di Carla D’Agostino Ungaretti
La notizia delle dimissioni di Benedetto XVI – altrettanto inaspettata quanto inaudita – per me, “cattolica bambina” nonché “ratzingeriana di ferro“, è stata veramente un colpo e il dolore a caldo è stato enorme. Poi mi sono concentrata nella preghiera e lo Spirito mi ha aiutato a capire e a farmene una ragione, perciò ora, nella mia umiltà, non ho nulla da aggiungere a quanto è stato detto e scritto su questo evento da parte di personalità molto più preparate ed autorevoli di me, se non che prego con tutto il cuore il Signore perché conceda al mio Vescovo, Pastore, Padre e Maestro ancora una lunga vita e tutte le grazie e le gioie spirituali che egli merita per aver donato alla Chiesa, in questi otto anni, un così grande tesoro di esempio e di insegnamento. Tutto ciò nella fiducia, anch’essa ispirata dallo Spirito, che il suo successore sarà veramente degno dei due grandi Pontefici che l’hanno preceduto.
Ma c’è un aspetto di questa vicenda sul quale non riesco a tacere. Molti giornali, tra i quali Il CORRIERE DELLA SERA del 12 febbraio scorso, hanno voluto vedere un parallelo e forse un’anticipazione di questo inaspettato evento nel film di Nanni Moretti “Habemus Papam“, uscito un paio di anni fa. Nel film – inappuntabile dal punto di vista spettacolare – al termine di un conclave viene eletto Papa un cardinale francese, interpretato da Michel Piccoli, ma il neoeletto – colto da una crisi esistenziale e da un senso di inadeguatezza che gli impediscono di affacciarsi alla loggia di S. Pietro come nuovo Pontefice – dapprima chiede l’aiuto di uno psicologo (ovviamente ateo, impersonato dallo stesso Moretti) poi fugge per le vie di Roma (alla ricerca di che? forse di un po’ di coraggio? ma le vie di Roma glielo possono dare?) fino ad accettare di presentarsi ai fedeli che lo acclamano, ma solo per dichiarare di rinunciare all’elezione perché non si sente all’altezza di una simile dignità.
In questo film, che vorrebbe rappresentare un evento cardine nella vita della Chiesa come l’elezione di un Pontefice, c’è un Grande Assente: Dio. Al cardinale eletto non viene mai in mente, neppure per un istante (e tanto meno al regista, autore anche del soggetto) che la sua elezione sia stata espressione della volontà di quel Dio al quale egli avrebbe dovuto fare immediato riferimento, affidandogli la sua vita e il suo ministero. I cardinali che lo circondano sono dei simpatici vecchi un po’ rimbambiti i quali, nell’attesa che l’eletto si decida a dire cosa vuole fare, giocano a carte e a pallavolo, invece di pregare il Signore perché mandi lo Spirito a tutti loro in una così difficile situazione.
Tutto questo è in perfetta armonia con l’idea di Chiesa che ha Nanni Moretti: un’istituzione puramente umana, come una Società per Azioni il cui CdA deve scegliere l’Amministratore Delegato più scaltro o più capace di procurare agli azionisti dei lauti dividendi. Forse nel film non c’è acrimonia, ma sicuramente c’è la convinzione che questa “istituzione umana” è destinata a perire, tanto è vero che il regista – richiesto di un commento alla decisione di Benedetto XVI – ha dichiarato, con quella sufficienza tipica di coloro che si ritengono intelligenti, di non aver nulla da aggiungere perché lui un evento simile lo aveva già previsto nel suo film.
Ma che cosa crede di aver previsto il buon Nanni Moretti? La vicenda, povera e riduttiva, del cardinale francese non ha niente a che vedere con le dimissioni di Papa Ratzinger. Il primo è un pover’uomo senza spessore umano, senza fede e senza vocazione, tanto è vero che non si capisce neppure come sia diventato prete dal momento che, a un certo punto, dichiara che avrebbe voluto fare l’attore; il secondo è un gigante di fede e di dottrina, di umiltà e di libertà interiore, capace di riconoscere i suoi limiti e alieno dal potere. Nanni Moretti non è nuovo a queste trovate cinematografiche che vorrebbero convincere il pubblico che la Chiesa cattolica è prossima alla débacle; anche il film “La Messa è finita” del 1985 (già il titolo era allusivo) rappresentava un giovane prete che – scoraggiato per la mancanza di fede che vedeva intorno a sé – invece di diventare lui la lampada che viene posta in un luogo elevato perché illumini tutti, non trovava niente di meglio da fare che prendere atto della propria impotenza e “fuggire” dal sacerdozio come unica soluzione possibile. Evidentemente in seminario nessuno gli aveva insegnato che sarebbe stato mandato “come un agnello tra i lupi”, circostanza che, invece, Benedetto XVI ha sempre avuto ben presente.
Perché questi cineasti, questi intellettuali cosiddetti “laici” – che si arrogano il diritto di prevedere l’esaurimento della Chiesa per la diserzione dei suoi sacerdoti e trattano i credenti in Cristo con tanta sufficienza e benevola condiscendenza – vogliono parlare di cose che non conoscono perché al di là dei loro limiti razionali?
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