Parte seconda: le fiabe regionali del Piemonte
Molto spesso, tendiamo a guardare gli altri, cercando di individuare i loro difetti per poterli giudicare; questo perché la critica è facile, ma l’arte di conoscere davvero gli altri è difficile.
Cari bambini, una persona riservata che custodisce un segreto, senza dirlo a nessuno, significa che debba essere per forza una persona meschina ed egoista? No, per forza no. Infatti, il parroco di San Grato aveva un segreto prezioso, ma la gente del posto lo criticava per questo. Nessuno di noi ha il diritto di giudicare le persone; è un compito che spetta unicamente a Dio.
Sebbene fosse in quella parrocchia da tanti anni, nessuno aveva mai capito nulla dell’indole di quel prevosto montanaro.
In chiesa faceva il suo dovere, accudiva con zelo impeccabile alle sue funzioni, visitava gli infermi e, quando poteva, cercava di mettere pace tra le persone che si accapigliavano per questioni d’interesse. Pur tuttavia la sua vita rimaneva stranamente solitaria. In paese non faceva mai conversazione con nessuno, stava sempre chiuso in casa, e se usciva, quando il tempo era buono, si dirigeva verso la montagna, dove si nascondeva in mezzo alle rocce, come chi voglia occultare agli occhi della gente il proprio operato.
E poi vestiva male, con una zimarra stinta e rattoppata, un paio di scarpe scalcagnate; ed era così discinto, così pallido, che pareva non mangiasse e non bevesse.
Eppure la parrocchia di San Grato aveva le sue belle rendite, e i diritti di stola, tra matrimoni, battesimi e funerali, dovevano fruttargli alcune migliaia di lire l’anno.
Insomma la vita di quel parroco era un mistero, e l’unica spiegazione che, nel paese, correva intorno alla sua condotta era questa: il parroco è un solitario avaro, che si priva anche del necessario per accumulare denari.
Anzi, quando improvvisamente, durante un inverno, il povero parroco morì e, fatto l’inventario di quello che aveva lasciato in casa, non si trovò il becco di un quattrino, la leggenda della sua avarizia prese delle proporzioni impensate.
Un parroco avaro, si diceva, non può essere che d’accordo col diavolo, e allora si capisce perché il disgraziato, sempre che il tempo lo permettesse, se ne andava quatto quatto in montagna e qui si nascondeva come dovesse confabulare con qualcuno.
Certo i danari accumulati egli li portava lassù e li nascondeva in qualche grotta, perché è notorio che gli avari hanno questa singolare mania di godersi l’oro per sé soli.
Poiché erano tutti persuasi più che mai di questo, un contadino del luogo si propose di rintracciare questo tesoro del parroco su per la montagna, e si mise alla ricerca.
Una credenza popolare vuole che i tesori, nascosti nelle grotte e custoditi sempre normalmente da uno spirito maligno, una volta all’anno diventano visibili a chiunque. In realtà non si vide che un mucchio di foglie secche in qualche angolo della grotta, ma, se voi le toccate con un oggetto benedetto in chiesa, quelle foglie si convertono in oro.
A conoscenza di questo segreto, il contadino di San Grato si mise alla ricerca del tesoro del parroco, su per la montagna, munito di una medaglia benedetta, e tutte le volte che vedeva in qualche angolo un mucchio di foglie accorreva per tentare prova.
Un giorno, in un luogo dove appunto il vecchio parroco bazzicava più sovente, vide un mucchio di foglie di castagno che sembravano lì raccolte dal vento e, sotto quelle, gli parve di vedere luccicare qualche cosa.
Si precipitò sopra, toccò le foglie con la medaglia benedetta e poi si mise a scostarle con le mani. Sotto quelle vi era un crocefisso, un piccolo povero crocefisso di metallo.
Come il contadino lo prese nelle mani, una voce risuonò nell’aria, quella del parroco morto: «Questo è stato il mio tesoro» diceva la voce «possa essere anche il tuo.»