“Padre nostro … venga il Tuo Regno …!” (Mt 6, 10).
“Se moriamo con Lui, vivremo anche con Lui” (2 Tim 2, 11)
di Carla D’Agostino Ungaretti
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L’ultima volta che mi sono intrattenuta con gli amici di Riscossa Cristiana ho riflettuto sull’idea della morte che il mondo contemporaneo si affanna continuamente a rimuovere senza peraltro riuscirci mai del tutto e concludevo affermando con assoluta sicurezza che si tratta di un’idea, di una certezza che io invece non rimuovo affatto e che richiamo spesso alla mia mente, perché reputo la morte il momento supremo dell’incontro dell’uomo con Dio. Da questo incontro discendono due conseguenze: da un lato, la certezza (finalmente divenuta “matematica”) dell’esistenza del Dio Vivente, dell’Ente per eccellenza, del solo che a buon diritto può dire di Se stesso: IO SONO; dall’altro, l’altrettanto “matematica” evidenza della nostra infinita imperfezione che rende necessaria quella purificazione a sua volta resa possibile solo dall’infinita misericordia di quel Dio Vivente.
Qualche giorno fa mi è tornato tra le mani un vecchio articolo del Prof. Carlo Cardia di commento a una delibera del Comune di Lugo di Romagna che proibiva di porre simboli religiosi sulle lapidi del cimitero, consentendovi solo l’apposizione del nome del defunto e delle date di nascita e di morte[1]. Non è una novità, ma solo uno dei tanti tentativi, spesso riusciti, del mondo laicista di eliminare a poco a poco la simbologia cattolica svuotandola di contenuto. Così, “per non urtare la sensibilità dei non cattolici” si finisce per urtare quella dei cattolici, passando sotto silenzio il fatto che, in massima parte, essi sono nostri connazionali, concittadini, amici e parenti. E’ evidente allora che, eliminando quella simbologia, il pensiero unico dominante è sceso a un livello ancora più basso di quello al quale era sceso il laicismo illuminista e positivista dei secoli XIX e XX, che era più antiecclesiastico e anticlericale che anticristiano. Quello moderno, invece, mira a distruggere l’identità e l’influenza cristiane, proprio in quanto cristiane.
La cultura moderna vuole conoscere il presente sensibile, usabile, praticabile ma, vedendo quanto sia limitata questa conoscenza, cerca altre strade. Nel XIX secolo si scelse la via dello scientismo che portò all’entusiasmo per le scoperte scientifiche: tutto ciò che non era immediatamente verificabile doveva essere scartato; tutto ciò che non poteva essere calcolato, misurato e riprodotto in laboratorio era ritenuto privo di senso e ogni preoccupazione per il futuro dell’uomo dopo la morte doveva essere respinta nell’oscurità[2]. Il XX secolo, poi, ha addirittura rimosso la morte: non potendola negare, l’ha fatta ricadere nel relativismo. Niente ha durata eterna, tutto nasce,vive per un po’ e poi muore: l’unica speranza di sopravvivenza alla morte (se così si può chiamare) risiede nel congelamento degli embrioni per riutilizzarli con la fecondazione in vitro nella convinzione che questa pratica possa far riattivare i processi vitali ottenendo l’immortalità del corpo. Non c’è nulla di più lontano da una visione religiosa, e tanto meno cristiana, dell’esistenza umana.
Ovviamente in questa ottica non c’è alcuna possibilità di ipotizzare un futuro escatologico. Anzi, io credo che il significato del sostantivo “escatologia” non sia molto chiaro neppure per molte persone scolarizzate[3]. Infatti per la mentalità moderna, che vola basso, non è facile occuparsi delle “cose ultime”, cioè del destino finale dell’uomo e dell’universo quale è concepito e interpretato dalle varie religioni. L’Antico Testamento presenta la storia umana come storia di salvezza, cioè come il compimento di un’alleanza tra Dio e gli uomini, come una storia che salda l’Alpha, cioè l’Inizio, con l’Omega, cioè la Fine, della storia. Il Nuovo Testamento presenta il Cristo e la Sua Resurrezione come l’evento escatologico per eccellenza, perché ha reso possibile e ha iniziato il compimento di tutte le cose. Alla fine dei tempi ci sarà il ritorno glorioso di Cristo con la Sua vittoria definitiva su Satana e sul Male.
Un autorevole filosofo laico ma non laicista, Remo Bodei – che io stimo molto perché non è arrogante come molti intellettuali laici che, accusando la Chiesa di dogmatismo, non si accorgono di cadere anch’essi in un dogmatismo di segno contrario – pur polemizzando con la Chiesa, la considera un valido interlocutore. “Non dobbiamo inorgoglirci dell’autonomia della nostra ragione, come se fosse assoluta, ma neppure affidarci a occhi chiusi a una rassicurante guida divina, che verosimilmente rappresenta solo la proiezione dei nostri desideri, lo scudo delle nostre paure e fragilità, la personificazione degli ideali di perfezione e di vita buona … La religione rappresenta tuttavia un antidoto alla banalità dell’esistenza, un richiamo all’inseparabilità della vita dalla morte e dal significato che le attribuiamo. L’eliminazione della speranza si paga talvolta con l’atrofia del desiderio di vita, con il calo di tensione progettuale delle civiltà umane”[4].
Un’umile cattolica “bambina” vorrebbe replicare all’illustre professore: “Ma quante volte nella vita umana una speranza ritenuta irrealizzabile si è poi realizzata veramente?” Anche se Bodei condivide la vecchia teoria di Lucrezio, secondo il quale fu la paura a creare gli dei, tuttavia anche lui avverte “il senso del sacro presente in tutti noi, a meno che non vogliamo affogarlo nell’ottusità e nell’egoismo. Il senso del sacro implica il riconoscimento di qualcosa più grande di noi, che ci sovrasta e riguarda tutti”. Bodei rispetta la Fede e le persone religiose perché riconosce che “Dio è il più grande progetto di donazione di senso al mondo e a ciascuno di noi, una costruzione culturale torreggiante che alimenta l’arte, la filosofia e l’esistenza di ciascuno, anche di chi non crede, o meglio di chi crede in altre cose” e augura sinceramente ai miseri, ai poveri, agli infelici, ai falliti che per loro si avverino le ultime parole del Credo di Nicea.
Devo riconoscere con dolore che oggi sono pochi quelli che nutrono seriamente la speranza escatologica; anche tra coloro che si professano cristiani sono molti quelli che si sono distaccati da una visione ultraterrena dei “fini ultimi”, perché il mondo in cui viviamo è troppo attaccato al “qui e ora” per riuscire a pensare al “dopo”. E purtroppo anche la Chiesa si preoccupa più di sviluppare l’aspetto sociale e politico del messaggio evangelico che a di parlare delle “cose di lassù”. E’ il segno dei tempi che viviamo, dai quali si è fatta influenzare la Chiesa nella sua qualità di istituzione anche terrena.
Ma a me sembra evidente che gli intellettuali laici, anche i più rispettosi del pensiero cristiano, ignorano quasi tutto dell’escatologia cattolica e perciò confondono la dottrina della Chiesa definita dal Magistero con la devozione popolare, semplici pratiche di pietà spesso influenzate da elementi anticristiani. Non è del tutto colpa loro: per secoli i “novissimi” (Morte, Giudizio, Inferno, Paradiso) sono stati presentati con simboli, termini e colori esageratamente accentuati tali da incutere paura ai fedeli in tempi in cui si era sensibili a quella simbologia. E’ quello che mi viene in mente quando penso alla raffigurazione dell’Inferno, opera del Beato Angelico nel convento di S. Marco a Firenze. Fra Giovanni da Fiesole – per incutere nei suoi contemporanei, molti dei quali per nulla acculturati, la paura del peccato e dell’inferno – rappresenta i dannati messi a cuocere in un enorme calderone mentre un diavolo, da esperto “master chef”, sorveglia la cottura di quella macabra pietanza e un altro alimenta il fuoco sotto il pentolone. L’affresco fa sorridere ed è commovente per la grande fede che lo ha ispirato, ma è indubbio che il grandissimo pittore ha confuso la teologia dello stato di dannazione con la sua rappresentazione più ingenua ed infantile e anche molti saccenti intellettuali laici moderni cadono in questo equivoco.
Oggi il mutato clima culturale e le diverse condizioni storiche hanno favorito il rigetto non solo delle più ingenue interpretazioni dell’aldilà, ma anche il rifiuto delle verità escatologiche definite dalla Chiesa. Se oggi i “cattivi” non temono più di finire arrostiti all’inferno, neppure i “buoni” sembrano sperare più di tanto nella loro resurrezione alla fine dei tempi e alla Vita Eterna; la pastorale moderna insiste esageratamente e unilateralmente sulla dimensione temporale e terrena dell’esistenza umana e trascura l’orientamento di ogni vita umana al suo destino eterno. Giorgio Agamben ha scritto in proposito: “L’evocazione delle cose ultime sembra a tal punto scomparsa dalle parole della Chiesa che si è potuto affermare non senza ironia che la Chiesa di Roma ha chiuso il suo sportello escatologico”[5].E’ un rimprovero e un ammonimento che meritiamo tutti..
Io, cattolica “bambina” senza nessuna voce in capitolo, penso che sia necessario un mutamento di linguaggio nella pastorale dell’escatologia. L’attesa della Vita Eterna e della Resurrezione dei corpi non esclude affatto l’impegno nei compiti terreni ma lo valorizza come strumento che non esaurisce la sua funzione sulla terra e nella storia. I Vangeli sinottici esprimono l’attesa escatologica attraverso l’idea del Regno di Dio realizzatosi nella persona di Gesù, ma il cui compimento definitivo è sospeso fino alla Sua seconda venuta. Giovanni insiste sull’idea di un’escatologia già realizzata nel presente per la quale il giudizio e la salvezza si verificano nell’incontro con Gesù e nella decisione della Fede.
Perciò il cattolico sa che, se vive secondo lo Spirito di Gesù, egli già beneficia della Vita Eterna, che non è altro che il proseguimento dopo la morte di una comunione con il Risorto che è già cominciata nel tempo, come dice S. Paolo con la frase che ho citato in epigrafe.
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[1] C. Cardia, “Scalzare le croci per livellare la morte (come pure la vita)”, in Avvenire, 2.6.2009, pag, 1.
[2] Mi torna in mente, a questo proposito il “Ballo Excelsior” di Manzotti e Marenco, rappresentato per la prima volta al Teatro alla Scala nel 1881in piena epoca positivista, che io vidi al Teatro dell’Opera di Roma molti anni fa. In un trionfo di luci, con una scenografia sontuosa, con una musica travolgente e con molti simboli massonici, gli autori hanno rappresentato al massimo grado l’esaltazione del “Progresso” – che in quell’epoca aveva prodotto la locomotiva, la macchina e vapore, il canale di Suez e così via – che umilia e sconfigge l’ “Oscurantismo” di cui, naturalmente, era antesignana la Chiesa cattolica. Lo Spettacolo era indubbiamente bellissimo ma decisamente troppo fiducioso in quello che allora si credeva fosse il “Progresso” e il secolo successivo lo ha abbondantemente dimostrato.
[3] Infatti mi è capitato di sentire definire l’escatologia, voglio sperare scherzosamente, come “il metodo industriale di fabbricazione delle scatole” …
[4] R. Bodei, “L’eternità vissuta qui e ora”, in “Il Sole 24 Ore”, 14.9.2003, pag. 73.
[5] G. Agamben, “Contro i profeti della catastrofe” in Avvenire,12,5.2010, pag. 33.
1 commento su “Dopo aver rimosso la morte, cosa pensa il mondo dell’escatologia? – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Beh, “metodo industriale di fabbricazione delle scatole” non è poi così male se si intendono scatole vuote (come certi cervelli)dove ognuno mette ciò che pensa su ciò che avverrà dopo la morte…
Scherzi a parte, basterebbe pensare alla febbre altissima che colpì i piccoli veggenti di Fatima dopo che la Madonna fece loro vedere l’inferno e gli atroci tormenti dei dannati; tanto che , alla richiesta della Vergine, essi Non esitarono a offrirsi come vittime di espiazione per la salvezza delle anime.Queste cose un tempo i preti le raccontavano, sia nelle omelie, sia nelle ore di catechismo o di Religione a scuola, quando il catechismo era catechismo e l’ora di Religione era di Religione cattolica. Oggi essi forse pensano di cadere nel ridicolo presentando certi esempi e la gente che ha sempre bisogno di elevarsi spiritualmente anche attraverso l’ascolto di fatti straordinari, è confusa, spaesata, non sa più cosa credere. Tanto che persino quelli che vanno a messa si domandano se vi sarà qualcosa nell’aldilà. Purtroppo a cattivi maestri corrispondono sempre pessimi discepoli.