L’impegno del cristiano: combattere – di Marco Sudati

IL COMBATTIMENTO INTERIORE, OVVERO VINCERE SE STESSI Vincere se stessi significa vincere la guerra spirituale interiore che ogni persona è chiamata a combattere contro le passioni disordinate, e tutto ciò che degrada la dignità della natura umana ponendo inimicizia fra l’uomo e Dio.

Nella condizione post peccatum (post peccato originale) – che vede le facoltà superiori dell’essere umano, l’intelligenza e la volontà, indebolite e, dunque, incapaci di operare sempre il retto discernimento e di compiere le giuste scelte, quelle conformi alla volontà del Creatore – l’uomo è continuamente esposto al rischio di non essere in comunione con Dio, preferendo fare la propria volontà anziché quella del suo Signore.

Quando la volontà dell’uomo si adegua alla volontà divina, allora vi è comunione fra la creatura umana e Dio; quando, invece, nell’uomo prevale la volontà di fare ciò che gli aggrada, indipendentemente da quanto stabilito dalla volontà del Signore, allora fra l’uomo e Dio non vi è più comunione in quanto la creatura, emancipandosi dal Creatore, ha preferito se stessa.

La guerra interiore consiste, dunque, nel condurre una lotta spirituale per vincere la tentazione di fare la propria volontà quando questa è contraria a quella del Signore. I mezzi per combattere la guerra spirituale interiore, sono essenzialmente questi: Preghiera, Sacramenti, autodisciplina.

La preghiera è il mezzo che consente alla persona di tendere costantemente a Dio, di tendere a porsi in contatto ed in comunione con Lui. Preghiera che non consiste solo ed esclusivamente nel recitare le formule insegnate dalla Chiesa, ma anche nel parlare interiormente con Dio, nel meditare i contenuti della Fede chiedendo allo Spirito Santo la grazia di ben comprenderli, nel meditare su qualsiasi aspetto della vita al fine di comprenderlo alla luce della Verità.

I sacramenti sono i mezzi soprannaturali – veicoli della grazia celeste, messi a disposizione delle creature umane da Dio attraverso la Sua Chiesa – dei quali ogni cristiano si deve servire per alimentare e fortificare la propria vita di Fede.

L’autodisciplina altro non è che la costante tendenza ad ordinare se stessi ad un fine, mediante l’abituale pratica di appropriati esercizi o attività. Nel caso del combattimento spirituale interiore, la disciplina da dare a se stessi consiste:

  • nell’abituale vita di preghiera
  • nell’abituale ricorso ai sacramenti (la S. Messa e la Comunione, la Confessione), nel tendere a realizzare pienamente il carattere impresso dai sacramenti ricevuti (il rinnovo delle promesse battesimali, la militanza cristiana, ecc.)
  • nell’abituale pratica delle virtù naturali (il coraggio, la fortezza, la temperanza, la giustizia, la magnanimità, la pazienza, l’obbedienza, ecc.)
  • nell’abituale lavoro di formazione volto alla propria edificazione intellettuale, morale e religiosa.

Preghiera, sacramenti e autodisciplina sono i tre distinti ed inseparabili elementi che costituiscono la via alla vittoria nel combattimento spirituale interiore. Combattimento durissimo e impossibile da sostenere vittoriosamente senza l’indispensabile aiuto divino; combattimento che comporta sconfitte, umiliazioni, ferite nell’animo; ma da affrontare con la disposizione di chi è sempre pronto a rialzarsi, riconoscere i propri limiti e riprendere il combattimento in vista della vittoria finale: la corona di gloria che il Signore riserva ai suoi santi.

 

IL COMBATTIMENTO ESTERIORE Il cristiano è un combattente in servizio permanente effettivo, impegnato a lottare quotidianamente su due fronti: quello della battaglia interiore, contro tutto ciò che lo porta a rompere la comunione con Dio e, dunque, a degradare la dignità della propria persona; e quello della battaglia esteriore che si combatte nel mondo per affermare la regalità sociale di Cristo contro tutto ciò che ne rappresenta la negazione e contro l’incedere della Sovversione che vuole imporre agli uomini – ora con mezzi cruenti, ora con mezzi suadenti – la regalità sociale di Satana.

Combattimento esteriore che comporta la necessità di scontrarsi con altri uomini e di battersi – cavallerescamente, ossia secondo la fede in Cristo e le conseguenze etiche che ne derivano – in ogni modo: dal piano culturale e morale, a quello dello scontro fisico che comporta lo spargimento del sangue.

La storia della Cristianità – in special modo di quella europea, ma non solo – è contraddistinta da fatti d’arme di importanza capitale, sia dal punto di vista storico che da quello morale: Poitiers (732), le Crociate (1096 – 1518), la Reconquista spagnola (718 – 1492), Lepanto (1571), Vienna (1683), la Vandea francese (1793), le Insorgenze antigiacobine italiane (1796 – 1814), la Cristiada messicana (1926 – 1929), la Crociata spagnola (1936 – 1939), l’attuale lotta dei cristiani del Vicino e Medio Oriente, attaccati dalle orde islamiche aizzate dal potere mondialista, sono gli eventi più rappresentativi dell’impegno militare e guerriero cristiano fondato sull’esercizio della virtù combattente pienamente contemplata dalla Fede. Virtù fortemente adombrata dall’eresia modernista che alimenta il cosiddetto progressismo cattolico imperante dal Concilio Vaticano II, ma virtù che nessuno sforzo umano potrà mai rimuovere dal carattere cristiano, in quanto parte essenziale di esso: se il cristiano non combatte, perde la sua identità e cessa di esistere.

Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione. (dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo cap.4, 6-8).

 

(Dal Quaderno di Ordine Futuro “In hoc signo pugnas – Apologia della virtù combattente cristiana”, per gentile concessione dell’autore).

2 commenti su “L’impegno del cristiano: combattere – di Marco Sudati”

  1. Così parla il card. Sarah: ” La Chiesa non può collaborare a questa nuova forma di schiavitù in cui si è trasformata la migrazione di massa. Se l’Occidente continua a percorrere questo funesto cammino, c’è il rischio molto grande che esso sparisca per via del calo della natalità, invaso da stranieri, così come Roma fu invasa dai barbari. E parlo da africano”.

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