“EUTANASIA: DIRITTO O DELITTO?”, DI MARIO PALMARO – recensione di Fabrizio Cannone

di Fabrizio Cannone

fonte: Corrispondenza Romana


 

Il filosofo del diritto Mario Palmaro pubblica un importante saggio (Eutanasia: diritto o delitto? Il conflitto tra i principi di autonomia e di indisponibilità della vita umana, Giappichelli editore, Torino 2012, pp. 116, € 13), in cui con un linguaggio asciutto e preciso, l’Autore esamina il problema dell’eutanasia e della sua legalizzazione, da un punto di vista giuridico.

lpeSi nota fin da subito, e questo non è affatto un limite, l’appartenenza dello studioso al campo dei cultori del diritto naturale, che cercano dei punti fermi nella realtà, per stabilire il loro discorso e le loro analisi. D’altra parte è innegabile che Palmaro conosca a fondo l’oggetto della sua trattazione e i numerosi rimandi bibliografici, sono non meri riferimenti di contorno, ma elementi imprescindibili di una logica tanto ferrea, quanto chiaramente documentata, anche nelle fonti “avverse”. Eccellente appare la capacità di sintesi del filosofo che presenta in poche pagine (cf. pp. 50-58) una carrellata – ci si passi il termine poco tecnico – dei principali argomenti sia a favore che contrari alla legalizzazione dell’eutanasia. Anche gli argomenti favorevoli all’inumana pratica vengono esposti non in modo riduttivo o semplificato, ma chiaro e corretto.

Proprio per ciò risulta più evidente la superiorità logica degli argomenti che militano in favore dell’indisponibilità e della sacralità della vita umana innocente. Così i tanto sbandierati diritti pro-eutanasia, come il diritto a morire (come e quando si vuole), il diritto all’autodeterminazione e il diritto a morire «con dignità», vengono ben confutati da Palmaro mostrando ciò che essi contengono di assurdo: l’idea implicita di ineguaglianza tra i cittadini, l’idea che il dolore sia un “male assoluto”, l’idea che ci sia un primato della società e dei suoi costi in rapporto al rispetto di un singolo suo individuo, l’idea che la maggioranza (ammesso che essa esista sul tema dell’eutanasia) possa determinare la verità morale, l’idea che in una società laica e democratica ognuno possa far ciò che vuole, l’idea che sia lecito uccidere l’innocente quando lo si fa per pietà…

Oltre a questi pseudo-argomenti, prendiamo, a contrario, uno solo dei ragionamenti anti-eutanasia svolti da Palmaro, ossia quello della volontà del malato di morire. Nota il filosofo: «Se (questa volontà) è formulata prima della malattia, rimane il dubbio che essa sia ancora valida quando il soggetto ha perso conoscenza; se invece è contestuale alla sofferenza, nessuno può garantire che essa sia lucida e libera, proprio per la morsa che la sofferenza stringe intorno alla psiche del sofferente» (pp. 46-47). Ecco così volatilizzato, il principale argomento dei fautori della “dolce morte”. Di sicuro il criterio odierno dell’autonomia assoluta dell’individuo è fortemente condizionato da fenomeni (negativi) come la secolarizzazione del pensiero e dello stesso Diritto positivo, i quali hanno evaporato la «concezione oggettiva della morale» (p. 82), tipica dei secoli cristiani, ma già presente, ad un grado di minor sviluppo, nella tradizione classica del diritto romano.

Si è così giunti alle recenti invenzioni, sulla scorta della capziosa lezione di Kelsen, del Diritto mite (Zagrebelsky) o del Diritto liquido (ben criticato da Bauman), i quali sostengono un sistema sociale libertario avente un carattere «essenzialmente autodistruttivo» (p. 96). Si capisce, meditando bene il testo di Palmaro, che non si tratta solo di salvare vite umane innocenti, ma altresì di salvare quel che resta di una civiltà storica che si costruì attorno al Vangelo e diede frutti meravigliosi anche in ordine al retto pensiero e alla giustizia sociale.

 

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