Al Presidente del Consiglio Comunale di Trento Renato Pegoretti SEDE
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Oggetto: Ordine del giorno SAVE THE CHILDREN ! I DIRITTI DEI BAMBINI NON SONO QUELLI DELLE COPPIE GAY – di Claudio Cia (*)
questo OdG ha ricevuto l’adesione del vice-presidente del Consiglio comunale di Trento, Avv. Antonio Coradello: “Caro Cia, condivido in pieno il Tuo ordine del giorno che sottoscriverò non appena sarò presente in consiglio! Salviamo i bambini! Antonio Coradello”
La politica spesso si ritrova a parlare e a dibattere sulla famiglia producendo documenti, programmi elettorali e normative che, almeno sulla carta, si propongono di difenderla e sostenerla. Ciò che colpisce è che, mentre le viene riconosciuto di essere la cellula prima della società, non viene mai definito cosa in effetti si intenda per famiglia e quando questa debba essere considerata tale: questo fa sì che l’iniziativa politica sia di fatto priva di soggetto e quindi senza un destinatario certo. Un’ambiguità volutamente cercata per preparare il comune sentire all’uso di detto termine e, di conseguenza, all’accesso alle stesse opportunità previste dal quadro normativo anche alle nuove e rampanti tipologie di unione che avanzano: unioni gay, ecc. Rammarica il fatto che posizioni ideologiche e di calcolo politico impediscano di fatto di mettere nero su bianco che la famiglia esiste perché a darle volto è l’unione tra un uomo e una donna aperti alla vita. Mancano l’onestà e il coraggio di riconoscere ad essa l’unicità di un’identità che diritto naturale (principi della natura umana che si presentano come eterni e immutabili nel tempo) e storia da sempre le riconoscono: non è una verità che si presta ad essere confinata nel tempo. L’ambiguità genera confusione e questa ingiustizie. Se si vuol far crescere la conoscenza e il rispetto verso “nuove” forme e tipologie di convivenza questo deve avvenire nella verità e non nell’ipocrisia. Ogni persona deve poter sentirsi legittimata e non giudicata nell’esteriorizzare e vivere la propria affettività: pretendere però di usare il termine «matrimonio» o «famiglia» per indicare ogni qualsivoglia forma di unione è una forzatura che impoverisce tutti, aumenta la confusione e non è certamente l’antidoto alla discriminazione. A forza di desensibilizzare le persone e di svuotare le parole del loro vero significato si diluisce ogni confine. La politica non dovrebbe adeguarsi alle provocazioni di una minoranza di attivisti che sanno parlare il linguaggio dell’egualitarismo ideologico, sinonimo di indifferenziazione, sbandierando efficacemente il ricatto dell’omofobia che inibisce il pensiero. Da molto tempo invece assistiamo ad una formidabile pressione politica, finanziaria, mediatica e culturale che, negando l’esistenza di valori e verità assoluti (relativismo), spingono perché anche in Italia venga riconosciuto il diritto di sposarsi tra persone dello stesso sesso, anche se il matrimonio nel nostro paese e in tutto il mondo occidentale, sta vivendo un momento di grave crisi. Perché dunque questa grande smania per legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso? Appare evidente che ciò che interessa non è tanto formalizzare un’unione, ma piuttosto svuotare e mutare il comune sentire sulla famiglia: se anche le persone dello stesso sesso possono sposarsi e chiamarsi famiglia, passerà l’idea che non c’è alcuna differenza tra omosessualità ed eterosessualità, ma che si tratta di una naturale variabile che scaturisce da una pura scelta sessuale. Il vero obiettivo di questo relativismo è quello di indebolire, separare, se non di distruggere, l’inscindibile legame tra matrimonio e procreazione che ha come naturale conseguenza l’avere figli e crescerli; una evidente volontà di eliminare tutto ciò che si frappone tra istituzione pubblica e individuo. Per questo motivo la famiglia fondata sul matrimonio – società autonoma e originaria – è il nemico numero uno di un pensiero che oggi pare maggioritario. Il modo più semplice per non riconoscere al matrimonio l’importanza dovuta e impoverirlo è estenderne il suo significato, assimilandovi altre forme di unione, cancellando cioè il suo essere unico e speciale. Per altro verso, è noto che la Convenzione sui diritti umani e la nostra Carta Costituzionale tutelano la primordiale relazione tra genitori e figli; per l’articolo 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 «il fanciullo ha diritto a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi», mentre per la Costituzione italiana, oltre alla celebre formula dell’art. 29 per la quale «la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», è dovere e diritto dei genitori mantenere ed educare i figli. In caso contrario il bambino viene privato artificiosamente della doppia genitorialità, subisce una amputazione genitoriale, vede venir meno la dimensione umana ed affettiva necessaria per la crescita ed il suo armonico sviluppo, ed è lasciato in balia di esperienze, rapporti, relazioni umane sostitutive e del tutto slegate rispetto alla naturalità del rapporto tra padre e madre. Siamo di fronte ad una concezione che nega ogni preziosità dell’esperienza umana e ritiene che anche per la dimensione della paternità e maternità il genere umano possa ricominciare da capo, perché l’educazione e la formazione del bambino può avvenire contro i parametri naturali e le garanzie che la famiglia presenta in ogni epoca ed in tutti i Paesi del mondo. Si intravede in questo modo un profilo disumanizzante della tendenza a spezzare il legame del bambino rispetto ai genitori naturali, che comporta il declassamento dei suoi diritti proprio in quella fase più delicata dell’esperienza che condiziona per sempre la crescita successiva. La questione non è se le coppie costituite da persone dello stesso sesso siano in grado di allevare un bambino, ma non vi è dubbio che essi non possano essere equivalenti ai genitori naturali necessariamente eterosessuali. Questi ultimi infatti costituiscono una unità genitoriale complementare dove ognuno tende a dare qualcosa di unico ed utile allo sviluppo del bambino non escludendo a priori il padre o la madre. Il convincimento che ad un bambino serva solo amore, non importa se arrivi da due donne o due uomini, colpisce per la mancanza di rigore. Non basta l’amore a far crescere dei bambini, servono due personalità differenti dal punto di vista psichico. E’ riconosciuto che la differenza tra i sessi è elemento essenziale della costruzione del bambino, che si realizza attraverso una “messa in situazione” dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori. Da questo punto di vista non è irrilevante che il figlio di una coppia formata da persone dello stesso sesso non possa confrontarsi nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale. Queste considerazioni sono materia della psicoanalisi che, non si confronta con la morale, i comandamenti e gli anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, è idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire solo dei diritti che noi vorremo concedergli. Alla luce di queste realtà salvaguardare il matrimonio è una libertà da riconoscere ai bambini almeno tanto quanto ai loro genitori, e per questo è meritevole di norme di protezione di rango superiore rispetto alle altre unioni affettive. Non a caso elementi essenziali del cosiddetto “ordine pubblico” dello Stato considerano l’illegittimità di matrimoni contratti da soggetti non distinti sessualmente. Altro aspetto da non sottovalutare, è il ricorso da parte delle coppie formate da persone dello stesso sesso, a tecniche artificiose ed invasive al fine di raggiungere uno scopo altrimenti irraggiungibile, ricorso che può giungere perfino alla pretesa di ottenere un utero in affitto, una donna-incubatrice, negando a sé stesso il dramma umano sotteso a queste pratiche. Grazie a legislazioni estere, anche in Trentino si sono già registrati casi di coppie che, affidandosi a tali tecniche che violano i principi della natura, ora allevano un bambino. Tale triste “tendenza” attecchirà certamente anche nel Comune di Trento a causa della forte pressione politica, finanziaria, mediatica e culturale di cui si è detto sopra. Compito della legge in primis, ma anche dello Stato e degli enti pubblici, compresi i Comuni, è difendere dalle pretese dei più forti i più deboli, sia prima, sia dopo la nascita, come indicato anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. E’ evidente peraltro che se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della sua identità e in particolare delle sue relazioni famigliari, in primis la conoscenza dei propri genitori, si lede la sua dignità di persona umana. Ciò premesso e considerato, CHIEDO
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Trento, 1° giugno 2013
(*) Claudio Cia
Consigliere comunale – Lista Civica per Trento