“Pater noster … / ne inducas nos in tentationem / sed libera nos a Malo” (Mt 6, 13).
“State contenti, umana gente, al quia; / ché se possuto aveste veder tutto, / mestier non era parturir Maria.” (Purg. III, 36 – 39).
di Carla D’Agostino Ungaretti
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Vorrei tornare sul problema del Peccato Originale, anche se l’ho affrontato di recente, perché oggigiorno sembra diventato di lana caprina dato che, a quanto pare, nessuno (neppure i cattolici) sembra crederci più. Invece io ritengo che esso sia quanto mai attuale e importante per la comprensione del problema che ne è la diretta conseguenza e che poi sarà l’oggetto principale della mia breve riflessione: il Male.
Scrivo sempre quest’ultimo sostantivo con l’iniziale maiuscola perché tragica e planetaria è la rilevanza che io gli attribuisco, soprattutto in questo secondo decennio del XXI secolo in cui in cui non ci viene risparmiato nulla: dal pericolo atomico suscitato dal dittatore coreano, al terrorismo islamico che può colpirci tutti; dalla crisi economica mondiale che ha azzoppato tante famiglie, agli omicidi commessi in quelle famiglie stesse; dagli stupri riusciti o tentati, agli sconvolgimenti antropologici delle leggi naturali istituite dal Creatore. Per non parlare poi dei disastri naturali, come terremoti e uragani, anch’essi derivanti dal Peccato Originale in quanto sovvertitore della natura, quella meravigliosa “cosa buona” creata da Dio.
A me sembra che nel presente momento storico il “nemico” abbia scatenato tutte le sue forze per tentare di distruggere la grande Chiesa di Cristo e non perdo occasione per gridarlo in un mondo come questo che non crede più all’esistenza di quello che una volta si chiamava il “Maligno” e (quel che è peggio) con la silenziosa acquiescenza di tanti uomini e donne consacrati. E’ vero, come dicevo nella mia precedente riflessione, che il Male non ha un fondamento ontologico come il Bene – che è Dio, secondo l’insegnamento che io ritengo eternamente valido di S. Agostino e di S. Tommaso e al quale io rimango visceralmente fedele, nonostante sia ritenuta nel mio ambiente spiritualmente antiquata – nondimeno in questo nostro travagliato tempo esso ha assunto una connotazione talmente universale che può indurre le anime spiritualmente più deboli a ritenerlo davvero, pur deplorandolo, la componente principale della natura umana e a rassegnarsi ad esso. Il problema è talmente serio e, ad un tempo, così intrigante che una semplice cattolica “bambina” come me non può pretendere di esaminarlo da sola, anche perché la bibliografia esistente su questo argomento è sconfinata. Perciò anche questa volta mi farò guidare da un esperto teologo: P. Giovanni Cucci S.I.[1].
I problemi del Peccato Originale e del Male sono in stretta connessione tra di loro e nella riflessione filosofica e teologica degli ultimi due secoli hanno dato vita a diverse teorie anche contraddittorie. Ritengo incontestabile che il Capitolo 3 della Genesi dia un forte scossone al pensiero filosofico di tutti i tempi perché, se si pretende (come negavo poc’anzi) che il Male, esistendo ontologicamente di per sé, è insito nel cuore dell’uomo ed è impossibile evitarlo, perché allora dovremmo perseguire – con le leggi della morale, condivise e riconosciute da tutte le civiltà, e con quelle dei Codici Penali – le ingiustizie, le crudeltà, i delitti, i misfatti che l’umanità ha sempre perpetrato da millenni a questa parte? Tanto non potremmo mai sfuggire al Male perché esso fa parte della nostra natura! Come potremmo distinguere la sanità mentale dalla follia? Ma mi sembra altrettanto incontestabile che la pretesa assolutezza del Male contraddica anche il principio su cui si basa la cosiddetta modernità, quella corrente di pensiero che, nata per esaltare la dignità dell’uomo e il potere della ragione, finisce poi per cadere nell’irrazionalità, nel nichilismo e nelle filosofie della morte dell’uomo stesso. Questo ci hanno testimoniato, nella grande letteratura europea degli ultimi due secoli, due importanti romanzi: “Lo strano caso del Dr. Jekill e di Mr Hyde”, in cui Robert Louis Stevenson descrive l’ eterna lotta tra il Bene e il Male, con la sconfitta del primo, in un’epoca in cui si credeva che la scienza avrebbe fatto piazza pulita dell’oscurantismo dei secoli precedenti, e “Il Signore delle mosche” di William Golding (Premio Nobel nel 1983), in cui il Male è considerato parte ineludibile della natura umana e l’uomo ne vede con chiarezza il lato violento e animalesco dal quale peraltro è affascinato.
La dottrina tradizionale insegna che Adamo, commettendo il Peccato Originale, dimostrò di avere smarrito la propria identità di creatura, consistente nella differenza tra lui e il suo stesso Creatore, rivelando l’incapacità di accettare se stesso e arrivando fino all’arroganza di ritenere Dio il responsabile del peccato da lui commesso: “La donna che tu mi hai posta accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato” (Gen 3, 12 s). Perciò il racconto biblico del Peccato Originale è tutto imperniato sul riconoscimento della libertà dell’uomo che decide, con la sua volontà, di rifiutare il progetto di Dio per lui, di riconoscersi Sua creatura e quindi di avere il diritto di disobbedire al Suo divieto di cogliere il frutto della conoscenza del Bene e del Male. Tra tutti i miti cosmogonici del mondo il racconto della Genesi è l’unico che neghi al Male la caratteristica di realtà originaria: infatti non era stato lo stesso Dio a riconoscere che tutto ciò che Egli aveva creato era “cosa buona”? (Gen 1, 25).
Ma l’innovativa, meravigliosa e confortante peculiarità di questo racconto, rispetto a tutte le altre mitologie e al ciclo delle reincarnazioni previsti dalle religioni orientali, è che esso contiene anche una promessa di salvezza, perché il fatto che l’uomo possa avere un rapporto con Dio (a differenza, per esempio, del buddismo e dell’induismo che non ammettono alcuna possibilità di relazione dell’uomo con l’Assoluto) lascia una porta aperta alla speranza che sia possibile modificare una situazione incompatibile con il Regno di Dio, attraverso il perdono e giungere quindi alla salvezza, la quale scaturisce non dall’affermazione di sé, come fece Adamo, ma dall’abbandono totale alla volontà di Dio, come invece fece Gesù nel Getsemani (Mt 26, 30 ss).
Quindi in merito al problema del Peccato Originale, sarebbero sostanzialmente due le concezioni del mondo e dell’uomo che si fronteggiano da due secoli a questa parte. Da un lato, la concezione biblica espressa nel terzo Capitolo della Genesi, accettata e trattata da Immanuel Kant; dall’altro, quella espressa da Friedrich Nietzsche e che ritiene il Male non frutto della libera scelta dell’uomo, ma legato necessariamente alla sua esistenza e al sorgere di ogni cosa.
Kant – che, da buon illuminista, vuole mantenere la Fede e la religione entro i limiti della sola ragione – attribuisce al Male un carattere radicale (cioè invincibile e razionalmente inspiegabile) ma non originario e questa distinzione darebbe fondamento alla speranza che l’uomo possa riconoscere il male compiuto e contrastarlo perché “se la legge morale comanda che noi dobbiamo essere ora uomini migliori, inevitabilmente ne consegue che noi siamo necessariamente nella condizione di potere anche esserlo”[2].
Poiché il Male radicale non può essere definito nei limiti della sola ragion pura, ne consegue che esso è “inspiegabile, impenetrabile, inestirpabile”, in quanto per “estirparlo” dovremmo compiere un atto libero sulla base della fede nell’assolutezza del Bene, cosa impossibile per l’uomo. Infatti Kant ritiene che Dio possa essere conosciuto, non anche con la ragione (oltre che con la Fede, come insegnò Tommaso d’Aquino) ma solo come postulato della ragion pratica, ossia come presupposto dell’agire morale (se siamo capaci di agire bene vuol dire che Dio esiste); ma il Prof. Kant non si rendeva conto che, in questo modo, faceva di Dio una mera creazione dell’uomo. Tuttavia egli, fervente luterano che credeva fermamente in Dio e nella vita eterna, aveva ben chiara la potenza e il dramma del Male, ma era anche consapevole che il dogma del Peccato Originale, se non si ha la Fede, non ne risolve il problema, ma lo aggrava e infatti anche oggi sono molti i cristiani dalla fede debole che dubitano di esso come causa originaria del Male.
Nietzsche –figlio di un pastore protestante – vuole invece scardinare il Cristianesimo, che lui ritiene la più forte negazione della vita compiuta nella storia del pensiero e si sente il profeta del rovesciamento dei valori tramandati dal Cristianesimo e dalla metafisica in genere. Non che eliminando la religione si possa eliminare il dolore dell’uomo (e meno male che lo riconosce …!) ma smantellando i dogmi religiosi sarà possibile dare un senso alla vita umana (ma quale senso riuscì lui a dare alla sua se poi, come è noto, sprofondò nella malattia mentale …?).
La “grande menzogna”, radice della negazione della vita, è secondo Nietzsche, credere l’uomo libero e responsabile delle sua azioni. A dire la verità, questa teoria non era nuovissima ed anche lui lo riconosce: il filosofo greco presocratico Anassimandro credeva che all’origine di tutte le cose ci fosse l’“àpeiron”, cioè “l’infinito”, principio e distruzione di tutto ciò che esiste secondo la necessità, ed influenzò molto anche i grandi tragici greci, come Sofocle in “Edipo Re”.
A differenza della concezione biblica, secondo lui il Male nasce con il nascere delle cose; nascita e morte sono solo un espiare una colpa non morale ma ontologica, non conseguenza di una libera scelta, ma del fatto stesso di esistere. Ecco quindi la negazione della libertà dell’uomo; poiché il Male è legato al suo stesso vivere, lui non ha responsabilità e il peccato non esiste. L’esistenza è una ripetizione costante dell’Identico e del Tutto in cui l’uomo deve annullarsi, pertanto la “menzogna” della pretesa libertà dell’uomo si smaschera negando il peccato e liberandosi dai “paletti dottrinali e metafisici” che opprimono il genere umano il quale, dal canto suo, potrà liberarsi dal Male solo annullandosi. Per l’umanità quindi non c’è redenzione, ma solo dissoluzione. Poiché la vita è ad un tempo “assurda” e “necessaria”, attribuirle un senso significherebbe ricadere nella metafisica e nel Cristianesimo, perciò l’unica alternativa rimane il caos, la rinuncia al sapere, alla scienza, a tutto ciò che non sia frutto della volontà e dell’iniziativa dell’uomo[3].
A questo punto la vostra povera cattolica “bambina” si domanda come abbia potuto, se non per opera del demonio, dilagare nel mondo e influenzare ancora oggi tante menti una simile concezione del Male, inteso come invincibile necessità della storia senza alcuna possibilità di redenzione, una concezione così radicalmente anticristiana. Come si può vivere negando che la vita umana abbia un senso?[4] Può l’uomo rassegnarsi all’ineluttabilità del Male così come si rassegna a una giornata di pioggia? A che cosa può portare la deriva nel caos se non alla malattia mentale, come puntualmente capitò a Nietzsche? Che cosa c’è nel Cristianesimo che non piace ai moderni irrazionalisti, relativisti, nichilisti, tutti nipotini di Nietzsche, che respingono Cristo? Che cosa spinge molti di loro a gettarsi tra le braccia di Buddha o del politeismo induista, se non una disperata e inconscia ricerca di senso? La mia risposta è che noi cristiani siamo stati incapaci di dare loro la vera testimonianza, quella che vivifica l’anima e fa nascere, con l’aiuto di Dio, la Fede.
Vorrei concludere queste mie umili riflessioni con una considerazione collaterale. Le domande che l’umanità si pone sulla natura del Male come conseguenza del Peccato Originale sono molte, e molte sono le aporie filosofiche che ne scaturiscono e che non trovano risposte da parte della limitata intelligenza umana. Una di queste drammatiche conseguenze della ribellione dell’uomo a Dio – e quindi della propensione al Male (cancellabile solo con il Battesimo) – che maggiormente mi colpisce è, per esempio, il destino eterno dei bambini morti senza il primo Sacramento[5] e quindi, almeno teoricamente, in stato di separazione da Dio. Nel nostro crudele mondo moderno questa tragedia è molto frequente, basti pensare alle povere creature concepite e poi abortite a causa dell’egoismo umano. A chi non ripugna l’idea che quegli innocenti siano esclusi in eterno dalla visione beatifica di Dio? Eppure il Dogma, sostenuto dalla bimillenaria dottrina cristiana, è questo e non si deve discutere, ma ad esso si oppone il teologo progressista Vito Mancuso il quale, servendosi anche di questa aporia, sembra concordare con Nietzsche nel credere, non al Peccato, ma al Caos originario ed esige che “chi ancora sostiene il dogma” dia una risposta a questo irrisolvibile problema[6].
Con tutto il rispetto per l’illustre studioso – teologicamente molto più agguerrito di me – io, cattolica “bambina”, preferisco rispondergli che, avendo una fiducia illimitata in Dio, “credo quia absurdum”, ed anche con le parole che Dante, nel Purgatorio (III 37 – 39), mette in bocca a Catone e che ho citato in epigrafe: se avessimo potuto capire tutto non sarebbe stato necessario che venisse il Cristo a rivelarci ciò che eravamo in grado di comprendere. Le parole di Catone sono di alta meditazione e insieme di acuta e profonda malinconia nel considerare l’inutilità del desiderio dei più grandi pensatori di fronte alla Verità incomprensibile all’uomo.
Senza escludere certo, anzi sperando fermamente, che la Madonna, madre molto più amorevole di qualunque madre terrena, stia ora stringendo e coccolando tra le sue braccia i bambini morti senza Battesimo, penso quindi che non abbiamo il diritto, come crede Mancuso, di aggredire nessun Dogma, ma di lasciar fare a Dio, che sa meglio di noi ciò che è buono e giusto per noi.
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[1] Cfr. “Il Peccato Originale nel pensiero moderno” LA CIVILTA’ CATTOLICA, 3882, 2012, I, 537.
[2] Cfr. Kant, “La Religione entro i limiti della sola ragione”, Bari – Roma, Laterza 1985, pag. 38 – 45.
[3] P. Cucci , in “Il ritorno del realismo”, CIV. CATT. 2011, IV, 131 – 140, cita una frase di Nietzsche che suona tragicamente e perversamente spiritosa: “Temo che non ci sbarazzeremo di Dio perché crediamo ancora alla grammatica”, vale a dire che egli sapeva che anche nella sua epoca, il XIX secolo già abbondantemente scristianizzato, permaneva nel popolo una briciola di Fede in Dio, “grammatica” della vita umana..
[4] E’ il messaggio che tramanda sempre Woody Allen nei suoi film, innegabilmente spiritosi e intelligenti. In uno di essi, “Basta che funzioni”, il protagonista (un simpatico professore nichilista) afferma con forza che la vita umana non ha senso, ma se si riesce a riempirla con qualcosa che “funzioni” (tra cui, ovviamente, il sesso) allora va bene così e non dobbiamo preoccuparci. Mi ha sempre stupito il fatto che Woody Allen, che si professa ateo, non perda occasione, nei film in cui compare come attore oltre che come regista, di proclamare che il personaggio da lui interpretato è ebreo come, per esempio nel divertente film “Scoop”. Che sia una disperata e inconscia ricerca di significato esistenziale?
[5] Quello che oggi la Chiesa modernista preferisce chiamare “Iniziazione cristiana”, denominazione secondo me orribile perché richiama l’ “iniziazione” alle società segrete, alle sette, alla massoneria.
[6] Cfr. V. Mancuso, “Ogni processo vitale è Logos + Caos”, AVVENIRE, 27.10.2013, pag. 3.
4 commenti su “Ancora una riflessione sul peccato originale e sulla sua diretta conseguenza: il Male – di Carla D’Agostino Ungaretti”
Sul peccato originale, consiglio la lettura di un’esegesi che farà molto discutere prima che sarà autorevolmente riconosciuta: Lorenzo Ventrudo, Genesi: la Donna è innocente … Fede & Cultura, Verona 2017. Buona lettura in attesa di commento critico.
Gentile
Loeenzo Ventrudo, mi pare di ricordare che già un’altra volta lei ha consigliato di leggere questo libro dal titolo un po’ provocatorio. E siccome lei parla di una esegesi che farà molto discutere, posso supporre che esula da ciò che la tradizione ha sempre sostenuto. Mi scusi se glielo dico francamente, ma se così fosse, essendo io molto allergica a certi aggiornamenti, non mi avrà fra i suoi lettori.
Cara Signora Carla, sempre ottima nei suoi discorsi, devo dirle che l’immagine della Madonna che stringe a sé i bimbi morti senza battesimo, non solo mi ha commosso, ma mi ha fatto ancora di più comprendere quanto sia grande quel suo essere “bambina”. Quanto più si è bambini in senso evangelico, tanto più l”animo nella sua delicatezza intravede il bene.
Che Dio la benedica.
Grazie, cara Signora Tonietta, sempre così gentile, affettuosa e amichevole nei miei confronti! Le confesso che più invecchio, più mi rendo conto di quanto l’umanità (ed io per prima) sia fragile, debole e vulnerabile spiritualmente ed esistenzialmente, proprio come i bambini, e la riprova ce l’ho ogni giorno. Possiamo essere tutti colti, pozzi di scienza e di cultura, vincitori di premi Nobel o campioni sportivi o persone di successo, ma in realtà siamo tutti come le foglie d’autunno E allora che cosa ci resta in questo mondo in cui il Male la fa da padrone se non abbarbicarci alla Croce di Cristo e alla protezione della Sua Santa Madre? Grazie per avermi letto.