“Il miracolo della Chiesa è di sopravvivere ogni domenica a milioni di pessime omelie”.
Joseph Ratzinger
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di Carla D’Agostino Ungaretti
Citando questo famoso aforisma, pronunciato da Benedetto XVI quando era ancora il Card. Ratzinger e venato da quel sottile umorismo che è tipico degli uomini geniali, la vostra amica Carla, cattolica “bambina”, replicò tempo fa agli attacchi dei suoi amici sia laicisti che cattolici “adulti” i quali – dopo aver criticato l’immagine di Dio proposta dall’Antico Testamento – se la prendevano stavolta con le “malefatte” storiche della Chiesa e dei Papi, per concludere sostenendo che, dopotutto, non c’ è poi molta differenza tra il l’intollerante dogmatismo dell’Islam e quello praticato dalla Chiesa nei secoli passati, cessato solo grazie all’irruzione della secolarizzazione nella storia occidentale che ha “impedito ai preti di fare altri danni” e che, forse, tra qualche secolo non esisteranno più né Islam né Chiesa.
La vostra amica non intende certo, in questa riflessione, addentrarsi in dotte disquisizioni teologiche (soprattutto per quanto riguarda il futuro dell’Islam) per le quali autori ben più autorevoli ed esperti di lei hanno versato fiumi di inchiostro ma, quando nelle conversazioni tra amici si incappa in questi argomenti, ella non riesce a tacere e parte in difesa della sua Mater et Magistra, anche se di solito non varrebbe la pena di discutere, perché notoriamente non c’è peggiore sordo di chi non vuol sentire. Ma ella spera sempre che il Signore le metta in bocca le parole giuste per gettare almeno un’ombra di dubbio in qualche cuore indurito.
Il motivo fondamentale posto alla base dell’esistenza della Chiesa e della sua autenticità è di una chiarezza lapalissiana ed è enunciato nel cap. 6 del Vangelo secondo Matteo: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno sopra di essa“. Duemila anni di storia hanno confermato in pieno la veridicità delle parole di Gesù. In questo lungo periodo la Chiesa di Cristo ha attraversato crisi e tempeste di ogni genere ma, a differenza di tante istituzioni puramente umane (monarchie, regimi, tirannidi e dittature di vario colore che sono finiti travolti dalla storia) essa è ancora lì, a dimostrazione che deve godere di un carisma speciale non accordato agli altri[1]. E, soprattutto, quella guidata dal Sommo Pontefice è l’unica comunità cristiana, che dopo 2000 anni possa vantare, a sostegno della sua autenticità, una discendenza diretta da Cristo e dagli Apostoli, a differenza degli ortodossi (che si sono separati dalla vera Chiesa, non riconoscendo il primato di Pietro), dei protestanti e degli anglicani, che possono risalire al massimo fino a Lutero e a Enrico VIII vissuti entrambi nel XVI secolo.
Ma oggigiorno è molto di moda parlar male della Chiesa cattolica trasvolando, dall’indegnità di alcuni preti, a tutti i privilegi fiscali di cui essa ingiustamente godrebbe, alle sue molte ricchezze. La prima accusa, purtroppo, si è rivelata fondata in alcuni casi, anche se in numero molto inferiore a quello denunciato da certa stampa internazionale e il Papa, in proposito, ha fatto sentire forte e chiara la sua voce di condanna dei colpevoli, senza però dimenticare – come fanno volentieri i laicisti – la misericordia per i peccatori pentiti. Quanto agli altri argomenti, non dobbiamo farci ingannare dallo splendore artistico delle innumerevoli chiese e cattedrali d’Europa: molte di queste ultime, in particolare, furono erette nel Medioevo con la collaborazione gratuita e spontanea delle popolazioni. Bisogna poi ricordare che la Chiesa non riscuote gabelle né tasse, ma è sempre vissuta di lasciti e donazioni, non ha mai gestito imprese industriali produttrici di ricchezza e quando ha tentato di compiere operazioni finanziarie ha sempre finito per perdere denaro invece di guadagnarne, come hanno dimostrato alcune cronache degli ultimi anni.
Eppure molti laicisti non esitano a ricordare ai cattolici “bambini” che perfino S. Ambrogio doveva nutrire scarsa stima per la Chiesa dei suoi tempi, dato che in un suo scritto le attribuì il pittoresco titolo di “casta meretrix“. I più saccenti, poi, si divertono un mondo a calcare l’accento più sul sostantivo che sull’attributo, dimenticando (o forse ignorando) che la Chiesa, come tale, non è peccatrice e che tutte le antiche professioni di fede la chiamano santa.
Solo Ambrogio, Dottore della Chiesa oltre che uomo di genio e Santo, poteva permettersi di coniare questo ossimoro così paradossale (e anche spiritoso) che ha attraversato i secoli, paragonando la Chiesa a Raab, la prostituta di Gerico che nel Vangelo secondo Matteo (1,5) meritò addirittura di entrare nella genealogia del Cristo. Infatti, Giosuè risparmiò lei e tutti coloro che ella aveva accolto nella sua casa dallo sterminio che aveva riservato a tutti gli altri abitanti di Gerico, perché ella aveva aiutato Israele nascondendo in casa sua gli esploratori (o spie) da lui inviati (Gs 6). Oggi si parlerebbe probabilmente di collaborazionismo col nemico, ma sappiamo che non dobbiamo applicare agli eventi biblici le categorie di giudizio del XXI secolo, anche se i laicisti spesso dimenticano questo saggio principio.
Nella visione di Ambrogio (in Lucam VIII, 40) Raab prefigura la Chiesa perché accettò di accogliere presso di sé tutti i fuggiaschi , cioè coloro che, dispersi e disorientati, avevano cercato presso di lei riparo dalla distruzione della città. Così fa anche la Chiesa, che accoglie tutti per salvare tutti dalla perdizione. Ma essa è anche casta perché, se accoglie tutti – come fa la meretrix – lo fa in adempimento della propria missione e in obbedienza al mandato ricevuto da Cristo.
Ma Ambrogio, per definire la Chiesa, usa anche un’altra espressione che può suonare strana in bocca a un patrizio di raffinata cultura romana come era lui: “amore plebeia”, che si potrebbe tradurre “di gusti plebei nei rapporti d’amore”. Infatti, nel bellissimo ed elegante latino di Cicerone plebeius è un aggettivo che reca una sfumatura di disprezzo, ma per Ambrogio sta a significare quella che, in termini moderni, potremmo chiamare la rivoluzionaria democraticità della Chiesa di Cristo, perché essa accoglie tutti per amore, senza distinzione tra aristocratici e plebei con particolare predilezione, semmai, proprio per i poveri, i deboli, i plebei.
E che dire degli eserciti dei Papi e delle guerre da loro tollerate o addirittura sostenute soprattutto nel corso dell’ultimo millennio, che tanto scandalizzano i moderni pacifisti?[2]. E’ vero che Giulio II, Papa politico quanto altri mai, nel 1510 indossò la corazza e al grido “Fuori i barbari!” guidò il suo esercito contro il ducato di Ferrara, principale alleato dei francesi in Italia, ma fu un episodio sporadico di difesa dello Stato della Chiesa, perché i Papi hanno combattuto guerre di numero infinitamente minore di quelle combattute dalle altre nazioni.
Dobbiamo ricordare ai nostri fratelli laicisti che se nel 1571 il Santo Papa Pio V non fosse riuscito a schierare a Lepanto tutte le forze cristiane d’Europa, affidandole alla protezione della Madonna[3]; se, nel 1683, il beato Marco d’Aviano, umile frate francescano armato solo del Crocifisso, non fosse riuscito anche lui a mettere d’accordo una cristianità divisa e litigiosa, sempre contro i Turchi che assediavano Vienna, la storia europea avrebbe avuto uno sviluppo molto diverso e forse oggi le signore eleganti europee si ritroverebbero a discutere tra di loro su chi indossa il burkha più à la page, perché altre attività ed interessi non sarebbero consenti loro[4].
E’ vero che spesso la religione è stata un instrumentum regni e che spesso la religione è stata imposta con le cannonate e con l’omicidio di massa (oggi si parlerebbe di pulizia etnica) come fece la Regina di Francia Caterina de’ Medici che, nel 1572, ordinò la strage degli ugonotti per salvaguardare il trono di suo figlio, ma questo triste episodio, che torna a vergogna di Caterina, dimostra che erano i regnanti europei a scatenare le guerre di successione per bramosia di potere e non certo i Papi. Questi, piuttosto, hanno sempre cercato di arginare le violenze nei confronti dei popoli più deboli, come nel caso dei conquistadores spagnoli i quali sostenevano che gli indios dell’America appena scoperta non avessero neppure un’anima.
E come dimenticare che Pio IX, di fronte all’invasione dell’esercito italiano alla breccia di Porta Pia (incontestabile violazione del diritto internazionale, allora come oggi) diede ordine di non resistere alla prepotenza, per evitare il più possibile spargimento di sangue?
E’ vero che spesso i Papi hanno agito col cinismo e l’opportunismo tipici degli altri governanti e a volte con superficialità – come ha esaurientemente spiegato Roberto De Mattei in un suo ottimo libro[5] – spesso non accorgendosi dei rischi che correva la Chiesa durante il loro pontificato e che molti di loro hanno avuto una vita privata riprovevole, ma perché i laicisti si divertono tanto a ricordare solo le ombre dei pontificati? Cristo non ha raccomandato ai suoi Vicari di essere astuti politici e accorti regnanti – e sotto questo aspetto è giusto sottoporre anch’essi al giudizio della storia – ma ha raccomandato di pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle (Gv 21, 15ss). Perciò, se sono intellettualmente onesti, anche essi devono riconoscere che nessun successore di Pietro, in 2000 anni di storia, ha mai deviato dal depositum fidei o ha tradito il mandato ricevuto da Cristo di tutelare la fede e di confermare in essa i suoi fratelli (Lc 22, 31-32).
Lo stesso Alessandro VI, che lo stesso cattolicissimo von Pastor giudica “immeritevole di difesa”, vituperato da tutti per la sua licenziosità, nelle questioni religiose non ha meritato mai alcun rimprovero, mai si è potuto muovergli qualche accusa sul piano dell’ortodossia cattolica. Non sono i cristiani (o i Papi) che fanno santa la Chiesa, ma è la Chiesa che fa santi i cristiani con i Sacramenti e mantenendo intatti il depositum fidei e il sensus fidei cioè, come ha spiegato Benedetto XVI, quella capacità infusa dallo Spirito Santo che abilita ad abbracciare le verità della fede con l’umiltà del cuore e della mente [6].
E’ vero che molti Papi in passato sono vissuti come principi rinascimentali, ma essi allora erano dei veri regnanti e così voleva vederli il popolo, ma per rispondere a quanti – per il solo gusto di criticare la Chiesa cattolica – criticano le presunte ricchezze della Chiesa e lo stile di vita dei Papi facendo di ogni erba un fascio, è interessante ricordare quanto Indro Montanelli narrò del suo incontro con Giovanni Paolo II nel 1986: ” Mi colpì la modestia del quartierino che si era ritagliato nel fasto vaticano… Non a caso il segretario, il cuoco e la cameriera erano polacchi; quanto alla cena, cenai praticamente da solo perché la sua consistette in un pezzetto di tonno in scatola, una sottiletta e una mela. Gli chiesi: Lui sorrise: . Quell’ ancora un po’ si protraeva fino a dopo mezzanotte”[7].
E’ vero che spesso il potere conta più dei princìpi. La Chiesa sa che questo è il destino terreno dell’uomo, perché l’uomo è vittima del peccato originale che lo limita e lo ostacola nel suo anelito all’infinito. Lo stesso S. Paolo dice di sentirsi uno sventurato perché conosce il bene ma sente sempre la tentazione del male in una lotta interiore senza fine (Rm 7, 24). “Conosco il meglio et al peggior mi appiglio”, avrebbe cantato Francesco Petrarca molti secoli dopo, ispirandosi proprio a lui.
Per concludere la sua umile apologia della Chiesa, Carla ha ricordato ai suoi amici laicisti, che assimilano il dogmatismo islamico a quello cattolico, che la differenza fondamentale tra Islam e Cristianesimo risiede nel fatto che Gesù ci ha chiamati amici e ha fondato il rapporto tra lui e noi sull’amore; l’Islam non concepisce amore o figliolanza tra Dio e le sue creature, perché Allah, pur essendo creatore, non ha creato l’universo per amore e amando per primo le sue creature (1Gv 4, 19) ma solo per avere da esse sottomissione incondizionata. Non occorre, per salvarsi, che tale sottomissione sia frutto della conversione del cuore, come ci ha insegnato Cristo: basta che esso sia un comportamento puramente esteriore, osservato dai fedeli che può anche essere dettata non dalla sincerità del cuore, ma dalla paura della legge che punisce i comportamenti islamicamente non ortodossi e l’apostasia addirittura con la morte. Ne sa qualcosa lo scrittore pachistano di lingua inglese Salman Rushdie, costretto da più di vent’anni a una vita blindata, essendo stato raggiunto da una condanna a morte per aver offeso il Profeta in suo libro (pure noioso). Lo stato islamico non può essere altro che teocratico perché nel Corano non si trova nulla di assimilabile al cristiano “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, principio, semmai, dimenticato dalle chiese protestanti, come l’anglicana il cui Capo è il re d’Inghilterra e i cui vescovi e pastori sono pubblici impiegati, da quelle ortodosse orientali con le loro “Chiese di Stato” e “Chiese nazionali”, ma non certo dalla Chiesa cattolica che ha fondato tutta la sua storia sullo sforzo costante di mantenersi svincolata e indipendente da qualunque potere secolare e non si sognerebbe mai di invocare condanne penali per chi omette la Messa domenicale.
[1] Tornano in mente le sagge parole di Gamaliele (At 5, 38,39): ; ma anche la spiritosa risposta del Cardinale Consalvi a Napoleone che si attribuiva il potere di distruggere la Chiesa cattolica:
[2] Questo argomento è stato ampiamente trattato da Alberto Leoni in un ottimo libro: Storia militare del Cristianesimo, PIEMME 2005.
[3] Si narra, infatti – e l’episodio è stato riprodotto in molti dipinti dell’epoca – che Pio V stava lavorando nel suo studio quando ebbe un’ispirazione. Andò ad aprire la finestra e vide, nel cielo, la disfatta della flotta turca che si stava verificando proprio in quelle ore nelle acque di Lepanto. A scioglimento del suo voto alla Madonna, il Papa fece erigere in Roma la chiesa di S. Maria della Vittoria.
[4] E’ noto che la vittoria cristiana a Lepanto era riuscita a stroncare la potenza navale turca, ma non quella di terra. Infatti un secolo dopo l’Impero Ottomano ci riprovò, ponendo l’assedio a Vienna, avamposto cristiano nell’Europa orientale, con l’intento di dilagare poi in occidente. Solo recentemente gli storici hanno capito che la vittoria dei Cristiani sui Turchi a Vienna è stata provvidenziale per la civiltà europea (cfr. A. Leoni, op. cit.), perciò la vostra amica Carla, da cattolica “bambina”, ora si domanda: dopo tutto il filo da torcere che ci hanno dato i Turchi in passato, vogliamo pure farli entrare nella Comunità Europea? E’ noto che la laicità imposta nel loro paese da Ataturk va scemando verso un nuovo rafforzamento della loro identità islamica, il che sarebbe pure cosa legittima e accettabile da noi, se non fosse un corollario delle intenzioni più volte espresse sia da Gul che da Erdogan, di conquistare l’Europa all’Islam, non con le armi ma democraticamente, con l’immigrazione dei Turchi. Purtroppo agli Europei non importa più nulla delle loro radici cristiane e, nel loro sciocco e inerte relativismo,sono anche pronti a integrare il diritto islamico nei loro ordinamenti giuridici, come pare stia avvenendo in Inghilterra dove alcuni vorrebbero ammettere la poligamia per i sudditi di religione musulmana. La vostra amica prega perché il Signore mandi il Suo Spirito a tutti gli europei facendoli rinsavire.
[5] Cfr. R. De Mattei, Apologia della Tradizione, Poscritto a “Il Concilio Vaticano II”. Una storia mai scritta. Lindau 2011
[6] Cfr. Benedetto XVI, Omelia per la S. Messa con i membri della Commissione Teologia Internazionale, 1°.12.2009.
[7] Cfr. Indro Montanelli, Soltanto un giornalista. Testimonianza resa a Tiziana Abate. Rizzoli 2002.