di Léon Bertoletti
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Roba vecchia. Il cattoalcolico del tempo presente, alla moda di questo secolo, non tollera l’amaro Bossuet. Lo lascia sullo scaffale, quando lo trova; non lo beve, non lo studia, non lo legge, forse neppure lo conosce. Ma a 390 anni dalla nascita (Digione, 27 settembre 1627), il vescovo cattolico, teologo, predicatore Giacomo Benigno, autore di un’ameriana Histoire des variations des églises protestantes (1684) che già contrasta il concetto di “verità mutabile” opponendogli l’immodificabilità e la fermezza del dogma, merita senz’altro un bicchierino.
L’estate ha portato sul mio tavolo di lavoro il suo Trattato sulla concupiscenza (1693), nella forma di un volumetto uscito dalla Libreria Editrice Fiorentina nel 1927, nella collana “I libri della fede” diretta da Giovanni Papini, nella “nuova traduzione” di Piero Bargellini. Con buona pace di Cesare Cremonini, tornato a tormentarci al canto di “ho visto un posto che mi piace, si chiama Mondo”, lo scritto muove dalla Prima lettera di Giovanni: “Non amate né il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui; perché tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!”. Risulta, dunque, un appello quasi disperato a non affezionarsi al passeggero, al temporaneo, al futile. Presenta una triplice concupiscenza: superbia, curiosità, sensualità. Esamina la fascinatio nugacitatis e la inconstantia concupiscentiae. Riflette su vizio e concupiscenza degli occhi (quanto vero e quanto valido in questa stagione svestita: et oculos per res varia fornicantes, Nm 15,39) prima della carnalità.
Più ancora del testo, tuttavia, colpisce la Prefazione di Bargellini, che inventa la categoria del “peccatore ortodosso”. Osserva infatti: “L’uditorio di Parigi, e della Corte particolarmente, era composto di peccatori ortodossi che ci tenevano d’essere peccatori e d’essere ortodossi. S’è detto che Luigi XIV era il competitore del Bossuet, non che predicasse, ma egli dava l’esempio preclaro del cattolico che pretende di conoscere precisamente il male che fa e che pecca credendo nel peccato”. Qui sta il punto. Noi “peccatori ortodossi” odierni a chi possiamo e dobbiamo rivolgerci per sentire chiamare le cose precisamente con il loro nome, per ottenere una indicazione chiara e definitiva, per non udire che va bene tutto, per sentire parole di Verità? Difficilmente a questa chiesa magmatica, incerta, confusa, che “ha abolito il peccato” e recita il Symbolum Cherubinianum: “Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa, che parte da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa, passando da Malcolm X attraverso Gandhi e San Patrignano, arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano”. Difficilmente ai pastori del dialogo senza identità, senza certezze e senza coraggio; ai raffinati, scaltri teologi della desacralizzazione e del dubbio dottrinale. “Dai Padri della Chiesa”, annota Bargellini, Bossuet derivò “la fiducia nella tradizione, che dovette difendere poi da molti attacchi. E poiché tradizione vuol dire trovare vivo oggi quello che era vivo secoli addietro e sarà vero nei secoli avvenire; e al modo di oggi quello che era al modo di secoli addietro; vuol dire cioè vita eterna, il Bossuet si trovò subito dai primi anni a riconoscere questa fondamentale regola di vita cristiana: che al cristiano, sotto qualsiasi latitudine e in qualsiasi clima di tempo, deve bastare e basta Gesù. Che il cristiano deve trovare e trova tutto nella sua Chiesa”. Secondo Bargellini, il Trattato “non è bello, non è originale, non è più fatto per convertire nessuno con le armi lunghe della logica. È una semplice, tradizionale confutazione del demonio”. Una parola “ritorna insistentemente in questo trattato; lo fa noioso agli spiriti fini, insopportabile a quelli complicati. Questa parola è: peccato”. Però “il cristiano che legge il Trattato della concupiscenza sente che il Bossuet ha ragione, solamente ragione, troppa ragione e troppo sicuramente ragione. E questa è la debolezza del trattato. Ma si capisce quanto questa debolezza debba soddisfare il cristiano, e indispettire invece il mondano”.
Chiaro, no? Cincin. Con l’invito di Bossuet, “che la parola di Dio sia in voi: cominciate a capirla, e cominciate a viverla”.
1 commento su “I “peccatori ortodossi” e la chiesa che omette la verità – di Léon Bertoletti”
Sì’, da qui! semplicemente da Qui!
Ricominciare, pazientemente, a ricomporre tutta nostra vita.
Com’era in principio, ora e sempre, per essere essere salvi- Sempre con l’indispensabile aiuto di Dio e della Sua Madre Santissima e Immacolata.