Per essere anticomunisti bisogna per forza essere capitalisti? Il socialismo si può avversare solo col liberismo? La risposta è semplice: no. Alla luce del Magistero (ma anche di semplici osservazioni della realtà) rigettiamo entrambe le ideologie. Ai nostri giorni, è tuttavia necessario prendere le distanze soprattutto dal dio mercato, che come tutti i falsi dei richiede schiavi, vittime e sacrifici umani. Nel mondo cattolico, come non mancavano ieri i seguaci illusi dal collettivismo quando ancora si poteva far finta di non vedere, non mancano oggi i liberomercatisti per i quali i confini nazionali rappresentano uno spiacevole ostacolo alla circolazione di capitali e merci e per i quali la supremazia di banche e imprese sugli stati non rappresenta un problema. L’articolo che segue analizza criticamente con argomentazioni divulgative il pensiero in materia economica di uno tra i più noti esponenti di questo cattolicesimo che sarà pure conservatore, ma forse un po’ troppo “austriaco”, nel senso di “scuola austriaca”, quel movimento da cui ha tratto origine il pensiero neoliberista. Pe leggere la prima parte: https://www.riscossacristiana.it/il-buon-cattolico-liberista-prima-parte-di-marco-manfredini/
Dopo aver analizzato alcune delle idee guida seguite da Ettore Gotti Tedeschi, vediamo ora a chi si ispira il nostro economista. Chi sono i suoi compagni di viaggio ideali? Dalle sue pubblicazioni ne emergono diversi, vediamone tre: il turboReverendo, il Denazionalizzatore, il guru Teocon.1
Il turboReverendo
Tra gli amici di EGT c’è il Reverendo Turboliberista Actoniano2 Robert Sirico, di cui abbiamo già avuto modo di parlare3 e di cui possiamo sintetizzare la carriera con due domande poste da E. Michael Jones di culturewars.com: Com’è possibile che un uomo che ha utilizzato la prima parte della sua carriera come promotore della sodomia e attualmente si dedica a promuovere l’usura sia un sacerdote in piena regola della Chiesa Cattolica? Non sono forse la sodomia e il defraudare la mercede agli operai peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio?
Tra le varie pubblicazioni di Sirico, tutte tese a magnificare le virtù del liberismo (quando non di un vero e proprio libertarianesimo), troviamo La vocazione dell’imprenditore, che reca un’introduzione-lectio magistralis di EGT scritta sotto forma di “allocuzione ideale di un pontefice del XXI secolo, rivolta agli imprenditori”.
L’allocuzione, contiene molte cose abbastanza condivisibili, come: Noi crediamo che il valore dell’imprenditorialità sia oggi più che apprezzabile, sia eroica. Noi ben sappiamo che solo attraverso l’impresa privata si crea vera ricchezza indispensabile per essere realmente distribuita. Ma l’impresa è un mezzo cui va dato un fine, un senso, affinché detta ricchezza sia creata bene e serva all’uomo, al suo benessere integrale, e sia possibile distribuirla, secondo leggi economiche, per il bene comune, di tutti.4
Ecco, chi glielo dà questo fine? Secondo EGT, sulla scorta di Caritas in Veritate: Non è l’impresa che deve essere riformata, ma il cuore dell’imprenditore. E per poterlo fare è necessario capire la Verità. E quello è compito nostro, della Chiesa, che deve riuscirci con un magistero chiaro e conforme alla dottrina, con i sacramenti che sono il mistero di nostro Signore, con la preghiera a Dio Padre.
Vero, verissimo. Non c’è struttura, sovrastruttura o organizzazione sociale che possa funzionare, se questa è composta da uomini che “non funzionano”, da persone che non riescono a compiere il bene, scambiano il bene con male, o perseguono scientemente quest’ultimo. Ma è altrettanto vero, ed è ciò che i liberal-liberisti non comprendono, che anche le strutture, intese come il quadro di norme, incentivi e limiti in cui le imprese si trovano ad operare hanno una loro importanza. Se il sistema è criminoso si concorderà facilmente che l’aspettativa di sviluppare al proprio interno singole virtuosità sarà piuttosto limitata.
In un sistema dove il furto fosse comunemente accettato, come potrebbe sopravvivere chi si rifiutasse di praticarlo, o come minimo di armarsi fino ai denti per difendere la sua proprietà? (Per inciso, il sistema banco-finanziario-monetario odierno è esattamente di questo tipo).
“Riforma” è una parola insulsa che mal sopportiamo a causa della sua insita valenza progressista, pur nella sua insignificanza di fatto (da tempo tutti si dicono riformisti e liberali); in questo caso la accettiamo essendo intesa come “riforma del cuore”, cioè conversione. L’imprenditore si potrà pure convertire ed esercitare la sua attività con particolare riguardo al suo socialis munus, cosa che tutti auspichiamo. Ma se poi lo stesso imprenditore si ritrova a dover pagare oltre due volte l’emolumento netto che percepiscono i suoi dipendenti, a essere sommerso da una quantità surreale di pratiche burocratiche e di assurdi adempimenti, in caso di contenzioso con lo stato si trova ad avere sul suo conto una presunzione di colpevolezza che deve cercare di capovolgere dopo essere stato depredato del settanta percento dei suoi utili da parte dello stato stesso, il tutto, al di là di ogni post verità che ci racconta Cottarelli, a causa del debito che lo stato (non l’imprenditore) ha contratto e che adesso deve servire in aeternum?
Mettiamoci anche che il povero imprenditore viene regolarmente rimproverato dagli economisti da salotto di non essere abbastanza competitivo e che si trova a concorrere direttamente con economie “più economiche” (bella forza, utilizzano schiavi al posto di lavoratori!), questo imprenditore avrà pure qualche ragione se gli girano leggermente gli zebedei perché allora tanto vale chiudere che forse ci guadagna di più (sicuramente in salute)?
Sempre dall’allocuzione di papa Federico Augusto I5, al secolo Ettore Gotti Tedeschi: Ben sapete, meglio di me, che l’occupazione si tutela sviluppando l’impresa e rafforzandola competitivamente. Ciò con valori di responsabilità personale e di merito, non di assistenza e protezione. Ma, mi chiederete, qual è il suggerimento? È il seguente, che troverete nella conclusione dell’enciclica Caritas in Veritate: “L’amore di Dio ci dà il coraggio di operare e proseguire nella ricerca del bene di tutti. Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio”. Capisco la vostra perplessità, ma è un pastore che vi parla, non un presidente di Confindustria. Ma è un pastore che non vuole consolarvi, vorrebbe invece riuscire a contagiarvi con la nostra vicinanza e preghiera.6
Sarà, ma a parte gli apprezzabili richiami evangelici sembra proprio di sentire un presidente di Confindustria, con la sua fede nel libero mercato, con le sue logiche produttivistiche e competitiviste, e il suo tipico digiuno su questioni monetarie. Possibile che EGT alla distanza di diciassette, dico diciassette anni dall’entrata della Cina nel WTO non si renda conto che le imprese di un Paese per non crollare insieme ad esso hanno anche bisogno di protezione (e assistenza per i lavoratori che vengono esclusi)?
Il Denazionalizzatore.
Premio Nobel per l’economia, tra i maggiori guru del liberismo novecentesco, Friedrich von Hayek è stato nemico della “democrazia illimitata”, esercitata dagli stati anche grazie al monopolio governativo nell’emissione della moneta. In sostanza era contrarissimo all’esercizio della sovranità monetaria da parte degli stati. Il curatore e traduttore dell’edizione italiana de La denazionalizzazione della moneta, prof. Lorenzo Infantino, scrive nella presentazione del saggio: [Von Hayek] Non si è mai stancato di porre in evidenza i gravi danni (alterazione del meccanismo di allocazione delle risorse, distruzione del capitale, disoccupazione) arrecati al regolare svolgimento dell’attività economica da una politica monetaria posta al servizio della finanza pubblica.7
Secondo lui la politica monetaria non doveva essere gestita dallo stato perché non doveva essere al servizio della finanza pubblica (ovvero dei cittadini-contribuenti), ma ovviamente la gestione andava al “libero mercato”, a tutto vantaggio della “finanza privata” che di fatto significa pochi ricchi finanzieri.
Di fatto oggi, anche se l’emissione cartacea si configura come monopolio della privatissima BCE, sono i mercati (leggasi oligarchie finanziarie) che determinano le politiche monetarie, essendo questi che decidono se acquistare, e a che tassi, i titoli di stato. Con i risultati che tutti vediamo.
Sempre Infantino, che è anche presidente della Fondazione Friedrich A. von Hayek Italia, quindi autorevole interprete del pensiero Hayekiano: L’affrancamento da ogni forma di sovranismo monetario rimane all’ordine del giorno di quanti credono nella libertà individuale di scelta. […]8 L’economista, affiliato a diverse logge9, era un anti-sovranista della prim’ora; chissà come sarebbe schifato oggi dal riemergere dei movimenti populisti che di un orgoglioso quanto necessario sovranismo fanno cavallo di battaglia. Denazionalizzare significa rinunciare alla banca centrale e restituire alla moneta la sua funzione di esclusivo mezzo della cooperazione sociale volontaria. Hayek è stato perciò critico nei confronti della creazione di una nuova moneta e di una nuova banca centrale. Avrebbe preferito che ai cittadini dell’Unione Europea fosse lasciata la libertà di scegliere la valuta che avrebbero giudicato più idonea alle loro transazioni. E ciò, come si può ben comprendere, avrebbe presto comportato la scomparsa delle monete più deboli, fra cui la lira italiana, dalle contrattazioni internazionali e anche dalle maggiori transazioni interne.10
Von Hayek avrebbe voluto il totale assoggettamento dell’emissione monetaria alle leggi di mercato, senza nemmeno passare per una Banca Centrale. Difficile immaginare una situazione peggiore di quella odierna, ma questa forse lo sarebbe stata.
Insiste il professore: […] Ma l’euro ha portato dei reali benefici, che anche Hayek avrebbe riconosciuto: perché ha cancellato dall’area europea il nazionalismo monetario. Ha impedito al ceto politico di percorrere la solita strada, tristemente sperimentata in passato, delle svalutazioni competitive.11
Ah, quindi la cancellazione delle sovranità monetarie nazionali che a loro volta hanno impedito le svalutazioni è da considerarsi un beneficio. Ma per chi esattamente? Non mi pare di certo per le popolazioni europee, almeno quelle che non si occupano professionalmente di finanza speculativa o di delocalizzazioni competitive.
È quella [del nazionalismo monetario] una scelta che rende impossibile la corretta allocazione delle risorse, che crea un continuo conflitto a livello internazionale e che, come tutti i manuali di economia insegnano, produce esattamente l’opposto di quel che promette. Anche se valutiamo le cose dall’esclusivo versante italiano, dobbiamo riconoscere che l’euro è una moneta migliore di quella che, in sua mancanza, avremmo avuto.12
Come no. L’unica cosa che possiamo verificare davvero è che con la valuta nazionale si stava meglio. Quello che sarebbe successo se non fossimo entrati nell’Euro è impossibile da dire perché dipende da decine di altri fattori, ma escludere che saremmo continuati a stare meglio appare un tipico dogmatismo. L’affermazione “l’euro è una moneta migliore” vale senz’altro per i banchieri europei e per chi viene a fare man bassa di aziende Italiane, non certo per i cittadini che lavorano. Appurato che ai liberisti ciò che interessa è “la corretta allocazione delle risorse” e che per loro l’euro è la migliore delle monete possibili, inutile proseguire oltre.
Il guru Teocon
Uno dei massimi teorici Teocon di fine e inizio secolo, è stato cantore delle meraviglie prodotte dall’economia di mercato senza vincoli e tra i più ferventi sostenitori cattolici dell’interventismo americano nelle guerre in giro per il mondo. Michael Novak, come tanti suoi colleghi nell’ambiente neoconservatore è passato dalla sinistra economica alla “destra” quando è apparso chiaro che col socialismo non si andava da nessuna parte. Da liberal (progressista) a liberalist (liberista/conservatore), la radice è la stessa, come il già citato padre Sirico.
Tra i dirigenti dell’American Enterprise Institute, think thank del neoconservatorismo con lo scopo di “difendere i principi e migliorare le istituzioni della libertà americana e del capitalismo democratico”, si occupò principalmente di sviluppare una teologia cattolica del capitalismo.
Nella sua opera più famosa, Lo spirito del capitalismo democratico, diceva: L’invenzione dell’economia di mercato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti ha rivoluzionato il mondo tra il 1800 e il presente più profondamente di qualsiasi altra singola forza. Dopo cinque millenni di maldestri tentativi finalmente gli esseri umani hanno trovato il modo di produrre ricchezza in modo sistematico e sostenuto. […] La chiesa non ha capito la nuova economia… la cultura latina non comprende le scienze economiche.13
Perciò è arrivato lui a spiegare alla chiesa e a quei trogloditi dei latini la nuova miracolosa scienza economica dell’abbondanza liberista. Peccato che la partita doppia fu inventata da un frate e matematico italiano nel XV° secolo e perfezionata da un monaco benedettino nel XVI°; l’assegno e la lettera di cambio (cambiale) sempre da un italiano nel XIV°; le prime banche furono italiane (tra cui la tristemente famosa MPS), la riserva frazionaria idem. Insomma, possiamo dire che la panacea narrata da Novak senza le invenzioni degli uomini di chiesa latini sarebbe ancora di là da venire.
Dice di lui e della sua opera il già citato E. Michael Jones: Dopo un inizio di carriera come cristiano socialista e promotore della liberazione sessuale, Novak si unì allo staff dell’American Enterprise Institute nel 1978, proprio quando il movimento neoconservatore stava prendendo piede e traslocava dal Trotskismo alla politica Reaganiana […]. Michael Novak avviò la tendenza [a conciliare il cattolicesimo con quel capitale che abbatteva i salari distruggeva posti di lavoro] quando iniziò a lavorare per gli ebrei che dirigevano l’American Enterprise Institute. Il frutto di quella scellerata collaborazione è stato lo Spirito del Capitalismo Democratico, un’arringa pro-Capitalista che faceva sembrare le invettive di Ayn Rand14 giudiziose e misurate a confronto […]. Quel libro ha corrotto la mente di ogni singolo vescovo a mericano, se non direttamente tramite iniziative come la Dichiarazione di Manhattan […].15
(FINE DELLA SECONDA PARTE)
1 Nel libro Spiriti animali. La concorrenza giusta, Ettore Gotti Tedeschi, (Università Bocconi Editore, 2007), vengono elencati in modo preciso i “Viennesi”: “Come si conviene, denunciamo subito un debito […]: la scuola austriaca dell’economia nasce con l’imporsi del cosiddetto marginalismo […]. I padri del marginalismo sono Walras, Jevons e l’austriaco Carl Menger. Gli economisti austriaci sono discepoli di Menger, a lui più o meno vicini nel tempo: Eugen von Böhm-Bawerk, Ludwig von Mises, Friedrich von Hayek […], Israel Kirzner, Murray Rothbard.”
Michael Novak viene citato volentieri in interviste come questa: http://www.lindipendenzanuova.com/quando-gotti-tedeschi-ci-disse-italia-economia-di-stato-piu-grande-deuropa/
Per quanto riguarda padre Sirico, è lo stesso Gotti Tedeschi a definirlo “mio caro amico” nell’introduzione al suo saggio La vocazione dell’imprenditore, Robert A. Sirico, Fede&Cultura (2013).
I nomignoli utilizzati sono di mia invenzione.
3 http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&task=view&id=332086&Itemid=100021e https://www.radiospada.org/2017/11/una-bussola-difettosa/
4 La vocazione dell’imprenditore, Robert A. Sirico, Fede&Cultura (2013).
9 “Gli economisti Friedrich Von Hayek e Milton Friedman, principali teorici del neoliberismo, nonché Robert Nozick, filosofo politico e teorico dello “Stato minimo”, erano tutti massoni neoaristocratici; Von Hayek e Friedman erano affiliati alle Ur-Lodges Three Eyes ed Edmund Burke; dal 1978 anche alla White Eagle. Fu grazie all’impulso di queste Ur-Lodges che Von Hayek e Friedman ottennero, nel 1974 e nel 1976 rispettivamente, il premio Nobel per l’Economia (che, detto per inciso, non viene assegnato dagli accademici di Svezia, ma dai banchieri svedesi). Il progetto era far diventare il neoliberismo – teoria allora marginale e ininfluente – il mainstream in economia.” Tratto da: https://blog.movimentoroosevelt.com/home/1837-il-colpo-di-stato-delle-elite-monopoli-privati-neoliberismo-e-massoneria-neoaristocratica.html
2 commenti su “Il buon cattolico liberista (seconda parte) – di Marco Manfredini”
Oltre alle considerazioni più squsitamente scientifiche (ineccepibili), l’aspetto più sconcertante e ridicolo è rappresentato dalla figura di Michael Novak “guru teocon”: “come tanti suoi colleghi nell’ambiente neoconservatore è passato dalla sinistra economica alla “destra” quando è apparso chiaro che col socialismo non si andava da nessuna parte”. Sembra di leggere la biografia di tanti nostri intellettualoidi nostrani, che erano extraparlamentari di sinistra alla fine degli anni ’60, simpatizzanti del PCI nei ’70, craxiani/craxisti negli ’80, e berlusconiani nei ’90. Motus mentis et animae in fine velocior. Da Gotham, il Pinguino.
Ho letto un libro di Novak, tempo fa, edito da una casa editrice d’impostazione liberale-liberista, aveva a che fare con la povertà. In relazione a quanto letto, sposo totalmente quanto scritto da Manfredini. Novak è solo uno dei tanti che fecero il grande salto dal trotskysmo al conservatorismo, riuscendo nell’epica e titanica impresa di inquinare il conservatorismo americano, già inquinato di suo sin dal suo nascere. Non a caso, le teorie deliranti della Rand ben si innestarono con l’esoterismo cabalistico-nicciano di Strauss in relazione al superomismo liberista, libertario e libertino. Abbiamo visto e vediamo, purtroppo, ancora oggi i nefasti risultati ottenuti da costoro. In questo scenario inquietante, che con la Dottrina Sociale della Chiesa non ha nulla da spartire, non ci resta che osservare l’operato di Donald Trump, un signore dalle poche capacità intellettive, dalle mediocri capacità strategiche in politica estera, ma comunque immune dall’ideologismo. Questo è già qualcosa.