Il santo del mese: Beato Papa Pio IX – di Paolo Gulisano

 

Il nome di questo pontefice è associato, nei più, a vaghi ricordi di scuola che sanno di vecchi sussidiari per qualcuno, di micidiali testi di storia marxisti-leninisti per chi ha fatto il Liceo dopo il 1968: in ogni caso Pio IX significa reazione, potere temporale, oscurantismo clericale, opposizione allo stato unitario. Tra gli aneddoti che qualcuno avrà sentito a scuola, forse da qualche insegnante particolarmente propenso al sarcasmo, c’è la celebre definizione che sul pontefice coniò Garibaldi: “un metro cubo di letame”. Il Nizzardo si era d’altronde già divertito a definire il papato “cancro d’Italia” e Roma “capitale della più odiosa delle sette”. Per altri, tra cui molti cattolici disinvoltamente progressisti, demitizzati e “aperti al mondo”, Pio IX è il pontefice scomodo che ha promulgato il dogma dell’Immacolata Concezione e che ha condannato il mondo moderno con il Sillabo.        

Nessun papa, dopo San Pietro, ha retto per tanto tempo la Chiesa di Cristo come Pio IX, il cui pontificato durò per ben trentadue anni, dal 1846 al 1878.    Giovanni Maria Mastai Ferretti nasce nelle Marche, a Senigallia, il 13 maggio 1792, dal conte Girolamo e da Caterina Solazzi. Sono gli anni della Rivoluzione francese, del genocidio vandeano, e quindi – dal 1796 al 1799 – dell’invasione napoleonica e giacobina della penisola che dette luogo a quella grande risposta popolare in difesa della religione e delle autonomie e libertà locali che fu il fenomeno delle Insorgenze. Giovanni venne educato dalla madre, donna di profonda religiosità, che gli comunicò l’amore per il Santissimo Sacramento e per la Santa Vergine. Vista la sua inclinazione agli studi, fu inviato a frequentare un collegio religioso a Volterra. Successivamente andò a Roma, ventenne, dove fu accolto con benevolenza da Papa Pio VII. Era un ragazzo di gracile costituzione, tanto che non era stato ammesso nella guardia nobile pontificia presieduta dal Principe Barberini; addolorato per non poter servire il pontefice, si recò in udienza da Pio VII. Il Santo Padre lo rincuorò, dicendogli che Dio voleva certamente chiamarlo a lui per la via della croce. Per gli stessi motivi di salute, una volta intrapresi gli studi in seminario, la sua ordinazione sacerdotale venne ritardata fino alla Pasqua del 1819. Aveva sofferto per un certo periodo di crisi epilettiche, che rendevano difficili i suoi già gravosi impegni presso l’accademia ecclesiastica dove studiava teologia sotto la direzione dell’abate Graniari, che lo indicava come modello di pietà e di carità ai suoi compagni di corso. Si recò allora in pellegrinaggio presso il Santuario della Madonna di Loreto, patrona della sua terra, ed ottenne una piena guarigione dal male che lo affliggeva. Completati gli studi teologici e filosofici venne ordinato sacerdote il 10 aprile 1819. Fermatosi a Roma, chiese di svolgere un’attività autenticamente pastorale, al di fuori di quello che poteva essere il “curriculum praelatitium” al quale un giovane chierico della sua condizione andava normalmente incontro. Aveva una vita spirituale molto intensa: dedicava parecchio tempo alla preghiera e agli esercizi spirituali, ed era entrato a far parte del Terz’Ordine Francescano.  

Venne nominato rettore dell’ospizio popolarmente conosciuto come di Tata Giovanni: si trattava di una casa destinata agli orfani e ai fanciulli abbandonati che era stata fondata da un capomastro, Giovanni Bonghi, il quale accoglieva ragazzini mendicanti per dar loro un’educazione cristiana e insegnare un mestiere. Questo istituto aveva in seguito ricevuto riconoscimenti e aiuti da parte del Papa che gli aveva anche assegnato una direzione ecclesiastica. Il giovane Mastai aveva cominciato ad occuparsi dell’istituto ben prima di diventare prete, oggi diremmo a titolo di volontariato. Ordinato sacerdote, disse la sua prima Messa nella piccola chiesa degli orfanelli e si dedicò ancor più alla loro educazione. Una volta nominato rettore della casa, prese dimora in una cameretta dell’istituto, e impiegava il denaro che riceveva dalla famiglia per provvedere alle necessità dei suoi bambini.  

Nel 1823 fu inviato in Cile e Perù come uditore del legato pontificio Monsignor Mazi. Questa esperienza aprì al giovane don Mastai la prospettiva universale e missionaria della Chiesa. Manifestò infatti il desiderio di restare in quelle terre come missionario, nonostante le enormi difficoltà che si erano presentate nel corso del viaggio: a Majorca erano stati arrestati e imprigionati dal governo spagnolo che disapprovava che la Santa Sede avesse riconosciuto le province ribelli che avevano proclamato l’indipendenza, e che avesse con loro relazioni dirette. Una volta rilasciati avevano proseguito per l’America, imbattendosi prima in una nave pirata che li aveva assaliti e poi in una tempesta che aveva messo in serio pericolo l’incolumità del vascello. Una volta arrivati a destinazione avevano iniziato un lungo viaggio, attraverso i deserti delle pampas, dormendo in capanne o all’addiaccio, soffrendo la fame e la sete. Gli indigeni li accolsero con entusiasmo, mentre ebbero difficoltà  con le autorità politiche che, dopo la raggiunta indipendenza, cominciavano ad essere pesantemente influenzate e infiltrate dal liberalismo massonico.

La missione ebbe termine nel 1825. Una volta rientrato a Roma, Don Giovanni non vi trovò più il suo amato Pio VII. Il successore, Leone XII, lo nominò rettore di un altro istituto per ragazzi, il San Michele a Trastevere, dove erano ospitati anche anziani. Don Mastai mise tutta la sua capacità e il suo ardore nella guida e nell’amministrazione della casa. Le sue qualità non passarono inosservate, e quattro anni dopo venne nominato arcivescovo di Spoleto. Si dedicò immediatamente con tutta la sua intelligenza e tutta la sua passione al nuovo compito che gli era stato affidato, impegnandosi in un miglioramento della formazione del clero, soprattutto dal punto di vista spirituale, che corroborò con i ritiri di cui aveva personalmente sperimentato l’efficacia; si trovò anche ad affrontare le prime controversie politiche, cercando di usare lungimiranza e saggezza, cercando di sanare e ricomporre piuttosto che punire. Un episodio in particolare gli valse la fama di “liberale”, quando si rifiutò di prendere in considerazione una lista di persone sospette di sedizione che gli era stata fornita da un informatore.

Nel 1831 si pose come mediatore tra le truppe austriache e un gruppo di insorti, che egli convinse a sottomettersi pacificamente alle autorità costituite. Si segnalò negli anni di Spoleto anche per la carità verso i poveri, per i quali vendette anche delle sue personali argenterie. Nel 1832 venne trasferito alla più prestigiosa sede di Imola. Anche qui profuse tutto il suo impegno nella riforma del clero; fondò poi un istituto per orfani che desse loro accoglienza e istruzione; si occupò dell’istruzione delle bambine facendo venire in diocesi un ordine di suore della carità; stabilì un collegio-convitto per studenti. La sua casa divenne luogo di incontro per studiosi e intellettuali. Era attentissimo a tutte le novità tecniche e scientifiche sulle quali cercava di documentarsi attentamente. Non si negava neppure alle discussioni politiche, e seguiva con interesse le pubblicazioni di Gioberti, D’Azeglio e Cesare Balbo. Nel 1840 fu elevato al cardinalato, ma gli impegni a Roma che questo comportava non gli fecero mai trascurare le cure alla sua amata diocesi imolese, e continuava ad occuparsi principalmente dei suoi doveri di pastore.     

La temperie culturale degli anni dell’episcopato di Mastai Ferretti era senza dubbio difficile: nel 1841 il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach pubblicava L’Essenza del Cristianesimo, sostenendo la tesi che la religione è un fenomeno alienante, per colpa del quale l’uomo è portato irrazionalmente a indirizzare le sue paure e le sue frustrazioni verso un essere immaginario ed inesistente chiamato Dio; nel 1846, l’anno dell’elevazione di Mastai Ferretti al pontificato, un altro filosofo, il corifeo del positivismo Auguste Comte,  negava l’esistenza di ogni realtà soprannaturale e proclamava l’assoluto primato del metodo scientifico e un concetto di filosofia come sintesi delle scienze. Ciò durante il regno di Luigi Filippo d’Orléans, volteriano convinto che aveva decretato che la religione cattolica non fosse più religione di Stato. In politica il riflesso del Positivismo fu il progressismo, il radicalismo, l’anticlericalismo. La logica conseguenza di queste premesse dottrinali fu lo scritto di un altro filosofo tedesco, Karl Marx, che nell’opera Le miserie della filosofia, pubblicato nel 1847, esponeva in veste scientifica gli elementi essenziali del socialismo ateo.  

Pio IX fu eletto come successore di Gregorio XVI, ovvero Bartolomeo Alberto Cappellari, monaco camaldolese nativo di Belluno, e già Prefetto della Congregazione di Propaganda Fide. Anche questo pontefice, nella bibliografia corrente che gli è dedicata, viene tacciato di sentimenti reazionari e filo-austriaci. In realtà era un uomo di vastissima cultura, un teologo di grande sicurezza dottrinale, un pastore d’anime che dette grande impulso alle missioni, non soltanto nelle terre lontane d’oltreoceano, ma anche nei paesi europei che si erano allontanati dalla fede cattolica, come l’Inghilterra, l’Olanda o le terre dell’Impero Russo. Favorì la ricostituzione degli antichi ordini religiosi, tra cui francescani, domenicani e gesuiti. Si oppose con intransigenza ad ogni azione politica liberale o ispirata dalle società segrete; nel 1799 – nel momento di maggior prostrazione del papato – aveva pubblicato un’opera contro febroniani e giansenisti che avrebbe in seguito esercitato un grande influsso sullo sviluppo del movimento ultramontano, Il trionfo della S. Sede e della Chiesa contro gli assalti dei novatori. Quello di Gregorio XVI era stato dunque un pontificato di lotta contro la progressiva penetrazione delle idee liberali. Alla sua morte ci si poteva dunque aspettare un conclave molto difficile; fu invece uno dei più brevi della storia: gli ambienti liberali speravano che la scelta cadesse sul cardinale Gizzi, mentre il candidato dei conservatori era il cardinale Luigi Lambruschini, sostenuto anche dall’Austria. Altri papabili erano considerati i cardinali Bernetti e Micara. Grande fu dunque la sorpresa quando la sera del 16 giugno venne proclamata l’elezione di Giovanni Mastai Ferretti, che prese il nome di Pio in onore di Pio VII, il papa della sua giovinezza, che lo aveva incoraggiato e aiutato, e lo aveva preceduto anche nella sede episcopale di Imola.

Il nuovo papa fu accolto con grande giubilo, e con un consenso pressoché generale. Si disse che l’Austria, avuto sentore di una possibile scelta a vantaggio del cardinale marchigiano, avesse inviato il suo veto per mezzo dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Gaisruck, che tuttavia giunse in ritardo al conclave. Queste voci fecero sì che si diffondesse ulteriormente la fama del papa “liberale”. Da Roma Massimo d’Azeglio scriveva al fratello Roberto a proposito del nuovo pontefice: “È uomo di cuore davvero, di cuore generoso, alto, pieno d’affetto, e solo da cuori come il suo sorgono i gran disegni e le grandi risoluzioni”. La bontà d’animo, la magnanimità, la carità ardente sembravano essere le caratteristiche, già ben note, del nuovo giovane papa, che aveva allora solo cinquantaquattro anni. Anni prima, al suo ritorno dal Sud America, il cardinale Lambruschini – probabilmente il suo principale rivale nel conclave – aveva detto di questo sacerdote: “Molte cose ha operato Dio in questo cuore purissimo che trabocca di carità”. 

Non voglio scostarmi un apice dalla divina volontà”, aveva detto una volta salito al soglio di Pietro. Era ben nota la sua devozione al SS. Sacramento dell’Eucaristia e alla Madonna, una attenzione particolare questa che lo avrebbe portato nel 1854 a definire il dogma dell’Immacolata Concezione. Un’altra devozione cara a Pio IX e che egli sviluppò e diffuse fu quella per il Sacro Cuore, tanto che secondo monsignor D’Hulst il XIX secolo merita di essere ricordato come “il secolo del Sacro Cuore”. Si trattava di una devozione antica che era stata ripresa e attivamente diffusa dai gesuiti e entusiasticamente accolta a livello popolare dai fedeli che vedevano in essa, per il suo carattere di misticismo realista, il miglior modo per opporsi alle tendenze razionaliste e insieme libertine dell’epoca. Il Sacro Cuore era stato assunto come insegna e distintivo dai cattolici vandeani perseguitati dalla rivoluzione, e in seguito da tutti gli oppositori dell’ideologia giacobina, dai sanfedisti del cardinale Ruffo fino ai tirolesi di Andreas Hofer. Nel 1856 Pio IX istituì per tutta la Chiesa universale la festa del Sacro Cuore.

Un papa “spirituale” quindi, estraneo ai giochi politici e diplomatici, che per la sua bontà d’animo e buona fede poteva fare il gioco dei progressisti? Niente affatto. Nella devozione di Pio IX emergeva chiaramente anche l’aspetto sociale. Durante il suo pontificato si cercò di fare riconoscere dovunque la massima sovranità del Sacro Cuore e si sostenne il dovere di cooperare per il suo Regno sociale. Con questo spirito il musicista Verboitte compose il celebre mottetto Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat. 

Il suo ministero petrino è ben riassunto dal seguente motto, che era il suo programma di vita: “Omnia in Deo, cum Deo, propter Deum”. Tutte le cose in Dio, con Dio, per Dio.

 

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