di Stefano Nitoglia
La situazione caotica che si è venuta a creare nel corpo elettorale italiano nelle recenti elezioni politiche potrebbe prefigurare, “si parva licet componere magnis”, i prossimi avvenimenti nella ben più prestigiosa assise del conclave ed oltre?
Dalle urne italiane non è uscito alcun vincitore e la situazione pare ingovernabile. I quotidiani nazionali, all’indomani del voto titolavano preoccupati: “Voto choc: non c’è maggioranza” (“Corriere della Sera”, 26 febbraio 2013); “Grillo boom, Parlamento bloccato” (“La Stampa, 26 febbraio 2013); “Sacco matto” (“il manifesto”, 26 febbraio 2013).
Il tema è delicato e non abbiamo i titoli per affrontarlo. Ciononostante, proviamo a buttare giù qualche pensiero, così, semplicemente, senza alcuna pretesa.
L’uomo medievale dava molta importanza ai simboli che racchiudevano in un gesto, un segno, una parola o un avvenimento, realtà ben più alte e complesse e che venivano, in tal modo, rese intellegibili ai più, anche di non elevata cultura.
Ora questa attitudine, che si potrebbe definire sintetica, si è persa quasi del tutto; nondimeno ne esistono ancora alcune tracce e l’uomo moderno, pur distratto da mille avvenimenti, è capace, in qualche caso, di restarne colpito.
Non si spiegherebbe, altrimenti, la risonanza mediatica mondiale che ha avuto la foto del fulmine che colpisce la cupola di San Pietro nel momento in cui Benedetto XVI annuncia agli attoniti cardinali la sua rinuncia al ministero petrino.
Gli animi più elevati, ma anche la gente più semplice, hanno sempre intrepretato gli accadimenti terreni alla luce di disposizioni superiori, provvidenziali. Pensiamo alle immortali pagine del “De civitate Dei”, suggerite alla mente di sant’Agostino d’Ippona dal sacco di Roma. O ai “Dialoghi” di san Gregorio Magno, in cui il grande papa riferisce quanto diceva san Benedetto: “Roma non sarà sterminata dai barbari, ma imputridirà in se stessa, travagliata dalle tempeste, dai fulmini, dai turbini e dal terremoto”.
Al momento dell’elezione al soglio pontificio di Benedetto XVI la situazione era abbastanza chiara: esistevano due candidati di un certo spessore, gli unici che avevano una certa probabilità di essere eletti ed erano l’allora cardinale Joseph Ratzinger e l’ora defunto cardinale Carlo Maria Martini.
Vi erano, comunque, tutti i problemi che la cosiddetta “crisi della Chiesa”, il “fumo di Satana” denunciato da Paolo VI, si trascinava dietro da molto, moltissimo tempo e che i recenti scandali hanno, in parte, rivelato.
Questo perché la Chiesa, essendo fatta anche di uomini, reca con sé il peso del peccato originale; e coloro che guardano con occhi puramente umani questa realtà, che è pure e, soprattutto, soprannaturale, ne vedono solo le pecche, restandone sgomenti e quasi sopraffatti.
Tornando al conclave del 2005, allora la caratura intellettuale di Joseph Ratzinger non faticò ad imporsi e, nel giro di due giorni e quattro sole votazioni, egli venne eletto al Soglio di Pietro.
Restavano i problemi della Chiesa e la rinuncia di Benedetto XVI sta a testimoniare che essi permangono e non sono stati risolti.
Ora, invece, oltre ai problemi di cui dicevamo, c’è anche il fatto che non paiono esserci candidati in grado di imporsi nettamente al Sacro Collegio. “Non si ricorda, nell’ultimo secolo, un preconclave così incerto e così vulnerabile a pressioni esterne ed interne”, scrive Sandro Magister sulla sua rubrica settimanale de “L’Espresso” (n. 9 del 1 marzo 2013).
I progressisti sono pronti ad approfittare di questo momento per prendersi la rivincita. È di questi giorni un’intervista di Hans Küng che, tracciando un parallelo tra la monarchia assoluta dell’Arabia Saudita e il Vaticano, preconizza “una primavera vaticana” che veda un Papa aperto alla modernità e che difenda la libertà. E cosa è accaduto con le primavere arabe è sotto gli occhi di tutti.
La stampa cosiddetta laica che, sotto una patina di imparzialità, è stata sempre sottilmente e velenosamente anticattolica, intinge il dito nella piaga e dà loro una mano. Sono noti gli articoli denigratori di Massimo Franco sul “Corriere della Sera”, che dà una lettura maliziosa della rinuncia di Benedetto XVI, e della ex direttrice dell’”Unità”, Concita De Gregorio, su “la Repubblica”, la quale arriva a parlare addirittura di una “lobby gay nella Curia” che ricatterebbe molti cardinali (“la Repubblica”, 22 febbraio 2013). Articoli che hanno suscitato l’ira del Segretario di Stato vaticano cardinale Tarcisio Bertone, che ha dettato una nota di protesta ufficiale accusando la stampa di voler condizionare il conclave.
E sullo sfondo sta la figura di Benedetto XVI, papa emerito, vestito di bianco, che risiederà nel monastero che fu delle Suore Clarisse di clausura, all’interno del Vaticano, a meno di cento metri dal nuovo Papa.
Ci auguriamo che simili scenari foschi non si realizzino e che queste poche righe restino quelle che sono, un’esercitazione accademica, certi comunque della promessa di indefettibilità della Chiesa fatta da Nostro Signore a Simon Pietro (Mt, 16,18).