di Ubaldo Giuliani Balestrino (*)
I. Sulla possibilità di escludere le subordinate
Le storie raccontano che quando Cortés sbarcò sulle coste di quella terra che oggi noi chiamiamo Messico ( e che egli chiamò “Nueva Espafia”) affondò tutte le navi con cui era sbarcato, eccetto una: quest’ultima avrebbe dovuto – come poi fece – portare in Spagna la notizia dei successi ottenuti.
l soli 600 uomini con cui Cortés si accinse a fondare l’impero ibero-americano e a conquistare territori immensi, molto più vasti dell’attuale Messico furono profondamente colpiti dall’affondamento (che secondo talune fonti fu addirittura incendio) delle navi.
Essi compresero che non avrebbero più potuto tornare in Spagna, se non in caso di vittoria: che loro dovevano- ormai -o vincere o morire.
La decisione di Cortés fu -almeno a mia conoscenza – il caso massimo in cui qualcuno s’ispirò al ferreo dilemma: o tutto o niente.
Infatti, anche nel linguaggio comune, è entrata l’espressione “bruciarsi i vascelli alle spalle”.
Ossia, pure Cortés – che era un soldato, un uomo d’azione – avvertì una precisa verità psicologica: le subordinate indeboliscono la principale.
Ogni avvocato sa che – quando si affiancano alla tesi maggiore argomentazioni minori – diminuiscono le probabilità di una vittoria completa: sostenere soltanto l’argomento più forte presenta il rischio di una sconfitta totale, ma accresce la probabilità di un pieno successo. Analogamente, le parti di un contratto possono rinunziare a ogni subordinata. Così possono impegnarsi a non eccepire il vizio occulto della cosa comprata o il carattere aleatorio del contratto ex-art. 1469 c.c. e così via dicendo per gli infiniti casi che si possono prospettare.
Nulla impedisce- per esempio- che le parti si obblighino accettare la decisione degli arbitri e a non impugnare il lodo arbitrale: ciò che avviene spesso.
In conclusione, di fronte a molti e diversissimi problemi, è possibile applicare il dilemma: o la va o la spacca oppure seguire l’opposto principio che è meglio mezza pagnotta di niente. Ciò vale per tutti (o quasi) gli esseri umani.
II. Sul diritto a escludere la prospettiva del divorzio
Orbene, questa scelta è negata – dalle leggi vigenti – a chi vuole contrarre il vincolo matrimoniale.
Oggi, chi si sposa sa che il divorzio è ammesso dal nostro ordinamento. E tra i danni cha arreca il divorzio il più invisibile- ma uno tra i più gravi- è il pensiero, è la prospettiva del divorzio.
l coniugi italiani sanno che alla prima crisi del loro rapporto l’altro coniuge potrà divorziare: che si vive insieme, ma con l’idea che la via della rottura è aperta.
È giusto che la facoltà, il diritto di divorziare non sia rinunziabile? A mio convincimento, no.
Ciò tanto più che molti stati nord americani ammettono da tempo il covenant marriage ossia la facoltà degli sposi di ridurre, tanto al momento del matrimonio che dopo, i casi di divorzio. Contro questo mia opinione, si possono addurre vari argomenti.
Cercherò di analizzarli separatamente.
III. Sull’esigenza di una legge al proposito
Una prima obiezione potrebbe essere questa: la facoltà di chiedere il divorzio non è mai stata ritenuta rinunziabile da alcuno, nel quarantennio abbondante succeduto alla legge che ha introdotto il divorzio in Italia.
Il fatto è vero. E si può sostenere che una prassi così consolidata e unanime vale come interpretazione della legge.
Pertanto, per ovviare a tale prevedibile osservazione, ritengo opportuno che la facoltà di rinunziare al diritto di richiedere il divorzio venga istituita da una nuova legge.
Pretendere di modificare così profondamente l’istituto del divorzio soltanto in base ai principi del diritto privato, probabilmente non sarebbe possibile.
Beninteso, da un punto di vista logico, sarebbe giusto.
Il legislatore italiano ha stabilito che il matrimonio è un contratto, che ogni parte può porre nel nulla ricorrendo al divorzio.
Con ciò, il matrimonio è divenuto un rapporto disponibile.
Le parti possono stabilire che contro le crisi coniugali vi sono due rimedi: la separazione e il divorzio.
Una qualche misura per il caso che avvengano fatti gravi all’interno della famiglia (il padre che percuote i bimbi piccoli, la moglie che ha una relazione extraconiugale e via dicendo) è necessaria.
Ma i coniugi possono stabilire liberamente che – per tale eventualità – i rimedi sono due (separazione e divorzio) oppure uno (separazione soltanto).
Non vi è nessun argomento né giuridico né morale per limitare al proposito la libertà contrattuale, che è un principio fondamentale della vita civile, non soltanto italiana.
IV. Sull’argomento che si tratterebbe di una facoltà discriminatoria: critica
Si potrebbe opporre che – in tal modo – si crea una contrapposizione tra coniugi religiosi (obbligati dalla Chiesa a rinunziare alla facoltà di divorziare) e coniugi non religiosi.
La risposta a detta obiezione mi sembra duplice.
Anzitutto alla convenzione prematrimoniale di rinunzia alla facoltà di divorziare potrebbero ricorrere anche laici, atei, non cattolici, islamici e via dicendo.
Non vi sarebbe- quindi- nessuna violazione del principio di uguaglianza.
In subordine, la facoltà di rinunziare a richiedere il divorzio potrebbe essere introdotta con legge costituzionale, che modificasse l’art. 3 della carta costituzionale vigente.
L’art. 3 della Costituzione sancisce il principio di uguaglianza: ma una legge di riforma costituzionale supererebbe detto ostacolo.
V. Sull’indeterminazione dell’oggetto della rinunzia
Si potrebbe pure sostenere che i coniugi s’impegnerebbero a non divorziare senz’ essere informati delle eventuali difficoltà cui potrebbe andare incontro – in futuro – il loro matrimonio.
Ma esiste il contratto aleatorio, in cui le parti accettano anche gli sviluppi imprevisti e imprevedibili che potrebbe verificarsi.
Oppure, basti pensare a chi accetta di arruolarsi in un corpo armato, senza poter sapere se, quando e in quali circostanze vi sarà la guerra.
Di ciò, l’ora che volge offre un’evidente conferma.
Si è proposta la legge sul c.d. “testamento biologico”. L’autore del “testamento biologico” dispone per il caso che egli si ammali o perda la ragione: e si tratta di malattie che non si sono ancora manifestate, di eventualità non predeterminate.
Il fatto che la proposta di legge sul testamento biologico sia molto discussa, ma non considerata assurda, dimostra come sia possibile regolare anche il fatto in parte non prevedibile.
VI. Sull’atteggiamento dell’opinione pubblica
Un’obiezione del tutto diversa sarebbe quella che -oggi- l’opinione pubblica è favorevole al divorzio.
Ritengo detto argomento superabile sotto due profili.
Da un lato, l’opinione pubblica è favorevole a che nel nostro ordinamento esista il divorzio: tuttavia non è mai stata – a mia conoscenza – posta di fronte alla proposta della rinunziabilità (libera e spontanea) alla facoltà di divorziare. Sostenere che il divorzio non è mai ammesso è diverso dal dire: chi preferisce, può liberamente rinunziare alla facoltà di richiedere il divorzio. Inoltre, i frutti avvelenati del divorzio (costi economici, delitti, padri che non riescono più a vedere figli, divorziati che sono obbligati a coabitare perché non possono sostenere il peso economico di due case, difficoltà nell’educare i figli, aumento vertiginoso delle separazioni coniugali e via dicendo) hanno fatto molto diminuire gli entusiasmi iniziali a favore del divorzio. Per di più, il divorzio è tra i coefficienti di alcuni tra i massimi mali della società contemporanea: in particolare, della decisione di non avere figli, della solitudine, della depressione.
L’idea che il matrimonio può- in ogni momento- sfasciarsi, induce a non caricarsi del peso dei figli e della loro educazione: peso che dura -di regola- per vari anni e, talvolta, per moltissimi anni. E ciò porta a quel “suicidio demografico” dell’Europa, denunziato tanto da Benedetto XVI quanto dai demografi: tra breve l’Europa potrebbe divenire islamica, per mancanza di nascite nelle famiglie non mussulmane.
Inoltre, è in crescita il numero delle persone sole che- proprio perciò- rischiano di non curarsi o di non curarsi abbastanza e che muoiono senz’essere assistite da alcuno.
Infine, oggi non abbiamo più i repressi sessuali; non abbiamo più gli oppressi dai tiranni: ma le tarme dei depressi sono infinite.
E tra le schiere dei depressi (si dice pure “stressati”) molti sono i divorziati. E la depressione favorisce il suicidio, la pazzia, la delinquenza.
VII. Sulla contrapposizione dei cattolici ai laici
Contro la proposta che qui si formula, si potrebbe avanzare un’ulteriore obiezione, particolarmente insidiosa.
Si potrebbe dire che la distinzione tra coloro che sceglierebbero il matrimonio dissolubile e coloro che sceglierebbero il matrimonio che si potrebbe chiamare “rafforzato” separa i cattolici praticanti dal resto della società.
Ma ,a mio giudizio, non si tratterebbe di un male.
Anzitutto, va ricordato che – tra i pensatori ebraici – non tutti deplorano il ghetto. La separazione dalla maggioranza della società ha, storicamente, consolidate le comunità israelitiche.
Molti ebrei, pur ammettendo che l’origine del ghetto fu la persecuzione, ritengono positive le conseguenze del ghetto. Nulla si oppone che a detta convinzione s’ispirino pure i cattolici.
Ma- ciò che conta di più- va ricordato come il Cristianesimo abbia permeato prima la società e molto dopo lo Stato. A poco a poco, i pagani si convertirono: ma soltanto alla fine del IV secolo, l’imperatore Teodosio proclamò il Cristianesimo religione dell’Impero.
Oggi che il Cristianesimo è (o sembra) in minoranza, occorre riprendere la battaglia dalla riconquista della società.
Ossia, si deve dimostrare che i cattolici sono meno depressi e più felici dei neo-pagani: hanno più figli, matrimoni più stabili, meno suicidi, meno casi di pazzia e di delinquenza, si ammalano meno di AIDS.
Se s’introdurrà il matrimonio “rafforzato” – contrapposto al matrimonio dissolubile – a sostegno della Chiesa potrà giungere la statistica. Questa scienza potrà dimostrare che i cattolici intransigenti, i quali rinunziano al diritto al divorzio, sono più felici e più sani degli altri consociati.
Si disse, al principio del secolo XX: se oggi San Paolo rinascesse, si farebbe giornalista. lo penso che- se oggi San Paolo rinascesse- si farebbe statistico.
(*) Ordinario di Diritto Penale Commerciale nell’Università di Torino
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