Razionalità e responsabilità. Il pensiero giuridico-politico di Cornelio Fabro – di Giovanni Turco. Un libro che ci permette di conoscere l’itinerario teoretico del filosofo e teologo friulano sulle questioni civili attraverso un rigoroso approfondimento dei suoi scritti, che appaiono di caratura non inferiore a quelli dedicati ad altre tematiche.
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Chi, meglio del Professor Giovanni Turco, poteva sondare la filosofia giuridico-politica di Padre Cornelio Fabro? Un aspetto, questo, poco noto rispetto ai suoi interessi peculiari sulle questioni dell’essere e della conoscenza, sulla libertà e l’ateismo, su San Tommaso d’Aquino e Kierkegaard. Egli dimostrò la distinzione reale tra essentia (“essenza”) e actus essendi (“atto d’essere”), tesi che lo porterà a riconoscere con sicurezza le debolezze e le aporie del pensiero moderno, il quale, muovendo i suoi passi dall’immanentismo del cogito cartesiano è giunto ineluttabilmente nell’ateismo, ateismo che, ormai, serpeggia ostentatamente e tragicamente anche dentro la Chiesa, fra un clero che ha tradito e rinnegato la Fede e un Papa che pubblicamente viene accusato di essere non cattolico e addirittura ateo, così come hanno fatto non soltanto i “soliti nostalgici” che credono nella Trinità e nella transustanziazione, ma anche intellettuali come il filosofo Flavio Cuniberto e Vittorio Sgarbi.
Nel saggio Introduzione all’ateismo moderno (Studium, Roma, 1964), Fabro aveva sviluppato un ampio esame del pensiero ateo moderno, trovandone l’origine nel pensiero di Cartesio e con successivi importanti apporti in quello di Spinoza; con alcune premesse poste da questi ultimi, l’ateismo ha trovato basi di sviluppo importanti, arrivando così ad una visione filosofica dell’ immanenza, danneggiando violentemente il riferimento alla trascendenza, arrivando alla negazione, anche nella Chiesa, della dimensione soprannaturale dell’esistenza. Sulle orme di San Tommaso d’Aquino e nella puntuale critica a Karl Rahner nonché ad Emanuele Severino, Cornelio Fabro, valorizzatore del pensiero cristiano, esistenzialista, anti-idealista di Søren Kierkegaard, che tradusse, commentò e pubblicò, diventa di fondamentale interesse per questi nostri babilonici tempi.
Con il recente saggio Razionalità e responsabilità. Il pensiero giuridico-politico di Cornelio Fabro (Studium), Giovanni Turco ci permette di conoscere l’itinerario teoretico del filosofo e teologo friulano sulle questioni civili attraverso un rigoroso approfondimento dei suoi scritti, che appaiono di caratura non inferiore a quelli dedicati alle altre tematiche succitate. «Vi è tuttavia un ulteriore versante della riflessione fabriana, importante per penetrazione intellettuale e notevole per implicazioni pratiche. Si tratta di quello giuridico-politico, anzi, propriamente, morale, giuridico e politico. A ben vedere, non vi si incontra un “Fabro minore”, ma un “altro Fabro”, non meno filosofico né meno rigoroso, non meno documentato né meno avvertito. In tale campo di indagine, poco o punto frequentato dagli studi dedicategli, emerge sia un tratto inconfondibile della sua fisionomia intellettuale sia un aspetto del suo itinerario di ricerca. Talché mentre vi si palesa l’acuta consapevolezza della responsabilità del pensiero (quindi del pensare e del pensatore), vi si profila l’urgente esigenza della considerazione dei problemi dell’agire (nei diversi ordini di relazioni in cui esso viene esercitato)» (p. 10).
Nel caotico “non pensiero logico” dell’età contemporanea, dominata dall’irrazionalità di idee innaturali e contrarie alle leggi del Creatore e della creazione, che portano inevitabilmente a considerazioni schizofreniche e patologiche, Fabro e Turco, a cui siamo oltremodo grati, ci riportano alla stabilità della filosofia della ragione con pagine di mirabile concretezza cristiana:
«La libertà individuale (donde la responsabilità personale) è il “punto di partenza” della storia. Senza di essa neppure si dà – né può darsi – la qualificazione dell’accaduto. […] In questa prospettiva, Fabro evidenzia che la causalità ultima e fondante di Dio nulla toglie alla libertà ed alla responsabilità umana. Anzi, la fonda e la rende – intimamente ed autenticamente – possibile, per se stessa. Ne è “il principio e la garanzia”, come nell’ordine dell’essere così nell’ordine dell’agire (secondo ciò che ciascun ente è). Nella storia, come nella natura, la causalità dell’Infinito sta con quella del finito, ma ognuna, ovviamente, per ciò che le è proprio, nel suo ordine ontologico» (p. 58).
Così come vi è una stretta ed obiettiva correlazione, metafisica ed etica, fra affermazione della trascendenza ed affermazione della libertà, così vi è una obiettiva corrispondenza fra negazione della prima e negazione della seconda: «Una libertà senza presupposti, si inabisserebbe nel proprio nulla. Una libertà risolta nell’immanenza sarebbe ridotta ad un apparire senza essere» (p. 58). Tuttavia questo accade ogni giorno nella vita sociale, politica, ecclesiastica: un percorso chiaramente gnostico che pensa male e agisce male, seguendo un gioco perverso di malavita individuale e civile, che cerca soluzioni, impossibili da trovarsi, nel disordine e nel peccato, nell’insicurezza e nella costante mancanza di equilibrio della libertà usata male, in quanto priva del fondamento che soltanto Cristo può offrire.
Fabro e Turco evidenziano come il male appartiene all’uomo «perché esso proviene solo dall’uomo, perché di esso è responsabile soltanto la sua volontà, perché in esso l’uomo cerca l’affermazione di sé, cioè una specie di libertà assoluta, affrancata dal contenuto, una libertà senza legge…; è a suo modo quella che potremmo dire la libertà dell’immanenza che pretende di essere legge a se stessa e di porre l’atto a fondamento del contenuto. Poi, perché questo proviene all’uomo da parte dell’uomo che vuol costruire la felicità propria sull’infelicità altrui» (p. 60). Si pensi, a mo’ di indice, alla “felicità” anelata oggi dalle donne e dagli uomini che, starnazzanti, cercano illusoriamente di trovarla nell’appagamento dei propri individuali egoismi, edonismi, narcisismi. La loro azione di rottura dei legami coniugali e genitoriali, che non prevedono rinunce e sacrifici donativi gli uni per amore degli altri (formidabili e indefettibili collanti che provengono dalla Carità unitiva), li rende schiavi di se stessi: ghiotta preda dello Stato ateo, radicale, dittatoriale, schiavizzante, che oggi impera in Europa.
«Il male (che consiste nella colpa) è un “triste privilegio della libertà finita”. Nel male la libertà umana è, in certo modo, sola con se stessa. È eretta a fine in sé. È posta come illimitata. È considerata come misura del suo oggetto. Si presenta con una sorta di autosufficienza attuata presumendosi autosufficiente nella attuazione del contenuto dell’atto medesimo. Il male si compie, appunto, nella sostituzione – in agendo – del finito all’Infinito. Essa si configura, anzitutto, nell’intimo del soggetto, qui l’ipertrofia dell’io può giungere all’egotismo. E l’io può arrivare a farsi schiavo di se stesso» (pp. 60-61). Si tratta del culto di sé, quello che porta alla perdizione, già in terra.