Lezioni sulla vita spirituale – Nona lezione
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Come Dio, dunque, purifica l’anima, perfezionandola, al momento di questa terza conversione? Sembra che, prima di tutto, la privi di ogni consolazione per poi arricchirla. Per guarirla da ogni forma di orgoglio spirituale o superbia intellettuale, e per manifestarle l’abisso di miseria in cui essa ancora si trova a vivere, più o meno consapevolmente, Egli lascia l’intelletto nelle tenebre, la volontà nell’aridità, talora nell’angoscia.
S. Giovanni della Croce (Notte oscura II, 6, 4-5): 4. Il quarto motivo di sofferenza è causato dalla contemplazione oscura, la cui eccessiva sublimità le fa sentire l’altro estremo, quello della sua povertà e miseria; questa è una delle sofferenze maggiori che sperimenta durante la purificazione. Difatti avverte in sé un profondo vuoto e la mancanza di tre forme di beni destinati a compiacerla: beni temporali, naturali e spirituali. Inoltre si vede immersa in tre mali opposti, che sono la miseria delle sue imperfezioni, l’aridità o il vuoto delle sue facoltà e l’abbandono spirituale in mezzo alle tenebre. In verità, poiché Dio a questo punto purifica le facoltà sensitive e spirituali dell’anima, come pure le sue potenze interiori ed esteriori, l’anima dev’essere posta nel vuoto, nella povertà e nell’abbandono di tutte queste parti, lasciata arida, vuota e nelle tenebre. La parte sensitiva, infatti, si purifica nell’aridità e le facoltà nel vuoto delle loro percezioni e lo spirito nella profondità delle tenebre. 5. Dio produce tutti questi effetti per mezzo della contemplazione oscura. L’anima, allora, soffre non solo per il vuoto e la mancanza di appoggi naturali e di conoscenze – il che è già una sofferenza piena d’angoscia, come se uno fosse tenuto sospeso in aria senza che possa respirare –, ma soffre altresì perché Dio la purifica, come fa il fuoco con la ruggine sul metallo. Egli annienta, svuota e consuma in lei tutti gli affetti e le abitudini manchevoli contratte nel corso della vita.
Dio dunque purificherà l’anima da ogni cattiva abitudine contratta e lo farà immergendola nell’oscurità cognitiva e sensitiva. É come se il Divino Redentore si sottraesse alla presenza dell’anima ed essa non sapesse più ove se ne sia andato: smarrimento, sconcerto, aridità, dolore contraddistingueranno l’anima in questa fase. Essa sarà portata quindi a comprendere sempre meglio la sua debolezza e, di conseguenza, l’indispensabile presenza dell’Amato, momentaneamente (e terapeuticamente) celatosi. È come quando Gesù risorto si allontanò corporalmente dagli Apostoli, ascendendo al cielo: essi rimasero a guardare la sua dipartita stupiti e sgomenti, ridestati soltanto dalla voce di due “uomini in bianche vesti” che diceva: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo» (At 1, 11). Anche gli Apostoli erano ancora troppo attaccati alla “compagnia umana” di Gesù per cogliere la modalità nuova con cui Egli avrebbe guidato e santificato la Chiesa nascente: non avevano ancora avuto la “terza conversione” (il giorno di Pentecoste), la quale, dopo la necessaria purificazione iniziata con “la tenebra” dopo l’Ascensione (la privazione della presenza di Cristo), è realizzata dal dono dello Spirito Santo, che rinsalda la loro Fede e li infiamma di Carità perfetta. «Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò», dice loro il Signore (Gv 16, 5-7). Dunque, a partire da questa “oscurità luminosa” – per dirla con san Giovanni della Croce – l’anima riceve grazie speciali al fine di penetrare “le profondità di Dio” (1Cor 11, 10). Così vengono purificate da qualsivoglia attaccamento all’umanità l’umiltà e le tre virtù teologali.
L’anima intuisce allora con sempre maggiore consapevolezza l’infinita purezza e grandezza di Dio, al di sopra di ogni idea che di Lui possiamo avere; essa, al tempo stesso, è portata a scorgere l’infinita ricchezza soprannaturale dell’anima di Cristo: così «consolati e così strettamente congiunti nell’amore, essi acquistino in tutta la sua ricchezza la piena intelligenza, e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2, 2-3). La terza conversione è come un’ulteriore rinascita spirituale, nella quale l’anima è condotta dalla grazia divina a contemplare l’immensa condiscendenza di Dio che in “modo mirabile” ci ha creati e che in “in modo ancor più mirabile” ci ha redenti attraverso l’Incarnazione e la Passione di Cristo: Deus qui humanae substantiae dignitatem et mirabiliter condiditi et mirabilius reformasti, prega il sacerdote durante la Messa, mentre benedice l’acqua da infondere nel calice. Da questo rinnovato sguardo sulla Verità, l’anima comprende allora sempre meglio la propria miseria. Questo angosciava i santi durante la loro esistenza: avvertire con sempre maggiore chiarezza quanto l’umanità disti da Dio; quanto gli uomini di Lui si dimentichino; quanto le creature abbiano bisogno della relazione col Creatore.
Questo approfondimento del dato rivelato, questa illuminazione interiore avviene mediante il potenziamento del dono dell’Intelletto, secondo quanto ricorda san Tommaso d’Aquino, nell’abbinare all’Intelletto la sesta beatitudine “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio”: La sesta, come le altre beatitudini, secondo le spiegazioni date sopra, abbraccia due cose: la prima in qualità di merito, cioè la purezza del cuore; la seconda in qualità di premio, cioè la visione di Dio. E sia l’una che l’altra cosa va attribuita in qualche modo al dono dell’intelletto. Ci sono infatti due tipi di purezza. La prima prepara e predispone alla visione di Dio, e consiste nella purificazione della volontà dagli affetti disordinati. E questa purezza di cuore si ottiene con le virtù e con i doni delle potenze appetitive. La seconda invece è quasi un‘attuazione e un coronamento rispetto alla visione di Dio: e questa è la purezza dello spirito purificato dai fantasmi e dagli errori, pronto cioè ad accogliere le verità divine non al modo dei fantasmi delle realtà corporee, e neppure secondo le deformazioni degli eretici. E questa purezza deriva dal dono dell‘intelletto. Parimenti ci sono due visioni di Dio. La prima è la visione perfetta dell‘essenza divina. La seconda invece è una visione imperfetta mediante la quale, pur non vedendo ciò che Dio è, vediamo ciò che egli non è: e in questa vita noi conosciamo Dio tanto più perfettamente quanto meglio sappiamo intendere che egli sorpassa tutto ciò che è compreso dalla nostra intelligenza. Ora, tutte e due queste visioni appartengono al dono dell‘intelletto: la prima al dono dell‘intelletto nella sua pienezza, quale sarà nella patria; la seconda invece al dono dell‘intelletto nella sua fase iniziale, propria della vita presente. Sono così risolte anche le obiezioni. Infatti i primi due argomenti parlano del primo tipo di purezza; il terzo invece della perfetta visione di Dio: ora, i doni hanno il compito di arricchirci adesso in maniera iniziale, e avranno il loro coronamento nella vita futura, come si è detto (S. Th. IIa-IIae q. 8 a. 7).
A conclusione di questa lezione, siano le liriche parole di san Giovanni della Croce (Notte oscura, prol.) a imprimere nella mente e nel cuore gli elementi fondamentali di questa terza conversione, nonché la sua bellezza:
1 – In una notte oscura,
con ansie, dal mio amor tutta infiammata,
oh, sorte fortunata!,
uscii, né fui notata,
stando la mia casa al sonno abbandonata.
2 – Al buio e più sicura,
per la segreta scala, travestita,
oh, sorte fortunata!,
al buio e ben celata,
stando la mia casa al sonno abbandonata.
3 – Nella gioiosa notte,
in segreto, senza esser veduta,
senza veder cosa,
né altra luce o guida avea
fuor quella che in cuor mi ardea.
4 – E questa mi guidava,
più sicura del sole a mezzogiorno,
là dove mi aspettava
chi ben io conoscea,
in un luogo ove nessuno si vedea.
5 – Notte che mi guidasti,
oh, notte più dell’alba compiacente!
Oh, notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
amata nell’Amato trasformata!
6 – Sul mio petto fiorito,
che intatto sol per lui tenea serbato,
là si posò addormentato
ed io lo accarezzavo,
e la chioma dei cedri ei ventilava.
7 – La brezza d’alte cime,
allor che i suoi capelli discioglievo,
con la sua mano leggera
il collo mio feriva
e tutti i sensi mie in estasi rapiva.
8 – Là giacqui, mi dimenticai,
il volto sull’Amato reclinai,
tutto finì e posai,
lasciando ogni pensier
tra i gigli perdersi obliato.
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(continua)