Un importante saggio di Luigi Gagliardi
di Piero Vassallo
Medico illustre e umanista d’alto profilo, autore di importanti saggi sulla catechesi cattolica e, in asse con questa, su argomenti scottanti [divorzio, aborto, eutanasia, manipolazioni genetica ecc.] Luigi Gagliardi si è dedicato con successo anche a un’attività impopolare e censurata dai poteri forti quale è la revisione/demistificazione della storia del Novecento italiano, scritta dai progressisti per esorcizzare il qualunque sussulto della coscienza nazionale.
Notevoli per la ricchezza delle fonti e per l’equilibrio dei giudizi, infatti, sono alcuni suoi saggi storico-filosofici, ad esempio il profilo di Arnaldo Mussolini [scritto in collaborazione con l’autorevole pensatore Fausto Belfiori] e lo studio sulla cultura controriformista del fascismo.
A questo scabroso filone di ricerca è dedicato anche il saggio “Aspetti storici e politici del fascismo”, uscito in questi giorni dai torchi animosi e instancabili dell’editore Marco Solfanelli in Chieti.
Ricco di spunti originali e di inedite citazioni, il nuovo saggio di Gagliardi disegna un profilo inedito della tentazione cattolica della cultura fascista e giustifica la motivata avversione di Mussolini e degli studiosi fascisti all’ideologia liberale.
Al proposito è citato un interessante ma (inspiegabilmente) dimenticato autore d’area, Oscar Di Giambernardino, il quale contesta la tesi di Stuart Mill, che riduce la libertà al “fare ciò che ci piace, avvenga che può” dimostrando che “le azioni individuali, mosse da criteri così scapigliati, non possono per virtù propria ordinarsi ed equilibrarsi senza interferenze, urti e sovrapposizioni, ossia senza una lotta disordinata che, se non distrugge nella pratica la proclamata libertà di gusti, di indirizzi e di carattere, obbliga codesta libertà alla conquista quotidiana di sè stessa, correndo l’alea della vittoria o della sconfitta“.
Conseguenza della sovrapposizione dell’ideologia liberale alla dinamica della società organizzata secondo la legge naturale è l’impegno delle masse “alle cose in forsennata concorrenza, avendo come scopo il benessere e come mezzo di affermazione la ricchezza … il progresso è stato concepito, in conseguenza, come una serie ritenuta inesauribile di conquiste sulla materia, bastevoli da sole a giustificare la vita umana e a dare ad essa ogni speranza e ogni ebbrezza. Così le questioni morali e religiose sono rimaste confinate in un settore quasi sperduto dell’attività umana”.
Ora alla motivazione del rigetto fascista dell’ideologia liberale non è estraneo il giudizio cattolico formulato da Leone XIII, secondo il quale “la libertà, come quella che è perfezione dell’uomo, deve avere per suo oggetto il Vero e il Bene: e la natura del Vero e del Bene non è variabile a capriccio dell’uomo, ma rimane sempre la medesima e non è meno immutabile che l’essenza stessa delle cose“.
La prossimità dell’idea fascista alla dottrina cattolica peraltro è testimoniata dalla definizione della libertà proposta da Guido Manacorda, un eminente studioso che fu fedele interprete del pensiero di Mussolini e implacabile critico dell’esoterismo nazista: “La libertà non è un diritto: è un dovere. Non è un’elargizione: è una conquista. Non è un’uguaglianza: è un privilegio”.
Al rifiuto dell’ideologia liberale discende la critica all’assolutismo democratico. Al proposito Gagliardi cita un testo di Alfredo Roncuzzi, filosofo di estrazione cattolica e perciò dimenticato o volutamente censurato dall’insensibilità della pubblicistica ispirata da Armando Plebe e dai suoi ascari neodestri: “L’irrazionalità sistematica del suffragio universale, comunemente adottato dalle democrazie odierne, il quale dà agli inferiori, ai meno preparati, ai meno qualificati, alla massa indistinta, la potestà numerica di designare i dirigenti politici, si fonda sul concetto di un’ipotetica uguaglianza, cioè su un’astrazione“.
Il testo di Roncuzzi fa affacciare alla memoria le tradizionali obiezioni della sana filosofia al concetto di sovranità popolare, oltre che la fondamentale distinzione tra popolo e massa, affermata da Pio XII nel radiomessaggio per il Natale del 1944.
Gagliardi, infine, indirizza la politologia tradizionale a porre l’accento sulla divina Provvidenza (che trascende la volontà delle masse ordinando la storia ai suoi fini).
La dottrina provvidenzialista fu dimostrata autorevolmente dal cattolico Giambattista Vico, il geniale italiano, cui i giovani avanguardisti (Niccolò Giani, Guido Pallotta e Nino Tripodi) educati alla vera fede nella scuola fondata da Arnaldo Mussolini, attribuirono il titolo di filosofo del fascismo.
La critica del democratismo, peraltro, è in linea con l’insegnamento di Benedetto XVI, il quale afferma che, ove il relativismo fosse vero “la maggioranza di un momento diventerebbe l’ultima fonte del diritto“. Ai seguaci di un tale paradosso, Benedetto XVI rammenta che “la storia dimostra con grande chiarezza che le maggioranze possono sbagliare. La vera razionalità non è garantita dal consenso di un gran numero, ma solo dalla trasparenza della ragione umana alla Ragione creatrice e dall’ascolto comune di questa Fonte della nostra razionalità“
Scritto davanti al definitivo tramonto dei partiti organizzati in conformità all’equivoco concetto di destra politica, il saggio di Gagliardi aiuta a comprendere la necessità del rinnovamento nella genuina tradizione italiana e l’obbligo di comprendere che la riforma della vetusta e lisa costituzione del 1946 deve cominciare dalla critica al principio di sovranità popolare e dalla ridefinizione del concetto di libertà.
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