La politica costruisce la “nuova moralità”. Per snellire la macchina della giustizia il governo, con decreto legislativo, ha depenalizzato una serie di reati considerati “minori”. Tra questi, anche gli atti osceni e le pubblicazioni e spettacoli osceni. Il caso della pornoscuola in piazza a Treviso.
di Patrizia Fermani
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Come è noto il criterio base adottato dal governo per risolvere il problema della edilizia carceraria è stato quello della depenalizzazione dei reati. Siccome poi i reati vengono trasformati in illeciti amministrativi che comportano cospicue sanzioni pecuniarie per i trasgressori, i nostri oculati governanti dimostrano anche una notevole sensibilità economica. Infatti mentre si risparmiano da una lato costosi interventi edilizi, vengono incassati dall’altro gli introiti delle sanzioni: sono presi così i famosi due piccioni con una fava, e guadagnata la doverosa riconoscenza del contribuente che vede con quanta cura il proprio denaro venga amministrato.
Ovviamente non sempre il gioco del rapporto costi benefici può valere la candela. Infatti se per ipotesi ai nostri fantasiosi governanti venisse in mente di depenalizzare il furto, lo stesso contribuente che è già depredato normalmente dallo Stato, si troverebbe a dovere fare i conti con l’improvviso proliferare dei ladri privati che vedrebbero incentivata dallo Stato la propria professione, e di questo non avrebbe motivo di rallegrarsi. Ora se per il momento sembra che non si parli ancora di depenalizzare il furto e la rapina, di recente ci è stata data la possibilità di verificare con quanta oculatezza, economica e no, siamo governati.
Il 15 gennaio scorso è stato approvato il d.lgs. n.8 di depenalizzazione di una congerie di reati il cui accertamento, si è detto, ingolfava la macchina giudiziaria, con molti inutili costi e senza beneficio morale per la collettività. Questa almeno la ragione portata trionfalmente a sostegno del parto normativo realizzato dal governo su legge di delegazione parlamentare.
Il diritto penale, come è riconosciuto da sempre, non coincide con la morale ma la presuppone. Infatti vengono perseguiti penalmente quei comportamenti che contraddicono un’etica consolidata nella società. E che comunque vanno prevenuti attraverso la minaccia di una sanzione “forte” come quella propria della legge penale, perché se lasciati liberi di proliferare impunemente, minerebbero un ordinato svolgimento della convivenza comune. La legge penale ha dunque anche finalità di prevenzione generale dei comportamenti offensivi del vivere comune oltreché dello interesse particolare delle vittime.
Una categoria di reati si distingue da un’altra in base al valore etico ovvero all’interesse, di valore collettivo, che lo Stato sente il dovere di proteggere attraverso la sanzione rafforzata della legge penale, e che è il “bene giuridico” tutelato dalla singola norma. La gravità di un reato, il suo peso negativo sulla società viene espressa dalla entità della pena inflitta. Con le pene più gravi, ergastolo o reclusione temporanea sola o congiunta con la pena pecuniaria vengono puniti i reati ritenuti dal legislatore più gravi per la importanza sociale del bene violato, con la sola pena pecuniaria i reati sentiti come meno minacciosi per la convivenza comune. (Resta il fatto che la sanzione penale di qualunque natura od entità costituisce da sola un notevole deterrente, per il fatto di essere inflitta dalla autorità giurisdizionale, e quindi attraverso un procedimento che viene sentito di per sé come mortificante dal soggetto che lo subisce).
È dunque evidente che se la gravità della pena inflitta misura la gravità del reato, quest’ultima è legata a sua volta alla valutazione che il legislatore dà di quel certo comportamento umano. Una valutazione che dovrebbe essere guidata dal comune sentire ed essere orientata dalla costante finalità del bene comune, ma che può di fatto essere distorta da ideologie di potere e da interessi che non collimano con l’interesse generale. Il potere politico può produrre e produce infatti anche leggi che andando contro l’interesse o il sentire della società finiscono poi per condizionare proprio la stessa sensibilità sociale. Non c’è qui lo spazio per approfondire il rapporto tra la società e le leggi che la governano, ma dovrebbe essere chiaro a tutti, ad esempio, come la pressoché totale depenalizzazione dell’aborto abbia prodotto i sei milioni di aborti accertati dalla entrata in vigore della legge 194, come l’introduzione del divorzio abbia creato la dissoluzione dell’istituto famigliare, e come una qualunque legalizzazione della convivenza su base erotico sessuale tra persone dello stesso sesso sarebbe, e sarà, la definitiva distruzione etica di una intera società attraverso la corruzione di intere nuove generazioni.
L’articolo 1 del decreto, diventato legge vigente il 6 febbraio scorso, pone come criterio guida del provvedimento la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con la sola pena pecuniaria. Quindi il criterio di base prescelto appare subito chiaro: meglio sottrarre alla costosa macchina processuale i reati meno gravi, che quindi non turbano troppo la pace sociale e la coscienza comune, e affidarne la prevenzione alla sanzione pecuniaria eventualmente inflitta dalla autorità amministrativa di turno.
Sennonché questo principio, che in tempi di vacche magre e di ingolfamento cronico della macchina giudiziaria potrebbe avere la propria ragion d’essere e incontrare il plauso della gente, viene poi subito contraddetto dalla stessa legge che dichiara meritevoli di essere depenalizzati anche singoli reati, puniti almeno formalmente con la reclusione, in ragione del loro intrinseco disvalore sociale.
Segno che vi sono valori sociali che i governanti ritengono non più meritevoli di protezione perché superati o da superare, sicché questi stessi governanti si arrogano il diritto di disegnare attraverso la legge una nuova etica collettiva.
Così è stato segnata la fine del disvalore sociale del reato di ingiuria che rubricato da sempre tra i reati contro l’onore, è diventato di fresco banale infrazione amministrativa. Una cosa da praticare con parsimonia solo per motivi pratici, come la sosta vietata. Segno evidente che il concetto di onore deve essere diventato del tutto incomprensibile per chi guida la macchina del potere politico verso la società incivile.
Tuttavia di questa nuova funzione rieducatrice assunta del potere politico troviamo un esempio ancora più significativo nella depenalizzazione degli articoli 527 (atti osceni) e 528 (pubblicazioni e spettacoli osceni) del codice penale che puniva con la reclusione pubblicazione e spettacoli osceni. Certo in tempi in cui di pornografia si nutrono tutti i mezzi di comunicazione, quella pena deve essere risultata eccessiva, ma non è di questo che qui vale la pena di discutere, quanto invece del trasferimento di comportamenti scandalosi come quelli previsti dall’articolo 528 c.p tra gli illeciti amministrativi. E l’occasione ci è offerta da una recente iniziativa patrocinata dal comune di Treviso. E’ stato allestito nello spazio pubblico, appunto col permesso compiacente della amministrazione comunale che veglia sul progresso morale e culturale della popolazione, una sorta di scuola peripatetica aperta a tutti, minori compresi, volta a svelare i sublimi misteri di attività sessuale di ogni tipo, in tutte le sue forme, e declinazioni possibili. Per saperne di più CLICCATE QUI.
Rimettiamo il giudizio ai lettori. Della sporcizia mentale di quanti hanno realizzato l’evento e di quanti l’hanno autorizzato non vale parlare, perché tutto si descrive da sé.
E bene sapere però che chi fosse trasportato da sacrosanto sdegno per questo scempio ordito ai danni di tutti, e soprattutto dei più giovani, non potrà rivolgersi più alla autorità giudiziaria perché giustizia sia fatta. Tutt’al più potrà chiedere l’applicazione ai responsabili di una sanzione pecuniaria, alla stessa autorità che ha consentito l’evento.
La coincidenza tra l’entrata in vigore il 6 febbraio scorso della nuova legge di depenalizzazione , e la pornokermesse del 14 febbraio, certamente non è casuale. Gli organizzatori sapevano già di poter godere della novella impunità.
Ma conviene ritornare per questo sugli intenti del legislatore. La depenalizzazione degli articoli 527 e 528 infatti sta a significare una sola cosa: che un valore difeso tenacemente e severamente dal vecchio legislatore, ora lo si vuole cancellare definitivamente in via legislativa anche dalla mente del cittadino comune.
Le norme in questione tutelavano ancora l’onore sessuale e il sentimento del pudore, concetti evidentemente incomprensibili per il legislatore attuale e per il campionario umano che alberga nelle stanze della politica e nei dintorni.
La sessualità è lo spazio privilegiato in cui l’uomo può dimostrare tutta la propria capacità di sottrarsi al dominio degli istinti e sollevarsi sopra di essi attraverso la loro sublimazione morale e razionale. Non per nulla nella sublimazione dell’eros si è manifestata tutta la miracolosa capacità creativa dell’arte. L’uomo vi ha dispiegato la profondità delle sue scelte morali, l’attitudine a leggere il limite posto da una realtà avvolta dal sacro. Il luogo dell’incontro tra anima e corpo deve essere quello in cui viene realizzata una armonia superiore, e non l’abisso di un abbrutimento che mira a travolgere altri simili fino ai più piccoli e indifesi.
Ora il sacrario della divina sintesi superiore, che è propria dell’homo sapiens, deve essere invaso e devastato, violato come l’altare di Notre Dame dalle meretrici del nuovo potere.
Questa opera di demolizione non è cominciata certo oggi. E cominciata più di mezzo secolo ed è proseguita instancabile attraverso tappe ben precise. Tra le altre, quella della riforma del 1996 che ha trasferito la violenza sessuale fra i reati contro la libertà della persona, al pari di quelli, che coinvolgendo dei minori, vengono puniti anch’essi come offese alla libertà. Della devastazione morale che essi comportano, il legislatore nulla sa. Insomma, mentre per gli estensori del codice l’onore sessuale e il sentimento del pudore erano beni giuridici da tutelare per il loro alto contenuto morale, per l’etica nuova tutto viene assorbito nella tutela del valore “civico” della libertà personale intesa in senso meramente materiale. Della libertà morale l’etica del terzo millennio può bellamente fare a meno.
In un tempo in cui la società ha perduto le proprie coordinate etiche e religiose ed è soggiogata dal belluino potere mediatico, in tempo di devastanti ideologie di potere, la legge crea l’etica consustanziale a questo potere stringendo sempre più al collo della gente comune il proprio capestro.
Piero Buscaroli, che ci ha lasciato da pochi giorni dopo avere donato al mondo il patrimonio di una immensa ricchezza di pensiero, di una intelligenza e di una cultura senza pari, di una straordinaria sensibilità politica, di un’etica superiore, ha titolato parecchi anni fa una propria raccolta di saggi sulla storia nazionale “Una nazione in coma”. A distanza di pochi decenni possiamo dire tranquillamente che l’Italia della ideologia e della politica, senza più storia né religione, senza dignità nazionale e senza più cultura, l’Italia delle Ravera e delle Parietti, dei Gad Lerner e degli Ovadia, dei Colombi e delle Cirinnà, dei Renzi e delle Fedeli, e delle periferie esistenziali di Treviso, questa Italia è solo un corpo in avanzato stato di decomposizione.
7 commenti su “La carriera politica della pornografia – di Patrizia Fermani”
Si, ma l’andazzo non è solo italiano. In un certo senso, dal Nord Europa e dagli Stati Uniti spira un vento ancor piu’ mefitico. A parte questo, che rimane da aggiungere? Nelle università si insegna che imporre un modello di civile convivenza è fascista. Non si spiega, tuttavia, perché non sia altrettanto fascista l’imporne uno di incivile convivenza. Ma è noto che al comunista (post-, catto- e quant’altro) la consequenzialità del pensiero non è richiesta..
D’accordissimo!
Gli araldi di questo relativismo morale sono gli antropologi culturali, che rivestono di scientificità le loro affermazioni, per esempio, sull’inesistenza di una norma universalmente valida. Per questo motivo il concetto di senso del pudore è criticato come infondato e profondamente variabile a seconda dei gruppi umani.
Come uscire da questo stato comatoso?
quando la Chiesa non fa più processioni e ride delle tradizionali feste patronali, quando ridicolizza persino la S.Messa, prendono il posto delle cose sante, le cose inique, il demonio non dorme e lavora incessantemente e se trova buchi vuoti ci si fionda immediatamente. La causa è degli uomini di Chiesa, traditori, effeminati, viziosi, ridicoli, che hanno abbandonato il popolo di Cristo e il popolo si è pervertito e ha creato il vitello d’oro.
Sicuramente è come dice lei, le colpe del clero traditore di Cristo risalgono sino a Pio IX, ma poi, una volta giunti al potere, questi modernisiti, col loro grido di battaglia “vietato vietare” (rivolto ala Chiesa preconciliare, ovviamente) furono i precursori della rivoluzione giovanile comunista del maggio ’68. Adesso però, che hanno in mano le redini del potere, e le tengono ben salde, vietano eccome, ai loro vecchi nemici, i cattolici preconciliari, il pur minimo cenno di dissenso dalle loro scelleratezze (filoprotestantesimo, NOM, filocomunismo, pauperismo, ecologismo, ecumenismo suicida). Se satana impazza sulla socierà civile e in quella religiosa, la colpa è solo loro, di questi preti traditori, quale che sia il loro grado nella gerarchia ecclesiastica (nessuno escluso!).
Grazie per quest’articolo molto informativo. “… questa Italia è solo un corpo in avanzato stato di decomposizione.” Questo infatti è l’effetto del post modernismo o nichilismo che dà alla morte all’intelletto (nichilismo logico), la legge morale (nichilismo etico) e all’essere stesso (nichilismo metafisico). Assistiamo oggi all’umanità scivolata nella debolezza autistica e auto-dissolutrice. Nel saggio “L’intelligenza in pericolo di morte” il filosofo Marcel de Corte (1905-1994) descrisse il dramma della crisi della civiltà contemporanea; e in “Sulla giustizia” denuncia il “cambiamento della Dottrina sociale della Chiesa” sancito dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII, ove si legge:
… «Per il pensiero contemporaneo, risiede soprattutto nella salvaguardia dei diritti e dei doveri della persona umana, quindi il ruolo dei governi consiste soprattutto nel garantire la riconoscenza e il rispetto di questi diritti, la loro mutua conciliazione, la loro difesa e la loro espansione, e di conseguenza nel facilitare ad ogni cittadino il compimento dei propri doveri». De Corte afferma invece che questo è esattamente «il contrario della filosofia sociale contemporanea accreditata dalla Chiesa» Secondo lui la linea è stata proseguita da Paolo VI e il CVll l’ha sancita nella famosa frase della Gaudium et spes: «la persona … è e deve essere il principio, il soggetto e il fine di tutte le istituzioni». Secondo De Corte, il “personalismo” ha così inquinato la dottrina cattolica, ha sancito il primato della persona sul bene comune, ha trasferito i diritti della società alla persona, ha naturalizzato il soprannaturale. E le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.