di Clemente Sparaco
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Da anni i simboli del Natale sono sotto attacco nell’Occidente secolarizzato.
I presepi sono rimossi dai luoghi pubblici, i canti natalizi sono banditi dalle scuole, i mercatini contestati. Tutto questo, si dice, “per non discriminare le diverse sensibilità religiose o civili”. Ma sono motivazioni che, se soddisfano il politically correct, non esplicitano le ragioni profonde di questo vero e proprio rinnegamento delle radici cristiane dell’Europa.
La delegittimazione del Natale: la cultura dell’immanenza
C’è una prima delegittimazione del Natale, fatta non tanto in nome della sbandierata cultura della tolleranza (che non esclude, ma implica l’identità), ma per il venir meno di ogni tensione verso il trascendente nel quadro di un’apostasia di massa. I simboli natalizi sono ridotti a simulacri, bozzoli vuoti, privi di vita e di spirito, alla fine di un lungo percorso destrutturante, che ci ha condotti a non custodire più la memoria del passato e a disperare, al contempo, della possibilità che qualcosa di effettivamente nuovo possa accadere.
Simbolo (συμβολον) nell’antica Grecia significava “tessera di riconoscimento“, perché si usava, a conclusione di un’alleanza tra due individui, famiglie o città, spezzare una tessera di terracotta in due parti, affinché ognuno ne conservasse una. Il combaciare delle parti avrebbe comprovato, all’uopo, l’esistenza dell’accordo. Nella fattispecie dei simboli del Natale le due tessere sono la rappresentazione iconografica e il mistero di fede, la religiosità popolare e la mistica, la tradizione e la celebrazione, l’umano e il divino. Così, il presepe napoletano nel suo apparente anacronismo dei personaggi, delle osterie, delle abitazioni tipiche della Napoli del ‘700, sottintende la volontà di rendere presente l’evento della natività di Gesù, di attualizzarlo, di farne memoria in senso forte.
Ora, nel nostro orizzonte di immanenza totale, accade che una di quelle due tessere sia andata smarrita, per cui il simbolo, perso il significato religioso, finisce per ridursi al feticcio di una società consumista. Perché il Natale significa la kenosi di Dio, il suo farsi piccolo, il suo essere nella miseria della vita e nelle contraddizioni della storia Dio con noi. Una vicenda umile, irrilevante per certi versi, ma di una grandezza sconvolgente, attraverso la quale Dio si inserisce nella nostra storia “imprimendole una svolta di redenzione e rinnovamento” (Bowker) non dall’alto, restando distante ed inaccessibile, ma dal di dentro, con la delicata discrezione di chi sa amare.
La delegittimazione del Natale: la riduzione del Natale a mito
La seconda delegittimazione del Natale viene da più lontano, da una lettura della Scrittura che ha finito per destoricizzarla, disincarnarla, con la conseguenza di vanificarla. I racconti della natività di Gesù (i vangeli dell’infanzia di Matteo e Luca) avrebbero un contenuto meramente simbolico, essendo assimilati a miti, leggende. Niente di verificabile e di storico, ma un racconto meramente umano, dietro cui si rintraccerebbero la fede, i bisogni, gli ideali e le “situazioni vitali” della prima comunità credente. E anche i particolari di tempo e luogo quasi sempre non sarebbero storici, ma redazionali, ossia creati dai redattori dei vangeli.
Ma tali affermazioni sono totalmente contrarie alla fede cristiana, nella misura in cui questa non è nata come messaggio morale, ma da un evento storico. I vangeli, infatti, vogliono essere racconti testimoniali di fatti accaduti in luoghi e tempi ben definiti, come afferma Luca all’inizio del suo vangelo (Lc 1,1-3) e come sostiene Giovanni alla fine del suo (Gv 20,30-31). Non ció che gli apostoli hanno creduto o immaginato di Gesú, ma piuttosto quanto hanno visto, ascoltato, toccato con mano, è all’origine della fede cristiana.
Quanto ai racconti della natività, sebbene essi non siano cronaca di avvenimenti, ma prefigurazione profetica del Cristo risorto nello stile del midrash ebraico, la cornice storica in cui sono inquadrati è ben determinata. Prova ne sia che fanno riferimento a personalità della storia ufficiale, come il Battista ed Erode, e a fatti, luoghi e tempi circostanziati: il Regno di Erode, il censimento indetto da Augusto, la Stella dei Magi.
25 dicembre Natale
Nei vangeli si trovano anche rimandi ad usi, costumi, leggi, propri dell’Israele precedente la distruzione del Tempio di Gerusalemme (che avvenne nel 70 per ordine dell’imperatore Tito).
Ad esempio, Luca inquadra l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Zaccaria sulla nascita di un figlio, il cui nome sarebbe stato Giovanni, in una cornice precisa:
“Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe, secondo l’usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l’offerta dell’incenso” Lc 1,8-9.
L’apostolo fa riferimento alle turnazioni sacerdotali per l’ufficio del culto nel Tempio. Ebbene, sulla base del Libro dei Giubilei (ritrovato nelle grotte di Qumran), che quelle turnazioni riporta, la classe sacerdotale di Abia, cui Zaccaria apparteneva, officiava nella settimana compresa tra il 23 e il 30 settembre. Ed è sempre Luca, nel racconto dell’annunciazione a Maria, a riportare il particolare che Elisabetta era allora al sesto mese di gravidanza (Lc 1,36).
Sulla base di queste acquisizioni Michele Loconsole scrive: «Se Zaccaria è entrato nel Tempio il 23 settembre, giorno in cui secondo Lc ha ricevuto l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele (…) che avrebbe avuto un figlio, il cui nome sarebbe stato Giovanni, questo vuol dire che il Precursore del Signore potrebbe essere nato intorno al 24 giugno, 9 mesi circa dopo l’Annuncio dell’angelo. Ed è questa la data in cui la Chiesa commemora nel calendario liturgico, già dal I secolo, sia il giorno dell’Annunciazione a Zaccaria che la nascita di Giovanni. Detto ciò, Maria potrebbe avere avuto la visita, sempre di Gabriele, giorno dell’Annunciazione, proprio il 25 marzo. Infatti, quando Maria si reca da sua cugina Elisabetta, subito dopo le parole dell’Arcangelo, per comunicare la notizia del concepimento di Gesù, l’evangelista annota: “Elisabetta era al sesto mese di gravidanza”. Passo evangelico che mette in evidenza la differenza di 6 mesi tra Giovanni e Gesù. E allora, se Gesù è stato concepito il 25 marzo, la sua nascita può essere ragionevolmente commemorata il 25 dicembre, giorno più, giorno meno». (Gesù nacque la notte del 25 dicembre. Lo dicono gli storici e l’archeologia, Zenit 25-12-2009).
Ecco magicamente rispuntare la data del 25 dicembre, che per i detrattori del Natale sarebbe stata introdotta solo per sostituire la festa pagana del sole invitto. Ma ci sono altre fonti documentali che la confermano. Ippolito († 235), in particolare, riferisce che a Roma già nel 204 si celebrava il Natale del Signore il 25 dicembre. Quanto alla festa del sole invitto, sappiamo che fu fissata al 25 dicembre dall’imperatore Aureliano nel 274, mentre prima cadeva il 19 dicembre, forse proprio per oscurare la devozione cristiana per il Natale di Gesù.
In conclusione, come per altri passi, i Vangeli hanno tutto da guadagnare da un approfondimento storiografico e documentale!
2 commenti su “Ius Natalis – In difesa del Natale – di Clemente Sparaco”
E’ affascinante studiare la storicità del Vangeli ed è importante per confutare gli errori e gli abbagli dei detrattori del Natale.
Per credere e contemplare il Natale occorre l’umiltà, virtù esecrata dalle persone moderne che, come accaduto per la cortesia, la intendono come una debolezza. Invece per celebrare il natale consumista basta avere i soldi (od almeno avere un prestito dalla banca e così diventarne schiavi), e quelli ci sono ancora, nonostante la “crisi”.