di Lino Di Stefano
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Un luogo comune abbastanza radicato nell’opinione pubblica, ritiene che filosofia e poesia siano due moti dell’animo inconciliabili presentandosi, la prima, come peculiare ricerca speculativa e, la seconda, quale immediata e spontanea espressione dello spirito. In definitiva, ricerca della verità ed arte di far versi.
Laddove, aggiungiamo, entrambe le attività sono nate, contemporaneamente, in seno al mondo greco, visto che nel pensiero presocratico si erge la figura del filosofo-poeta; e ciò, come si ricava non solo dalle testimonianze intorno agli autori di cui non ci sono giunti scritti, bensì, soprattutto, dai frammenti degli altri primi pensatori alcuni dei quali – Senofane, Permenide ed Empedocle – erano essenzialmente poeti oltreché amanti del sapere, seguendo l’etimologia.
Nelle menzionate categorie, rientra l’itinerario intellettuale di Fortunato Aloi, detto Natino; parlamentare a Palazzo Madama per più legislature, docente di storia e filosofia, uomo di scuola nel senso più ampio del termine, e oltremodo sensibile verso i problemi del Mezzogiorno, il cittadino di Reggio Calabria ha al suo attivo una cospicua serie di pubblicazioni non solo di carattere storico – suoi, per citare solo qualche titolo, ‘Pagine risorgimentali’ e ‘Mezzogiorno Oggi’ – ma anche di ordine speculativo.
Vista, altresì, la sua peculiare predilezione per i grandi studiosi e, in particolare, per Giovanni Gentile a nostro giudizio il più grande filosofo italiano del Novecento ed uno dei maggiori esponenti del pensiero europeo e mondiale; al filosofo di Castelvetrano e al neo-idealismo italiano, egli ha dedicato diversi lavori come, ad esempio, sempre per ricordarne qualcuno, ‘Giovanni Gentile e attualità dell’attualismo’ e ‘Il ritorno di Gentile (a settant’anni dalla morte)’.
Senza rammentare altre sue fatiche letterarie, Fortunato Aloi si è ripresentato, proprio in questi giorni, all’attenzione degli appassionati di cultura e dei lettori in genere con una bella raccolta poetica che già dal titolo – ‘Vaganti…frammenti di io’(Pellegrini, Cosenza, 2017) – lascia presagire i futuri sviluppi di un ‘iter’ poetico interamente improntato a suggestioni intimistiche che hanno come centro d’interesse, appunto, l’‘io’ interamente assorbito, egli scrive, in “un brivido/ di luce/ nel vuoto/ abissale”.
E così, di questo passo, considerato che il mistero costituisce “una voragine/ infinita” che lo inghiotte con un balzo nel nulla, mentre il tempo sguscia in un precipizio di tedio; i richiamati brevi versi rappresentano soltanto una parte dei temi del poeta, anche perché il percorso di quest’ultimo non risulta solamente variegato, ma anche incalzante “fugaci/ fantasmi/ di tempo”.
La cadenza lirica di Aloi – concentrata in versi brevi, ma di effetto sicuro – non dà tregua al lettore il quale con lui sogna non solo “sulla strada/ delle nubi/ merlate”, ma con lo stesso si culla pure “nell’onda/ dei ricordi” prive di tenebrose nubi. Un altro motivo della poetica e della poesia aloiane è raffigurato dalla durezza e dalla stanchezza dell’esistenza allorquando, cioè, egli resta, da una parte, “sospeso nel nulla/ tra cenni di sogni/ senza approdi/ alla soglia dell’alba…” e, dall’altra, allorché non riesce ad “accendere/ lampade votive/ alle sempre fugaci/ illusioni…”.
E, non a caso, il poeta intitola una sezione del volume ‘Itinerario storico-esistenziale’ proprio per caratterizzare quell’angoscia che lo tormenta sprofondandolo “nell’abisso della notte” e ponendolo al cospetto del “silenzio” e del “vuoto di sempre”. E veniamo, adesso, alla figura di Dio che un ruolo così importante gioca in questa raccolta del poeta calabrese.
Premesso che Dio, son sue parole, rimane “l’ultimo/ approdo/ della lunga/ infinita/ speranza”, e che, lo stesso, nella veste di Figlio, “ritorna nella storia/ dell’uomo”, Aloi offre anche una calzante definizione dell’Onnipotente allorquando scrive che Egli esprime “un ramo/ di albero/ antico/ cui/ ti aggrappi/ nel deserto/ infinito/ dell’io”.
Una riprova, quest’ultima – chiarisce Pierfranco Bruni nella Postfazione – che noi umani siamo “Vaganti! Siamo vaganti ed erranti…” e sempre al cospetto di un incerto domani se privi della speranza dell’approdo di Colui che rappresenta, per il poeta, l’unico “faro/ nella notte dei tempi”.
Una bella silloge lirica questa del poeta di Reggio Calabria, una raccolta nella quale non mancano altri soggetti degni di nota come, ad esempio, la celebrazione della grandezza di Roma antica, l’esaltazione del mito di Garibaldi, “gigante di ideali/ sulla scena/ della storia”, e, infine – per non smentire la sua figura di filosofo-poeta – il commosso elogio a Friedrich Nietzsche un pensatore, a suo dire, “al limite/ dell’assurdo” e portatore, insieme, di quella valanga di volontà di potenza “spinta/ dall’uragano/ del superuomo”.