“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” – di Carla D’Agostino Ungaretti

E’ vero che a volte Dio sembra non rispondere subito all’invocazione dei credenti e allora Gesù insiste nel dire che la preghiera va fatta “giorno e notte”. Che significa “giorno e notte”? Io credo che la nostra preghiera debba diventare un costume di vita, un habitus mentale; dovremmo pregare mentre camminiamo in strada, mentre guidiamo la macchina andando al lavoro, mentre facciamo i lavori domestici, mentre studiamo, perché,  come ci esorta  S. Paolo, “tutto quello che facciamo in parole ed opere, tutto possa compiersi  nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre” (Col 3, 17). Insomma, io credo che il nucleo della preghiera sia  mettersi spiritualmente nella condizione di avere sempre Dio vicino a noi, di sentirlo sempre al nostro fianco senza permettere che il “mondo”, il peccato, le circostanze, le delusioni ci allontanino da Lui. E se soffriamo, se piangiamo, la nostra preghiera deve diventare un “grido” che ci sgorga dall’animo. Mi vengono in mente i molti Salmi di supplica presenti nel Salterio, tra i quali il Salmo 88: “Signore, Dio della mia salvezza, / davanti a te grido giorno e notte. / giunga fino a te la mia preghiera, / tendi l’orecchio al mio lamento”. Dopotutto la storia dell’umanità non è piena di tragedie, di dolori, di genocidi, di ingiustizie? Non somiglia alla situazione di quella vedova che invoca aiuto dall’unico che può darglielo? Basti pensare ai tanti cristiani perseguitati nel mondo. Anche se alle volte Dio sembra non rispondere subito all’invocazione degli infelici, Gesù ci assicura che lo farà se saremo capaci di insistere ininterrottamente e con fiducia.

Un altro meraviglioso esempio mi viene in mente e non posso fare a meno di citarlo. S. Agostino, nel suo meraviglioso e poetico libro delle “Confessioni”, così dice al Signore ricordando le continue preghiere di sua madre Monica per la conversione del figlio: “Per amor mio piangeva innanzi a te mia madre, versando più lacrime di quante ne versino mai le madri alla morte fisica dei figli … e Tu l’esaudisti, Signore! … (Ella) persisteva a far lamento per me davanti a Te in tutte le ore delle sue orazioni”[1].   

      L’insegnamento di Gesù sulla perseveranza nella preghiera si unisce a un severo ammonimento: bisogna rimanere fedeli nella fede perché fede e preghiera devono essere sempre intimamente congiunte. Il Signore ha promesso la Sua assistenza alla Chiesa affinché essa possa adempiere fedelmente la propria missione fino alla fine dei tempi (Mt 28, 20): la Chiesa non può quindi deviare dalla vera Fede. Tuttavia Gesù conclude la parabola con una domanda che, a prima vista, sembra scollegata a quanto Egli ha affermato in precedenza, ma in realtà tocca un aspetto essenziale della preghiera: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”.

E’ una domanda terribile, perché mentre Gesù non ha dubbi sulla generosità e sulla fedeltà di Dio, sempre pronto a soccorrere i Suoi figli, resta invece perplesso quando pensa all’uomo, perché ben conosce l’instabilità e l’incoerenza del cuore umano. Gesù sa bene che non tutti persevereranno nella fedeltà, poiché alcuni si allontaneranno dalla fede di loro volontà e crederanno che, dopo duemila anni dalla Sua venuta, la parola di Dio possa adeguarsi alle lusinghe del mondo. Quella domanda sembra fotografare la situazione della Chiesa del XXI secolo. La crisi della Chiesa è, come scrive Romano Amerio,  “una conseguenza dell’immodica assimilazione al mondo di cui si prendono le posizioni, poiché si dispera di acquistarlo agendo dalle posizioni proprie”[2].

Si direbbe che oggi la Chiesa abbia perso la speranza e non le interessi più essere la lucerna da collocarsi sul lucerniere in un luogo elevato, ma si rassegni a finire sotto il moggio  (Mt 4, 25). Da cattolica “bambina” quale io sono, mi permetto di aggiungere che tutto ciò dipende dalla crisi della preghiera. E’ il grande mistero dell’iniquità e dell’apostasia, come lo chiama s. Paolo (2Ts 2, 3) e che lo stesso Gesù aveva previsto (Mt 24, 12 – 13). Perciò il Signore ci mette sull’avviso affinché, anche se intorno a noi c’è chi si allontana dalla Parola di Dio, rimaniamo vigilanti perseverando nella fede e nella preghiera.

 

 


 

[1] Monica si rivolse anche al Vescovo di Tagaste per ricevere conforto umano e tanto insistette con lui, che dopotutto rappresentava Cristo, che questi, infastidito come il giudice, se ne uscì con la famosa frase, brusca, ma profetica: “Vattene: è impossibile che il figlio di tante lacrime perisca!”. “Queste parole ella accolse , come ricordava poi spesso nei nostri colloqui, quasi fossero risuonate dal cielo”. S. Agostino, “Confessioni”,a cura di C. Carena, Roma 1971

[2] Cfr. R. Amerio, “Iota Unum”, Fede & Cultura, 2017, pag. 265.

1 commento su ““Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” – di Carla D’Agostino Ungaretti”

  1. “Prega ininterrottamente”, suggerisce lo starec al pellegrino russo; e gli insegna la preghiera del cuore. Ecco, la preghiera del cuore è necessaria, quella che ci mette in diretto contatto col Signore, o con la Madonna, volendo. Una preghiera per cui ogni attimo della vita (attimo scandito dal battito del cuore) è vissuto in armonia con Dio, facendo ogni cosa “per amor suo”, come un tempo si diceva, cioè come riflesso dell’amore di Dio per noi. Dunque, se facciamo qualcosa per qualcuno (ad esempio la mamma per i figli) facciamolo nella consapevolezza che lo stiamo facendo con lo stesso amore che il Signore ha per noi. Sarà un amore e una preghiera insieme, una continua richiesta di soccorso e una lode senza sosta. Non è così difficile da imparare,se alla base di tutto c’è la fede. E ricordiamo sempre che siamo servi inutili: faremo comunque sempre quello che dobbiamo fare. E quando Cristo tornerà, speriamo che questo Gli consentirà di veder ardere ancora quella santa fiammella.

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