La crisi delle vocazioni e la pastorale dei nostri giorni.
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Apologetica – rubrica quindicinale di Corrado Gnerre
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La crisi delle vocazioni e la pastorale dei nostri giorni
di Corrado Gnerre
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Come si può risolvere la crisi delle vocazioni senza riproporre l’ esclusivismo salvifico del Cattolicesimo? Faccio un esempio. Sono un giovane e penso di avere la vocazione al sacerdozio. So che si tratterà di una vita con numerose rinunce. Poi mi fanno capire che in realtà tutti si salvano indipendentemente dalla religione che si professa. E’ naturale che qualche dubbio mi venga. Ma chi me lo fa fare?
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Nel mese di febbraio scorso papa Francesco, parlando a frati e suore, si lamentò della crisi delle vocazioni: seminari vuoti, conventi “pieni” sì, ma di anziani. Una desolazione.
Tempo fa andai a visitare un famoso santuario mariano delle mie parti. Usciva la Messa, si concelebrava. Sull’altare, ai lati, due sacerdoti certamente non al di sotto degli 85/90 che visibilmente mostravano tutta la loro difficoltà e al centro a far da sacerdote giovane e pimpante uno che sicuramente era sopra i 70. Ho pensato: “Ecco la primavera conciliare!” Questi sono i fatti… e i frutti! Che poi sia non crisi di vocazioni, ma di risposte alla vocazione, non è che cambia molto le cose. Sant’Ignazio di Loyola, che di vocazioni se ne intendeva, tanto che nei suoi Esercizi spirituali ha inserito ben diciassette punti per riflettere seriamente sulla scelta del proprio stato, affermava addirittura che un maschio su tre fosse chiamato al sacerdozio. Certo, non sappiamo se le cose stiano effettivamente così; resta il fatto che siamo su cifre molto, ma molto lontane dalle attuali. Sta prendendo piede la figura del parroco globe-trotter: alle 9 Messa nella parrocchia A, alle 10 in quella B e alle 11.30 in quella C. Che la D e la E si arrangino! Eh già, perché ormai ci sono molte parrocchie che il sacerdote lo vedono con il cannocchiale. C’è il diacono permanente Tizio e il diacono permanente Caio che organizzano le cosiddette “paraliturgie” (termine che io abolirei), le quali, con tutto il rispetto, stanno alla Messa come patate lesse e scondite ad un bel piatto di spaghetti alla carbonara. Paragone forse irriverente, ma è per rendere un’idea che in realtà non si può rendere, perché solo la Messa ha un valore infinito; solo nella Messa è Dio che si offre in sacrificio. Se mettessimo su un piatto della bilancia tutte le preghiere di questo mondo e su un altro una sola Messa, la bilancia sicuramente penderebbe dalla parte della Messa.
Ma torniamo al dolore del Papa. Il Santo Padre in quel discorso arrivò a dire che tutto questo lo angoscia e che perfino lo fa tentare nella speranza. Ci crediamo, perché è indubbio che sia così. Ma non posso non chiedermi: la sua impostazione pastorale come potrebbe risolvere la situazione? A me sembra che è proprio questa impostazione (che dura da troppo tempo e che Lui sta accentuando) che abbia portato a questi risultati.
Si fanno convegni, piani pastorali, incontri e giornate di preghiera; tutte cose buone…anzi ottime (cosa c’è di più importante della preghiera?), ma si rivelano come fatiche di Sisifo, cioè inutili; e questo perché si dimentica una cosa e cioè che oggi non si sottolinea abbastanza: l’esclusivismo salvifico del Cattolicesimo. Cioè il fatto che la salvezza è solo nella Chiesa cattolica; e che tutti coloro che non sono cattolici non per propria colpa possono sì salvarsi ma non grazie, malgrado le loro false religioni; sempre che si sforzino di aderire alla coscienza naturale. In questo modo, solo in questo modo, pur non sapendolo, costoro entrano a far parte della Chiesa (che è l’unica che salva) aderendo alla sua anima, anche se non al suo corpo.
Ma questo lo si dice chiaramente? O non è vero piuttosto che si sta radicando una convinzione secondo la quale, per la salvezza eterna, una religione vale l’altra? E devo dire (ovviamente con rispetto ma anche con rammarico) che il Santo Padre da questo punto di vista, con certe sue affermazioni, sembra confermare ciò che ormai tutti pensano e che io sono solito definire “sindrome dell’Anas”: ogni strada, se ben curata, è buona per arrivare a destinazione. Fuor di metafora: ogni religione è buona per potersi salvare.
E allora: come si può risolvere la crisi delle vocazioni senza riproporre questo esclusivismo salvifico? Faccio un esempio. Sono un giovane e penso di avere la vocazione al sacerdozio. So che si tratterà di una vita con numerose rinunce. Poi mi fanno capire che in realtà tutti si salvano indipendentemente dalla religione che si professa. E’ naturale che qualche dubbio mi venga. Ma chi me lo fa fare? Se ogni religione è buona, a che serve il sacerdozio cattolico? Si potrebbe obiettare: nessuno deve credersi indispensabile. Verissimo. Ma ciò vale per la propria persona, non per la funzione che si ricopre. Mi spiego. Don Tizio deve essere sì consapevole della sua inutilità (siamo tutti “servi inutili”), ma non può ritenere inutile – anzi – il suo sacerdozio. Lo ripeto: l’inutilità vale per la propria persona non per il ruolo che si ricopre nella Chiesa. D’altronde la bellezza del sacerdozio cattolico sta proprio nel portare a tutti la Grazia per donare il Paradiso. Si leggano queste bellissime parole del Santo Curato d’Ars: “Quando vedete un sacerdote, dovete dire: ‘Ecco colui che mi ha reso figlio di Dio e mi ha aperto il cielo per mezzo del santo Battesimo, colui che mi ha purificato dopo il peccato, colui che nutre la mia anima.’ Il sacerdote è per voi come una madre, come una nutrice per il neonato: ella gli dà da mangiare e il bimbo non deve far altro che aprire la bocca. La madre dice al suo bimbo: ‘Tieni, piccolo mio, mangia’. Il sacerdote vi dice: ‘Prendete e mangiate, ecco il Corpo di Gesù Cristo. Possa custodirvi e condurvi alla vita eterna’. Che belle parole! Il sacerdote possiede le chiavi dei tesori del cielo: è lui ad aprire la porta; egli è l’economo di Dio, l’amministrazione dei suoi beni.”
Tolto questo, che rimane? Su cosa si fonderà l’attrazione di un giovane? Su altro che non costituisce l’essenza del sacerdozio…l’assistenza sociale? Ma, diciamolo francamente, non occorre essere sacerdote per poterla fare.
12 commenti su “Apologetica. Rubrica quindicinale di Corrado Gnerre”
Si è persa quasi completamente la consapevolezza di ciò che è veramente la religione cattolica, di cosa sia la Chiesa, di cosa siano le mani consacrate di un Sacerdote (indipendentemente dalla dignità di chi le possiede). Certo il CVII e soprattutto l’attuale Pontefice non contribuiscono a questa riscoperta… Giusta la considerazione del dott. Gnerre: ma, viste le condizioni in cui versa la Chiesa, le sciagurate esortazioni e dichiarazioni papali e la mentalità corrente, ad un giovane ipotetico Sacerdote, chi glielo fa fare???
Non credo sia mai superfluo ricordare ciò che diceva Padre Pio: se la gente sapesse cosa davvero è la S.Messa, davanti alle chiese ci sarebbero i Carabinieri per regolare l’afflusso!
Laudetur Jesus Christus
-Tolto questo, che rimane? Su cosa si fonderà l’attrazione di un giovane? Su altro che non costituisce l’essenza del sacerdozio…l’assistenza sociale? Ma, diciamolo francamente, non occorre essere sacerdote per poterla fare.- Rimane la possibilità di fare carriera e la sicurezza economica. E poi diciamolo chiaro chi oggi entra in seminario rischia di perderla la fede non di approfondirla o di fare della sequela a Cristo la propria regola di vita.
Poi come dice l’articolo successivo se non ci sono figli non possono esserci sacerdoti.
Certamente è un “classico” l’associazione tra famiglie numerose e Vocazioni (maschili e femminili)
Grazie mille per questa riflessione. Io sono diventato prete a 34 anni perchè per 30 anni ho avuto una figura di parroco che non era un gran predicatore, non era un gran organizzatore, non era pastoralista, non ha mai programmato la parrocchia in nessun contesto. Era semplicemete un prete che vedevo inginocchiato davanti al tabernacolo con il breviario e il rosario in mano, era semplicemente un prete vestito con la talare anche con 40 gradi e non “prete camaleonte”, era semplicemente un prete che quando celebrava la S. Messa sembrava che andasse via con gli Angeli, era semplicemente prete perchè eri sicuro di trovarlo al confessionale e quando alzava la mano per assolvere si sentiva la pace nel cuore. Era semplicemente prete. Prete santo. Mi diceva sempre che la prima e unica pastorale la si fa’ con le ginocchia e non con i discorsi. Se Cristo un giorno, improvvisamente scendesse sulla terra, sicuramente i preti li troverebbe in riunione a discutere dei piani pastorali.
Come ha ragione!
Caro don Marti, è proprio questo suo parroco il ritratto del prete di cui ho tanta nostalgia. Sia anche lei come lui: si faccia santo!
Signore Gesù ti ringrazio per averci donato tanti sacerdoti santi … come don Marti e il suo parroco. Proteggili Signore … abbiamo bisogno di loro, oggi più che mai. Carissimo don Marti, anch’io da piccolo (molti anni fa) vedevo spesso il mio amato parroco davanti al tabernacolo … è il ricordo più bello che ho di lui … Un sacerdote in ginocchio davanti al tabernacolo è la testimonianza più genuina e più forte della fede in Gesù Cristo Nostro Signore … Pregherò per lei la prossima volta che mi inginocchierò davanti al nostro amatissimo Gesù.
Grazie Don Marti. Mi ha ricordato il mio vecchio Parroco, dal quale ricevetti anche la Prima Comunione. Uomo semplice, di campagna, che quando celebrava la Santa Messa si elevava al punto da sembrare un altro. Quando poi prendeva in mano il Santissimo nell’ostensorio per le processioni o durante le adorazioni, lo faceva con la solennità di un Papa (di allora, ovviamente) e l’emozione di un bambino. Preghi, preghi sempre, sia di esempio, e preghi anche un po’ per noi, cattolici smarriti. La ricambieremo.
Riprendo le parole di Tonietta: caro don Marti sia anche lei come il prete di cui ha parlato e..si faccia santo! Ne abbiamo tanto bisogno
di sacerdoti così. Mandaci Padre tanti e santi sacerdoti!. Amen. Fulvia
A me pare di ricordare di aver letto in diversi articoli disponibili su siti internet, che il tanto vituperato Pontificato di Benedetto XVI ha portato un aumento vertiginoso delle vocazioni negli Stati Uniti dopo un lunghissimo periodo di “vacche magre” di iscrizioni nei seminari statunitensi. Eh si che Benedetto veniva sempre considerato “distante” dal popolo e troppo intellettuale…..Eh si infatti ha poi affascinato uno lontano come Franco Califano che si voleva confessare con Lui ma che poi “ripiego’ ” su un suo amico Sacerdote, salvando quindi l’anima poco prima di morire…
Sto proprio leggendo la vita del Santo Curato D’Ars in questi giorni. Ebbene guardano al modello che è S. Giovanni Maria Vianney proposto come esempio da imitare nell’anno sacerdotale proposto dal Santo Padre Papa Benedetto XVI, si può constatare :
– la sua istruzione religiosa, a cui era stato avviato dalla madre;
– l’esempio di Don Balley, che viveva con l’anima il suo ministero sacerdotale, il quale ha fatto amare al Santo Curato d’Ars la S. Messa, la S. Eucaristia, Cristo stesso. Da questo amore per Dio è partito poi il suo impegno di amore per la salvezza per le anime. Oggi s’insegna il contrario: ama il prossimo per amare Dio. E’ vero il contrario perchè Gesù nel Vangelo dice “amatevi come Io vi ho amato”. Cioè da Me, che sono il modello e non da voi, che siete pieni di peccato e di miseria e amate con la solidarietà umana, che è frutto di desideri umani e non dello Spirito Santo. “Ama Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e tutta la mente”, poi sarai in grado di amare il prossimo…
Infatti la parola “Solidarietà”, carissimo, è la mistificazione massonica di “Carità”.
Ho già scritto che Mike Bongiorno, una ventina d’anni fa, ha ripetuto per un numero imprecisato di volte “Non si dice carità: si dice solidarietà”. Il perfetto massone non ama nessuno: si limita a “perfezionare la condizione umana”, preferibilmente di gente lontana ed estranea