condizione della nostra società, cioè del nostro vivere attuale dove la parola ‘pace’ è così inflazionata da voler rappresentare tutto e il contrario di tutto, persino la distorsione della realtà e dell’ordine naturale delle cose. Penso alle parole di Gesù: “Sono venuto a portare una spada…”, ma una spada per difendere la verità, evidentemente, combattendo ognuno nel proprio ruolo e secondo la sua natura, come, ad esempio, quella dell’uomo e della donna cui il Padreterno ha donato caratteristiche differenti non per questo superiori l’uno all’altra; la qual cosa mi riporta alla mia personale impressione di fronte a donne soldatesse o impegnate in attività da sempre prevalentemente maschili, come può essere un ruolo di comando: le trovo imbarazzanti, se non addirittura a volte ridicole. La vita è un combattimento, sì, ma che ognuno combatta da uomo se è uomo e da donna se è donna; dimostrerà comunque la sua forza. E soprattutto combatta in questo mondo sempre in vista del bene promesso nell’altro…

  4. Santissime parole, che condivido appieno.
    Resta forse soltanto da considerare il comportamento del soldato in una guerra ingiusta (o anche giusta ma combattuta in modi ingiusti). Una guerra, ad es., condotta contro Dio o la Sua Chiesa, se è vero che richiede l’attribuzione della colpa ai vertici e non al soldato che la combatte, comporta però anche la NECESSITA’ di NON OBBEDIRE a ordini intrinsecamente contro Dio e la morale cattolica e naturale. Ad es., a un ordine che imponesse di far abortire donne appartenenti a comunità considerate “nemiche” al fine di evitare la nascita di nuovi soldati “nemici” sarebbe moralmente OBBLIGATORIO per un militare cattolico rifiutare l’obbedienza, per osservanza religiosa innanzitutto e anche in quanto comportamento contrario alle vere e alte virtù militari. E così via. Ciò doverosamente precisato, apprezzo moltissimo questo intervento.

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