Non ho conosciuto Mario Palmaro, ma ho imparato molto dai suoi scritti, dalla sua opera e dal suo esempio. E penso che anche un giovane come me possa dire quanto manchi un uomo come lui nella battaglia per la fede e per la vita.
Il vuoto è palese e spaventa in questa notte di Sabato Santo, in cui la morte sembra aver avuto la meglio sulla vita. La crisi della bioetica non ha più una voce chiara e autorevole come la sua, una guida culturale in grado di individuare le insidie e le trappole e di non cedere a quel democristianismo in cui il mondo cosiddetto “Prolife” è ormai immerso fino al collo. Difficile è negare che proprio questo mondo, di cui Mario è stato alfiere combattivo e senza cedimenti, ha mollato la presa su tanti fronti: ha deciso di intraprendere una battaglia fondata sui numeri più che sulla Verità, sul politicamente corretto piuttosto che sullo sradicamento di un male.
La piega intrapresa dal mondo Prolife senza Mario Palmaro lo rende incapace di comprendere le trame con cui il lupo agisce travestito da pecora cancellando confini che sembravano netti e invalicabili. Si pensi a esperimenti politici come il Family Day, in cui il numero stava alla base di una battaglia democristiana sostenuta dagli stessi che si sono fatti passare sotto il naso – alcuni dei quali pure votandola – una legge come “la buona scuola” in cui il gender è sdoganato senza che qualcuno abbia avuto da eccepire. Si pensi ancora a coloro i quali, con triste e fallace speranza, tentano di sconfiggere l’aborto parlando il linguaggio laico, affermando che “deve essere legale perché non si può obbligare una donna a tenere in grembo una creatura che non vuole”, salvo poi giustificare questo genere di ragionamento come tattico, alla portata di tutti e in particolare degli a-cattolici.
Sarò anche giovane e ingenuo, ma a me pare che tutto questo non abbia più niente a che fare con la battaglia intrapresa da questo grande uomo cattolico, esempio fino alla fine di una vita spesa per la Verità. Una vita cristiana che ha fatto fino in fondo la volontà di Dio, accettando la Croce e vivendola, portandola, fino all’ultimo momento con coraggio e dedizione.
Il lascito di Mario Palmaro sta venendo lentamente ma inesorabilmente dimenticato, perché troppo fastidioso per chi ha deciso di condurre una sterile lotta, che si “accontenta” di mantenere embrioni in vitro appesi tra la vita e la morte, si disinteressa dello scempio fatto attraverso la fecondazione in vitro come legge votata e voluta dai “cattolici”, molti dei quali professi “pro-vita”.
Oggi, più che mai, il vuoto nel mondo della bioetica dilaga in ogni ambiente senza risparmiare molte frange del cosiddetto “tradizionalismo”, dai preti ai fedeli senza risparmiare nessuno. Ma la battaglia di Palmaro non può essere dimenticata tra la polvere dei cassetti di un passato che ha fatto il suo tempo, ma va resa attuale e compresa in tutta la sua potenza. Se ancora può sussistere una speranza, questo è grazie a quei pochi amici del professor Palmaro i quali, coscienti del patrimonio culturale, etico, morale, cattolico e umano scaturito dalla sua opera in vita, continuano a battersi per la difesa di una Verità che è immutabile e non è soggetta a compromessi. Lo dico da giovane padre di famiglia che in Mario ha visto un modello, un monito di speranza e autenticità di Fede, fortezza di Fede.
Il ringraziamento va dunque ai pochi che coltivano la sua memoria e continuano la sua battaglia. Spero che i giovani si mettano in questa scia, che non si accontentino di quanto passa un sistema sempre più marcio. Dobbiamo ricostruire le fondamenta. Dobbiamo risanare le brecce venutesi a creare nella fortezza. Dobbiamo re-imparare a custodire la Vita anche con il martirio, se ci sarà chiesto. L’Incarnazione con cui Dio si è donato al mondo è riflessa nella vita e nell’anima di ogni uomo, attaccata oggi fin dal suo concepimento. Perché, d’altronde, l’attacco al concepito è l’attacco al mirabile quanto sublime miracolo con cui Dio si è voluto abbassare alla nostra condizione per redimerci con la Sua Passione e la Sua Croce.
Per quanto riguarda il vuoto lasciato dal “filosofo del diritto” invece, credo non esistano soluzioni, se non la ferma quanto devota speranza di rincontrarci un giorno nella gloria dei Cieli.
Cristiano Lugli