“Adeste, fideles, / Laeti triumphantes, / Venite, venite in Bethlehem!”
di Carla D’Agostino Ungaretti
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L’Avvento ormai ha iniziato il suo percorso. Si avvicina il momento in cui si paleserà il grande Mistero della Redenzione, quel Mistero che la stupida civiltà del nostro tempo ha fatto di tutto per laicizzare facendolo diventare il trionfo del commercio e del business. Infatti a livello mediatico non si parla più della nascita di Cristo e del messaggio di salvezza che Egli ci porta, perché allora sarebbe molto meno ipocrita abolire completamente la festa del 25 dicembre come fecero molti governi comunisti del passato. Invece il popolo – forse per esorcizzare l’angoscia esistenziale che finisce sempre per attanagliare coloro che escludono Dio dalla propria vita – non vuole rinunciare alla festa, ai regali, agli addobbi che non hanno niente di cristiano, alle pagliacciate dei vari Babbi Natale, alle succulente scorpacciate natalizie. Perciò si cerca di cancellare il Natale del Signore sostituendolo con la “festa della neve”, o dell’ “inverno”, o della “famiglia” (come se la famiglia contasse ancora qualcosa) o dei “bambini” o in qualunque altro modo la si voglia chiamare, con l’ipocrita motivazione di non offendere gli immigrati che non appartengono alla nostra civiltà. Ma professare liberamente e pubblicamente la propria fede, qualunque essa sia e soprattutto in casa propria, non merita rispetto comunque e dovunque? E’ davvero una carità pelosa! Uno sfruttatissimo slogan natalizio, poi, dice che a Natale diventiamo tutti più buoni … Mah!
Ma io sono cristiana, anzi ho una visione totalmente cristiana dell’esistenza umana e del mondo che ci circonda e allora non posso fare a meno di riflettere, liberamente e pubblicamente, sul significato più profondo dei giorni che stiamo vivendo, ringraziando il Signore perché anche quest’anno ce li fa vivere. Quel significato io lo identifico con un “cammino” verso Qualcosa e Qualcuno, mossi da una speranza a sua volta nata da un “annuncio” che ci proviene direttamente da Dio attraverso il suo “ànghelos”.
Il Messaggero rivela agli uomini che Dio ha compiuto per loro qualcosa di immenso, di inaudito ma che, al tempo stesso, essi devono liberamente accettare perché Egli si nasconde nel corpo di un neonato indifeso e povero, tanto da dover fare il suo primo sonno non in una calda e morbida culla, ma al freddo di una stalla tra la paglia di una mangiatoia. E’ il grande paradosso cristiano, difficile da accettare, ma quando è accettato è invece la Rivelazione di un incredibile prodigio di grazia, sempre accompagnata da “timore e tremore” per l’intima comprensione del dono che ci viene elargito. Mosè, all’udire il Signore che proclamava solennemente il Suo nome misericordioso sul monte dell’alleanza “si curvò in fretta fino a terra” (Es 34, 8); Elia,udendo la voce dell’Altissimo “nel sussurro di una brezza leggera”, “si coprì il volto con il mantello” (1 Re 19, 12 – 13); la Vergine Maria, ricevendo l’Annuncio, “fu molto turbata” non per la sorpresa dell’elogio ma perché, a differenza del suo parente Zaccaria (Lc 1, 5 ss), il suo cuore era pronto ad accogliere la Parola di Dio e così Ella ebbe subito la profonda percezione del dono ineffabile che stava ricevendo.
Quindi è Dio che, per primo, prende l’iniziativa di rivelarsi e per primo cerca le Sue creature per salvarle perché è Lui che per primo le ha amate. Ma al tempo stesso non lascia gli uomini nella confusione e nell’incertezza perché – instillando in loro quello che, per usare un termine moderno, chiamerei “input” – Egli instilla in loro anche il desiderio irrefrenabile di “cercarlo” scrutando i segni con i quali Egli si manifesta, e questa ricerca avviene mettendosi, appunto, “in cammino” fino a vivere la gioia ineffabile dell’incontro.
Qualunque ricerca umana, sia che riguardi il mondo materiale che lo spirito, è un cammino. Gli uomini sperimentano continuamente gli ostacoli da superare nella vita quotidiana, le delusioni delle proprie aspettative di vita o di lavoro, l’impossibilità di raggiungere la gioia completa, la prospettiva della morte e allora sono spinti ad andare sempre più avanti per sconfiggere le malattie e i limiti materiali umani e, nell’ambito dello spirito, a ricercare l’Assoluto. S. Agostino, grandissimo teologo con l’anima di poeta, ha espresso questa ansia dell’anima con parole che di per sé sono pura poesia: “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” (Confessioni, 1 – 1). Tutti quelli che hanno ricevuto un “Annuncio” si sono messi in cammino: il più antico è Abramo, il “padre di molti popoli” il quale, ricevuto nel suo cuore quell’impulso misterioso, non esitò a partire verso l’ignoto con tutta la tribù che dipendeva da lui, confidando ciecamente in Colui che glielo aveva mandato. I pastori di Betlemme, i più umili nella scala sociale del loro tempo, udito il messaggio celeste, corrono verso il luogo della salvezza e altrettanto fanno i Magi, i sapienti orientali cultori di astrologia, attirati da una stella che in tante culture appare sempre come un presagio di nascite straordinarie. Il loro viaggio è mosso da una ricerca appassionata che, agli occhi di chi legge con amore il Vangelo secondo Matteo, li fa apparire persino ingenui di fronte alla scaltrezza e all’ipocrisia di Erode (Mt 2, 1 – 8).
Anche Erode infatti riceve, attraverso di loro, l’Annuncio della nascita del Re dei Giudei, cioè del Messia, ma il suo cuore non è puro come quello di Abramo, dei pastori e dei Magi. Erode – che è anche ignorante in materia di profezie perché non è giudeo, ma un idumeo che ha conquistato il regno con l’aiuto di Roma – è superstizioso e affamato di potere, perciò si rivolge agli studiosi delle Scritture per conoscere il luogo di nascita di quel Bambino guastafeste che forse vuole insidiare il suo trono e che lui, perciò, si ripromette di togliere di mezzo al più presto. Anche gli scribi del popolo e i sacerdoti, interpellati dal re, ricevono una sorta di “annuncio” – che avrebbe dovuto, quanto meno, instillare in loro una certa curiosità – ma dalla loro laconica risposta sembra che neppure loro siano molto contenti del realizzarsi delle profezie e perciò si guardano bene dal mettersi “in cammino”. Si direbbe infatti che Gerusalemme non esulti alla notizia della nascita del Messia. Si saranno dimostrati tutti così disinteressati per non incorrere nell’ira di Erode? Che sia questo un presagio dell’atteggiamento ostile della città all’ingresso di Gesù alla vigilia della Sua Passione? (Mt 21, 10). L’Evangelista non lo dice, ma forse è lecito supporlo perché, dopotutto, nello spirito del Vangelo secondo Matteo Gerusalemme è la città del martirio di Gesù.
Ma forse l’Evangelista vuole mettere in risalto il paradosso dell’Evento cristiano: Dio predilige le zone più modeste: è la piccola e umile Betlemme a dare i natali al Messia e non Gerusalemme, la capitale del Regno di Giuda, la “Città Santa”. Mentre l’uomo ammira e cerca la grandezza, Dio ama e cerca la piccolezza e l’umiltà. La conoscenza delle profezie non è sufficiente a mettersi in sintonia con l’ “Annuncio” che ci manda Dio, come non lo fu per il sacerdote Zaccaria. Per usare un’espressione moderna, oserei dire che bisogna sintonizzare mente e cuore sulle frequenze di Dio, che richiedono umiltà e semplicità di cuore.
L’arrivo alla mèta è fonte di gioia incontenibile. La provarono gli umili pastori che dopo aver visto il Bambino, “se ne tornarono lodando e glorificando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, come era stato detto loro” (Lc 2, 20); la provarono i Magi, quegli uomini ricchi, potenti e sapienti che, trovato il Bambino, “prostratisi lo adorarono”. La versione greca del Vangelo secondo Matteo usa per ben tre volte il verbo “proskynèo” (2, 2, 8, 11), che nel Nuovo Testamento indica l’atto di gettarsi a terra per adorare Dio. E’ quello che fanno i discepoli davanti a Gesù nell’episodio della tempesta sedata (Mt 14, 33) e quello che faranno le donne (Mt 28, 9) e i discepoli davanti al Risorto (Mt 28, 17).
Poi i Magi offrono i loro preziosi doni, segno della indiscussa regalità di quel Bambino apparentemente simile a tutti gli altri, ma in cui gli spiriti puri e sinceri riconoscono la manifestazione di Dio secondo la profezia di Isaia: “Ecco, la vergine figlio concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele”, che Matteo (1, 23) richiama spiegando che quel nome significa “Dio con noi”[1], e Dio, che ha ispirato il cammino dei Magi dall’oriente, ne protegge anche il cammino di ritorno ai loro paesi “per un’altra strada”, ispirandoli a non tornare da Erode.
Il grande Mistero cristiano consiste nell’Incarnazione di Dio e nella sua venuta al mondo come un qualsiasi altro uomo, ma non nella stessa maniera in cui i Romani attribuivano natura divina agli Imperatori, che rimanevano ontologicamente soltanto uomini. il Concilio di Nicea del 325, seguito dai Concili di Efeso e Calcedonia, definì dogmaticamente che Gesù Cristo è, ad un tempo, ontologicamente Dio e ontologicamente uomo. A questo Mistero ne consegue un altro: il mondo, sin dalla nascita del Salvatore non lo ha accolto e continua a non accoglierlo[2]. Perché? Forse perché è più facile idolatrare e quasi divinizzare un uomo, come fa il mondo di oggi con i campioni sportivi e i divi del cinema e del rock; invece riconoscere nel Natale il momento dell’Incarnazione di Dio e condurre la propria vita in conformità a questa raggiunta consapevolezza è ben altra cosa: richiede un “cammino” da intraprendere in silenzio ed umiltà lungo una strada irta di ostacoli e di voragini – rappresentati dal nostro egoismo, dalla nostra superbia, dalla nostra presuntuosa autosufficienza – fiduciosi che l’annuncio che ci ha messi in cammino proviene da Qualcuno le cui promesse sono indefettibili.
Allora, con coraggio e con fede andiamo tutti a Betlemme!
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[1] E’ quanto confermerà, dopo la Resurrezione, lo stesso Gesù: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo” (Mt 28, 20).
[2] Romano Amerio osserva che il rifiuto del Verbo è il mistero profondo della religione e dopo il Concilio Vaticano II se ne sono ricercate le cause nelle colpe storiche della bimillenaria Chiesa precedente, sbagliando “perché l’accusa finisce per rimbalzare sul Cristo, dall’individuo sociale sull’individuo singolare del suo fondatore” (Cfr. IOTA UNUM, Fede & Cultura 2017, pag. 106).
1 commento su “In cammino dopo l’annuncio – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Bellissimo. In questi tempi di apostasia ed eresia istituzionalizzate non è così scontato l’ “Adeste fidelis, laeti triumphantes”, eppure questa marcia di avvicinamento alla grotta di Betlemme non può che essere gioiosa e piena di fiducia nel Signore Gesù. E nemmeno la schizofrenia della moderna società, che “festeggia” il Compleanno ma dimentica il Festeggiato, può guastare questa gioia. Lui è il Signore della Sua Chiesa, e Lui la rimetterà a posto. Il pontefice (che sotto l’albero ha già messo due pacchi, comunione agli adulteri e Padre Nostro eretizzato) e la sua loggia di vescovame vario sono avvisati.