di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
fonte: Corrispondenza Romana
Che cosa ti combina l’astuzia della Ragione quando, invece di portare disastri nella Storia agli ordini del professor Hegel, si accontenta della cronaca ecclesiale e si intrufola in un’articolessa del dottor Paolo Rodari. Succede così che la prosa del dottor Rodari pubblicata sul “Foglio” del 31 dicembre con il titolo “I nuovi crociati”, in due righe appena riassume il senso di tutta la paginata: “avevamo pensato di aver vinto, che fosse prevalsa insomma la nostra linea, ma purtroppo non è stato così”. Sono parole di Don Giovanni Nicolini, che Rodari presenta così: “mantovano, fu a Bologna che conobbe e frequentò Giuseppe Dossetti. E’ dall’amicizia con Dossetti e da una comunione profonda con lui e i suoi che don Nicolini ha fondato le Famiglie della Visitazione”.
Il lettore avrà già compreso che don Nicolini, mantovano eccetera eccetera, sta parlando delle delusioni sofferte da coloro che speravano di vedere una Chiesa nuova fiammante venir fuori dal Concilio Vaticano II. Tanto che la frase del sacerdote mantovano sta all’interno del seguente ragionamento: “Credo che le novità del Concilio abbiano trovato sul loro cammino degli ostacoli che probabilmente lo stesso Concilio non poteva prevedere. E’ stato un errore forse anche nostro: avevamo pensato di aver vinto, che fosse prevalsa insomma la nostra linea, ma purtroppo non è stato così. Il Concilio è stato una grande profezia di fronte alla quale però la chiesa, o almeno una parte di essa, si è spaventata”.
Il lettore può toccare con mano che, pur avendo estrapolato la frase riportata sopra, non si è fatto torto al pensiero di don Nicolini. Tirate le somme, quelle 18 parole per 104 battute spazi compresi valgono la fatica di star dietro alle 2.291 parole per 14.438 battute di tutto l’articolo in cui, evidentemente, si vuol proprio mostrare che è davvero un peccato se è andata come don Nicolini avrebbe voluto. Tanto che il sommario del pezzo recita: “Ultracattolici, una minoranza borderline e violenta che resiste. Don Piero Corsi con le sue tesi è l’ultimo dei loro kamikaze”.
L’operazione è di quelle ben congegnate perché, additando al pubblico ludibrio il mostro di turno, si mira all’intero mondo della Tradizione. Lo si fa con i guanti bianchi e si arriva fino a dire che c’è tradizionalismo e tradizionalismo. Ma il problema è che poi si è costretti a spiegarsi.
L’articolo comincia con la requisitoria contro don Piero Corsi, il parroco di San Terenzio che è andato maldestramente a infilarsi nel tema del “femminicidio”. Don Corsi, evidentemente, è l’unico sacerdote a non meritare almeno un’attenuante, concessa spesso persino ai confratelli accusati di pedofilia. Il vaticanista coscienzioso, il bravo vaticanista direbbe Renzo Arbore, avrebbe almeno dovuto notare come don Corsi sia stato improvvisamente mollato da tutti: a partire dal suo vescovo, che dovrebbe fargli da padre, per arrivare fino al presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, che, in quanto arcivescovo di Genova, non pare invece così sollecito nel condannare pubblicamente quel don Gallo che di cattolico non ha più nulla o quasi e se ne vanta in ogni dove.
Niente da fare, Rodari aveva bisogno di don Corsi per mostrare il volto cattivo di “certo tradizionalismo” che poi, a operazione conclusa, il lettore finisce per scambiare con l’intero mondo della Tradizione. Certo, il vaticanista usa i guanti bianchi e distingue. Ma, forse senza neanche aver letto Maritain, distingue per unire, perciò, se dice che don Corsi è un caso a sé, lo unisce subito alle vicende di don Floriano Abrahamowicz e don Giulio Tam, al negazionismo e al fascismo rimontante. Certo anche per quanto riguarda don Abrahamowicz e don Tam spiega che sono da tempo fuori dalla Fraternità San Pio X. Troppo di destra “persino” per gli eredi di monsignor Lefebvre: ma, intanto, un altro mattoncino è stato posato alla base dell’edificio del tradizionalismo brutto, sporco e cattivo.
Perché, il tradizionalismo, “certo tradizionalismo”, sia così brutto sporco e cattivo lo spiegano gli esperti. Il primo della lista è, il professor Luca Diotallevi, sociologo che, assicura Rodari, “conosce e studia anche le dinamiche ecclesiali”. Il ragionamento del sociologo che “conosce e studia anche le dinamiche ecclesiali” è fondato sulla seguente perla di originalità scientifica: “In fasi di trapasso da un ‘mondo’ a un altro ‘mondo’, come quelle che stiamo vivendo, il processo di aggiornamento degli schemi cognitivi e dei modelli di comportamento richiede risorse che non tutti hanno. Questi sono tempi che richiedono a tutti una misura maggiore di coscienza, libertà e volontà. Di conseguenza, in queste fasi di passaggio, si creano gruppi marginali, ma anche molto numerosi, di individui segnati da una grande debolezza interiore”.
Negli anni Sessanta del secolo scorso, i rotocalchi in lettura dai barbieri erano già pieni di analisi che mostrano come gli oppositori al nuovo che avanza, sempre un po’ ottusi, finiscano fatalmente nella frange estreme da buttare a mare. Ma se questa è l’analisi va riportata. Rincresce solo che al giornalista non sia scappata almeno una domanda, che poteva suonare più o meno così: professor Diotallevi, quando parla di passaggio dal vecchio mondo al nuovo mondo, visto che l’argomento in questione è la Chiesa cattolica, intende dire che è in atto il passaggio da una vecchia Chiesa a una nuova Chiesa? Se così fosse, di grazia, dove sta la continuità che ora invocano tutti?
Intanto, un altro mattoncino è stato posato al suo posto, in attesa che il secondo esperto, storico e sociologo anche lui assicura Rodari, porti il suo. Interviene così il professor Massimo Introvigne, con grave infortunio per l’aspirante bravo vaticanista che lo definisce “vicino ad Alleanza Cattolica”, associazione, o agenzia come pare venga ora definita, di cui invece il professor Introvigne è vice reggente nazionale. Ad ogni buon conto, il professore è davvero un sociologo perché recentemente, quando si è visto costretto a spiegare gli strafalcioni ereticali del cardinale Martini, ha detto che si tratta di “cattiva sociologia” e non di cattiva teologia. Dal professor Introvigne, Rodari ricava che c’è tradizionalismo e tradizionalismo e che ce n’è persino uno buonissimo, quello del “pellegrinaggio organizzato in Vaticano da alcuni tradizionalisti per ringraziare il Papa del Motu proprio Summorum Pontificum sulla messa in latino”. Un evento nato e morto nello spazio di un giorno. Evidentemente, qui parlava il sociologo e non lo storico. Rodari non specifica poi che cosa pensi lo studioso in quanto “vicino ad Alleanza Cattolica”, ma questa, francamente, è la pecca più veniale di tutto il pezzo.
Si arriva così al fuoco d’artificio finale riservato a don Nicolini e alla sua autocertificazione della sconfitta, alla quale però è difficile rassegnarsi. Non vi si rassegna, per esempio, l’attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller, a suo tempo noto per le tesi non troppo ortodosse sulle verginità di Maria. Sull’”Osservatore Romano” del 29 novembre scorso, Müller ha parlato “interpretazione eretica” del Concilio Vaticano II tanto sul versante progressista quanto su quello tradizionalista. Per i commenti a questa uscita si rimanda ai pregevoli articoli di Roberto de Mattei, Paolo Pasqualucci e Arnaldo Xavier da Silveira sul sito www.conciliovaticanosecondo.it.
Qui rimane solo da dire che risulta difficile separare l’uscita di monsignor Müller dall’articolessa di Rodari. Non si vuole dire che vi sia concertazione.
In ogni caso questa è l’agenda degli scogli che il mondo della Tradizione dovrà affrontare nel 2013.