di Don Marcello Stanzione
.
La Chiesa festeggia san Pietro Favre il primo agosto; egli è uno dei primi compagni di Sant’Ignazio di Loyola. Nacque a Villaret, nella Savoia, il 13 aprile 1506 da povera famiglia, ma volle studiare e dopo alcuni anni andò in un collegio alla Sorbona di Parigi, assegnato nella stessa stanza degli studenti Ignazio e Francesco Saverio. Come Francesco, fece gli esercizi spirituali e fu ordinato sacerdote il 30 maggio 1534. Il 15 agosto dello stesso anno celebrò la Messa nella cappella di Montmartre, durante la quale i primi sette compagni di Sant’Ignazio pronunciarono i voti. A Roma insegnò alla Sapienza Sacra Scrittura e in seguito dovette confutare le dottrine luterane, predicate dall’agostiniano Agostino Mainardi. Nel 1541, in Germania, assistette ai colloqui di Worms e partecipò alla Dieta di Ratisbona, presente Carlo V. Andò poi in Spagna, dove predicò in diverse città, in Belgio, in Portogallo. Da qui fu richiamato per recarsi come teologo al Concilio di Trento, ma giunto a Roma gravemente ammalato, morì il primo agosto 1546. Fu beatificato da Pio IX il 5 settembre 1872 sulla base di due processi istruiti nel 1626 e nel 1869. Papa Francesco lo ha proclamato santo il 17 dicembre 2013 con una canonizzazione equipollente.
Il 25 dicembre 1542 trovandosi a Magonza così Favre scrive nel suo memoriale:
“Nella notte santissima in cui nacque Gesù nostro Signore, mentre mi trovavo in cattedrale per il Mattutino e recitavo l’ufficio davanti alle reliquie, provai una grande devozione con molte lacrime dal principio alla fine. Mi hanno profondamente penetrato specie quelle parole del profeta Isaia che si leggono nel primo notturno. Mi furono donati grandi desideri di continuare ad aspirare, con animo retto, a nascere da Dio e non da volontà di carne, né da volontà dell’uomo. Desiderai pure, con conoscenza di causa e con cuore tutto compreso, che da quella notte nascessero dei buoni e sicuri rimedi contro i mali del nostro tempo. Gustai parecchio, inoltre, il pensiero di nascere anch’io finalmente ad ogni sorta di opere buone, utili alla mia salvezza, all’onore di Dio e al bene del prossimo. Ciò avrebbe se il Signore mi desse un’ ispirazione che fosse per me interiore sorgente e mezzo per dedicarmi e orientarmi tutto a ciascuna di tali opere e per imitare così colui che è stato concepito, è nato ed è morto per ciascuno di noi. E’ nello spirito che noi dobbiamo passare il resto della nostra vita, agendo in tutto il servizio del prossimo a la lode di Dio.
Già abbastanza nel passato, anzi fin troppo, siamo vissuti per noi e per i nostri comodi di questo mondo, come se fossimo nati solo per noi stessi. Tre elementi concorsero alla nostra nascita corporea: primo, la realtà materiale dei semi da cui siamo usciti; secondo la volontà e il desiderio carnale di coloro che ci generarono; terzo, il desiderio dei nostri genitori che volevano bambini perché fossero dei figli, destinati ad arricchirsi in questo mondo. Egualmente colui che vuole rinascere deve uscire in modo da non lasciarsi più trascinare nella china della natura corrotta che ha ricevuta dal sangue; e smettere di farsi condurre da attrattive carnali, da motivazioni umane e terrene. Da questi frutti si riconosce la vera nascita di cui Dio è l’autore. Credo che tutto ciò che ho ricevuto in queste feste natalizie, si riassuma come in una natività spirituale e cioè in una preoccupazione nel ricercare i segni dell’amor di Dio, di Cristo e delle cose che li riguardano, per cui in futuro tenda a meditare di più, desiderare maggiormente predicare e praticare con cuore più generoso ciò che Dio vuole.
Fino ad allora mi preoccupavo troppo dei sentimenti, i quali possono essere intrepretati come segni che si è amati da Dio e dai suoi santi. Ciò che più mi interessava era capire le loro disposizioni nei miei riguardi. In questo non vi è certo nulla di male, è anzi la prima tappa per quelli che camminano verso Dio, o meglio cercano di conciliarsi con Dio. Infatti non è da supporre, e tanto meno da tenere come fede certa, secondo un’opinione errata, che nel principio della nostra conversione e meno ancora prima di essa, Dio, il suo Cristo e tutta la corte del cielo non abbiano per noi altro che un’immensa indulgenza, senza la minima rimostranza. Anche se Dio ci risparmia le pene eterne che minacciava, non perciò se ne deve dedurre che nessun’altra prova espiatrice ci minacci più.
Non ha detto Cristo di Paolo, scelto per essere strumento di elezione: ‘Gli mostrerò quanto egli debba soffrire per il mio nome’?”