Calendario tradizionale. Giovedì 19 gennaio 2017. Per il Martirologio clicca qui
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Gentili Amici,
restiamo fedeli al nostro impegno nella preghiera di riparazione, sia per i nostri peccati, sia per quanto vediamo con dolore accadere quotidianamente nella Chiesa e nel mondo; in particolare per l’omaggio che troppi pastori sviati rendono in questi giorni agli eretici. Rinnoviamo anche le preghiere affinché il Signore doni Santi Pastori alla Sua Chiesa. Possiamo rileggere, cliccando qui, le modalità della preghiera di riparazione. È prezioso anche l’ausilio del libretto con gli Atti di devozione al Sacro Cuore e le Litanie del Sacro Cuore (clicca qui).
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Per la nostra formazione, proseguiamo nella lettura della Vita di San Romualdo scritta da San Pier Damiani.Il testo potrà anche essere scaricato in formato pdf cliccando qui; in tal modo potrete costituire e conservare la vostra biblioteca di letture di formazione.
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NOTIZIE E AVVISI
– I sacerdoti della Fraternità San Pio X celebrano la Santa Messa in rito antico in diverse città. Per l’elenco completo delle Cappelle in Italia e orari delle celebrazioni, clicca qui.
– Tutte le domeniche e i giorni festivi a Verona si celebra la S. Messa in rito antico alle ore 11.00 nella Rettoria Santa Toscana, in piazza XVI Ottobre n. 27.
– Tutti i sabati e nei giorni delle solennità a Brescia si celebra la S. Messa in rito antico alle ore 18.00 nella chiesa di San Zeno al Foro (piazza Carducci). Alle 17.30, recita del S. Rosario, esposizione del Santissimo Sacramento e benedizione eucaristica.
– Ogni domenica e festa di precetto a Pavia si celebra la S. Messa in rito antico, alle ore 9.30 nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo, in via Luigi Porta (centro storico).
– Nella diocesi di Prato si celebra regolarmente la S. Messa in rito antico in latino, in seguito al Motu Proprio “Summorum Pontificum” del 2007 nelle seguenti chiese: la chiesa dello Spirito Santo a Prato (piazza del Collegio), ogni domenica e festa di precetto ore 17.00; la chiesa di Santa Cristina a Pimonte, ogni domenica ore 10.00; la chiesa di San Martino a Paperino a Prato la prima domenica del mese ore 16.00 e ogni giovedì ore 7.30; la chiesa del Sacro Cuore a Prato (Via Benincasa), tutti i primi venerdì del mese ore 21.00; la Badia di Vaiano, da febbraio a giugno, un sabato al mese. Per il calendario dettagliato clicca qui.
– Ogni domenica e festa di precetto a Firenze, alle ore 11.00 e alle ore 19.00, nella chiesa dei Santi Michele e Gaetano, viene celebrata la Santa Messa in rito antico. Al sabato le celebrazioni sono alle ore 7.30 e 11.00 e nei giorni feriali alle ore 7.30 e 18.30.
– Ogni domenica e festa di precetto a Belluno, alle ore 8.00, nella chiesa di Santo Stefano, viene celebrata la Santa Messa in rito antico.
– In Alto Adige/Sud Tirolo viene celebrata la Santa Messa in rito antico: ogni prima Domenica al mese a Silandro in via Ospedale alle ore 18, ogni terza Domenica al mese a Bolzano in via Weggenstein alle ore 18, ogni quarta Domenica al mese a Bressanone nella chiesa Mariahilf/Zinggen alle ore 18, ogni 8 del mese nella chiesa parrocchiale a Cengles alle ore 17.
– Ogni domenica e festa di precetto a Bergamo, alle ore 9.00 e ogni venerdì alle ore 20,30, nella chiesa della Madonna della Neve, viene celebrata la Santa Messa in rito antico. Al termine della S. Messa del primo venerdì del mese, Adorazione Eucaristica e recita delle Litanie del Sacro Cuore di Gesù. Per essere aggiornati sulle celebrazioni in rito antico, cliccare su https://www.facebook.com/madonnadellanevebergamo/
– Ogni domenica e festa di precetto a San Lorenzo, frazione di Pizzoli (AQ), alle ore 18.00, presso l’Abbazia di Sant’Equizio, viene celebrata la Santa Messa in rito antico.
– Ogni domenica e festa di precetto a Milano, nella chiesa di Santa Maria della Consolazione, in largo Cairoli, viene celebrata alle 10.00 la Santa Messa in Rito ambrosiano antico. Per informazioni:http://messatradizionalemilano.blogspot.it/ .
– Ogni domenica e festa di precetto, a Monza, viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 18.45, nella chiesa delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, via Italia 37. Per informazioni, cliccare “La Messa di sempre – Monza” .
– Ogni primo venerdì del mese, al Priorato Madonna di Loreto, a Rimini-Spadarolo, alle ore 21, Adorazione Eucaristica notturna per riparare le offese e gli oltraggi al Sacro Cuore di Gesù.
– a Firenze, nell’Oratorio di S. Francesco Poverino, Santa Messa domenicale in rito antico alle ore 10 e tutti i venerdì, alle ore 18.30, Preghiera di Riparazione (S. Rosario, Litanie del Sacro Cuore, Atto di riparazione ed altre preci anche per impetrare l’aiuto divino alla Chiesa martire della ferocia islamica). Per informazioni: Dante Pastorelli, dante.pastorelli@virgilio.it, tel. 055.600804.
– Ogni venerdì un gruppo di fedeli si ritrova per la preghiera a Cremona. Per informazioni: Mauro Faverzani – mauro.faverzani@gmail.com
– Ogni primo venerdì del mese viene celebrata la Santa Messa in rito antico alle 19.30 a Modena nella parrocchia dello Spirito Santo in via Fratelli Rosselli. Vi partecipano alcuni aderenti alla Lega di riparazione secondo le intenzioni proposte dalla nostra iniziativa. Ricordiamo che nella medesima chiesa viene celebrata ogni domenica alle 17 la S. Messa (dal 2007) e, a richiesta, anche gli altri sacramenti.
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– Se altri sacerdoti fossero disposti a fare lo stesso nella zona in cui operano, ce lo facciano sapere e provvederemo a darne comunicazione.
– Ricordiamo che è possibile anche il semplice incontro tra laici che preghino secondo le intenzioni della Lega come già indicato. Anche in questo caso, sarebbe utile segnalarcelo in modo da poterne dare comunicazione. Rimane il fatto che lo strumento più efficace per la diffusione è il passaparola, che sarebbe meglio chiamare apostolato.
– Nei limiti delle nostre forze, siamo a disposizione per incontrare gli amici che intendono impegnarsi in questa impresa. Per questo, si faccia riferimento all’indirizzo di posta elettronica della Lega di riparazione, legariparazione@email.it , e troveremo il modo e il tempo per farlo.
Paolo Deotto – Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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LETTURA DI FORMAZIONE
Vita di San Romualdo
(Ravenna, 952 ca. – Fabriano, 19 giugno 1027. Fondatore dell’eremo di Camaldoli)
scritta da San Pier Damiani – estratti
Per scaricare il testo in formato pdf, clicca qui
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10. Romualdo difende i diritti di un povero contadino, suo amico.
Sempre durante il suo soggiorno in Catalogna, Romualdo aveva stretto familiarità con un agricoltore, che a volte gli fabbricava gli attrezzi necessari per la cella e, in caso di bisogno pur nella sua povertà, gli forniva con gioia il necessario, ricco com’era di carità, più che di beni.
Il contadino aveva una vacca, che un conte superbo e borioso fece rapire dai suoi servi, con barbara prepotenza. Poi, con ingordigia, se ne fece preparare la carne per il pranzo. Il contadino si recò in fretta alla cella di Romualdo, con grida strazianti gli fece conoscere la sua disgrazia, lamentandosi che la speranza sua e della sua famiglia gli era stata portata via. San Romualdo inviò subito dal conte un suo messaggero e gli fece chiedere, con umili suppliche, di restituire al povero il suo animale. Ma il conte, gradasso e ostinato, si fece beffe di quelle preghiere e affermò: «Questo stesso giorno intendo assaggiare il sapore dei grassi lombi di quella vacca!».
All’ora di pranzo, fu apparecchiata la mensa e fu servita la carne della vacca. Ma ormai si era avvicinata l’esecuzione del castigo divino. Proprio mentre cominciava a mangiare, il conte staccò un boccone dalla lombata e se lo mise in bocca. Questo gli rimase attaccato alla gola e, nonostante gli sforzi, egli non riuscì né a ingerirlo né a sputarlo.
Così, essendo otturate le vie respiratorie, finì di morte terribile sotto gli occhi dei suoi. Ciò di cui avrebbe voluto saziarsi contro il desiderio del servo di Dio, per giusta sentenza di Dio gli fece perdere la vita carnale, ancora a digiuno.
11. Un conte si confessa da Romualdo.
In quelle terre c’era anche un altro conte, di nome Olibano, sotto la cui giurisdizione era anche il monastero dell’abate Guarino. Sebbene elevato a un’altissima dignità terrena, egli era gravato dal peso di molti peccati. Un giorno andò a visitare Romualdo. Lasciò fuori della cella le altre persone e prese a narrargli solo a solo, a mo’ di confessione, tutta la serie dei suoi trascorsi. Romualdo ascoltò tutto e gli rispose: «Per te non c’è altro modo di essere salvato che lasciare il mondo ed entrare in un monastero».
Lì per lì il conte si sentì turbato e disse «Gli uomini spirituali che mi conoscono bene sono di tutt’altro parere. Non mi avrebbero mai consigliato qualcosa di tanto insopportabile». Così, fece venire i vescovi e gli abati che l’avevano accompagnato e, riunitili, cominciò a chiedere se le cose stessero davvero come attestava il servo di Dio. Tutti, a una sola voce, confermarono il parere di Romualdo e si scusarono di non averne mai parlato fino allora al conte perché impauriti. Il conte allora li fece allontanare tutti e, in gran segreto, stabilì con Romualdo di recarsi a Montecassino con la scusa di un pellegrinaggio e di porsi irrevocabilmente al servizio di Dio nel monastero di S. Benedetto.
12. Sergio, dopo il suo esodo dal peccato, vuole tornare alla schiavitù di prima.
Nel frattempo Sergio, padre di Romualdo, si era fatto monaco. Ma, poco tempo dopo, istigato dal diavolo, si era pentito della sua conversione e stava cercando di ritornare in Egitto. I monaci del cenobio di S. Severo, non lontano dalla città di Ravenna, dove Sergio abitava – sebbene con il corpo, ma non con il cuore – trovarono il modo di informare Romualdo tramite un messaggero.
Egli rimase scosso dal sinistro annuncio e giudicò necessario che fossero l’abate Guarino e Giovanni Gradenigo ad accompagnare il conte nel suo cammino di conversione, mentre lui correrebbe in aiuto di suo padre che andava verso la perdizione. Il doge Pietro aveva già concluso felicemente i suoi giorni. Pertanto, Romualdo affidava il conte a quei due e raccomandava più in particolare a Giovanni, di cui era superiore: «Per obbedienza, non ti separare mai dal conte, anche se Guarino si dovesse allontanare di là».
[….]
14. Sergio vede lo Spirito santo.
Sergio, ritornato finalmente a sano consiglio, progrediva speditamente nella vita monastica e si correggeva in tutto ciò che prima aveva trascurato con il suo voler tornare indietro. Tra l’altro ora aveva l’abitudine di sostare spesso davanti a un’immagine del Salvatore e, quando era lì solo, pregava con lacrime abbondanti e grande compunzione del cuore.
Un giorno si era soffermato in orazione con un’attenzione maggiore del solito, quand’ecco una cosa nuova e sconosciuta ai nostri giorni. Ad un tratto, non saprei sotto quale aspetto, gli apparve lo Spirito Santo. Sergio gli chiese: «Chi sei?», ed egli gli rispose chiaramente: «Sono lo Spirito Santo». E di colpo, come dirigendosi altrove, si sottrasse al suo sguardo.
Rapito in estasi, ardendo del fuoco di colui che aveva visto, Sergio prese subito a rincorrerlo velocemente nel chiostro del monastero. Ai fratelli che si trovavano lì chiedeva con intenso fervore: «Dove è andato lo Spirito Santo?». Quelli pensarono che fosse impazzito e lo sgridavano con durezza. Ma Sergio affermava di aver visto, senza possibilità di dubbio, lo Spirito Santo e che questi era passato visibilmente davanti ai suoi occhi.
Subito dopo, colpito da indebolimento dovette mettersi a letto e, nel giro di pochi giorni, chiuse felicemente la sua vita. Ciò senz’altro è una conferma delle parole che Dio disse a Mosè «Un uomo non potrà vedermi e vivere» [Esodo 33,20]. E Daniele quando riferisce di aver contemplato non Dio, ma una visione di Dio, aggiunge: «Rimasi sfinito e mi sentii male per vari giorni» [Daniele 8,27]. Ecco, dunque Sergio, dopo aver visto la vita eterna, cioè Dio, in breve tempo venne meno alla vita temporale.
15. Giovanni Gradenigo va a Montecassino; si stabilisce nell’eremo accanto al monastero.
Il conte Olibano, intanto, lasciò i suoi beni al figlio. Poi, fece caricare di abbondanti ricchezze quindici bestie da soma e, accompagnato da Guarino, da Giovanni e dallo stesso Marino, si recò al monastero di S. Benedetto. Qui salutò e congedò le persone che erano venute con lui e che si affliggevano con molti lamenti e con amare lacrime, poiché fino all’ultimo non avevano sospettato nulla della sua decisione.
Poco tempo dopo, Marino si recò in Puglia e vi abitò nella solitudine. Ma, ben presto, fu ucciso dai pirati Saraceni.
Ancora dopo un breve periodo, Guarino che era solito pellegrinare per motivi di preghiera e Giovanni, spinto dall’esempio di lui a imitarne quella pratica religiosa decisero concordemente di andare a Gerusalemme. Olibano appena lo seppe, rammaricandosi, si mise a supplicarli piamente e piangendo di non andarsene così, contro la parola data, ma di assisterlo nel servizio di Dio, come era stato ordinato dal beato Romualdo. E aggiungeva: «Almeno tu, Giovanni, ricordati che il tuo maestro mi ha affidato di buon cuore alla tua tutela e ti ha parlato esplicitamente di disobbedienza, qualora tu te ne andassi».
Quelli però insistettero con ostinazione nel loro proposito, lasciarono Olibano e si avviarono in pellegrinaggio. Stavano scendendo dal monte ed erano ormai verso la pianura, quando si fermarono a discutere di cose riguardanti quella circostanza. Nel frattempo il cavallo di Guarino, infuriato, si impennò di scatto e nonostante i tentativi del suo cavaliere, si voltò indietro e con il ferro dello zoccolo colpì Giovanni spezzandogli la tibia.
Gettatosi subito a terra per il troppo dolore, costui si ricordò, ormai tardi, del comando del suo maestro e confessò apertamente: «E’ tutto colpa mia; sono stato perfido e disobbediente». Dalla frattura di una gamba, comprese di aver peccato infrangendo il suo impegno. Lui, dotato di ragione, senza badare alla propria incolumità, era stato disobbediente al maestro e ora un animale privo di ragione non aveva saputo obbedire al suo cavaliere. Allora tornò indietro, chiese di costruirsi una cella vicino al monastero, e rimase lì per una trentina d’anni, ossia finché visse, conducendo vita eremitica.
Ci furono in lui molta carità, umiltà ammirevole, astinenza assai rigorosa, sì, ma anche discreta, tanto che perfino nel monastero nessuno avrebbe saputo dire che genere di digiuno fosse praticato dal sant’uomo.
Tra le altre virtù, aveva in forte antipatia il vizio della diffamazione: ogni volta che qualcuno apriva bocca alla maldicenza, questa immediatamente si rivolgeva contro lui stesso, come quando una freccia, colpito un duro sasso, rimbalza indietro.
Dopo la sua morte, Dio compì alcuni miracoli per sua intercessione.
16. Romualdo, eremita presso Classe, vince la paura del demonio.
Dopo aver provveduto alla correzione del padre, si era fabbricata una cella nella palude di Classe, in località Ponte di Pietro e lì abitava. Ma dopo un certo periodo, non per paura di ammalarsi o per il fastidio del fetore, ma per non indebolirsi e dover diminuire il rigore dell’astinenza, si trasferì in una tenuta di Classe, presso la chiesa di S. Martino in Selva.
Qui, una volta, stava cantando compieta, e siccome quel luogo un tempo era servito da cimitero, il suo pensiero, come spesso succede, ad un tratto si soffermò su questo fatto. Le fantasticherie più orride gli invasero ben presto l’animo. E mentre la sua mente andava così rimuginando, fecero irruzione nella sua cella degli spiriti maligni che subito lo fecero stramazzare a terra, lo straziarono di botte, vibrarono colpi durissimi sulle sue membra esauste per il continuo digiunare. E in quello scatenarsi di percosse, Romualdo, preso dal pensiero della grazia divina, esclamò: «Caro Gesù, amato Gesù, perché mi hai abbandonato? Mi hai forse consegnato interamente alle mani dei nemici?».
A queste parole, tutti gli spiriti malvagi furono messi in fuga dalla potenza divina. E immediatamente il petto di Romualdo si infiammò di una compunzione così grande dell’amore divino che il suo cuore, come cera, si struggeva in lacrime e, nonostante il suo corpo fosse piagato da tutti quei colpi, non sentiva alcun dolore. Subito dopo, si rialzò da terra sano e vigoroso e, sebbene le sue ferite ancora sanguinassero, riprese il canto del salmo dal versetto stesso in cui lo aveva interrotto. Nel momento in cui i demoni erano entrati, gli aveva sbattuto sulla fronte la finestra della cella. In seguito gli si formò una cicatrice ben visibile, che fu, in tutta la vita del santo, una dimostrazione evidente della ferita subita.