Unitarismo o federalismo? O altro?
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Ciò che possiamo e dobbiamo tutti fare oggi in concreto è resistere agli strumenti utilizzati per l’attuazione del grande piano sovversivo: combattere l’immigrazionismo, l’UE, la BCE, la superfinanza e i loro piani di dissoluzione totale della civiltà umana e di contro difendere ogni giorno, in un rinnovato spirito di unità e collaborazione, anzitutto fra italiani, ma anche con tutti gli altri europei che condividono queste preoccupazioni e finalità, tutto ciò che di grande ha costituito la civiltà europea dei secoli passati.
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Unitarismo o federalismo? O altro?
di Massimo Viglione
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Sono stato invitato qualche sera fa a tenere una conferenza sul Risorgimento. Alla fine, durante le usuali domande del pubblico, che ci avevano condotto – come sempre avviene – ad allargare l’orizzonte anche sul presente e in particolare sulla grande questione della Unione Europea e sulla dissoluzione in atto della sovranità italiana, un ragazzo, che era stato molto attento, mi ha posto la seguente domanda: “Professore, visto che l’UE è stata di fatto creata con le medesime modalità settarie e antidemocratiche con cui si è voluto organizzare l’unificazione italiana, ovvero senza l’attiva adesione delle popolazioni e sfugge in ogni modo al loro controllo, oggi, contro questo Moloch che tutti ci sovrasta, cosa converrebbe opporre? Rivendicare l’importanza dello Stato nazionale oppure seguire la via del decentramento federalista?”.
La domanda, giunta inaspettata, ha risvegliato nella mia mente questo vecchio problema di cui ho molto discusso anche con altri intellettuali negli anni antecedenti il 2011, quando ancora sembrava che esistesse per l’Italia l’ultimo misero barlume di sovranità. È una questione seria e profonda, sulla quale è difficile dare risposta immediata ed esaustiva.
Chiariamo un concetto preliminare: durante la suddetta conferenza, avevo appunto sostenuto che come gli Stati preunitari erano stati liquidati a favore della conquista unitaria di Casa Savoia senza il minimo consenso popolare (eccetto élites massoniche, sparuti gruppi di intellettuali e barricadieri d’assalto), e il piano unitarista era stato pensato, voluto e organizzato dalle società segrete e poi attuato con l’aiuto di potenze straniere di cui siamo rimasti per sempre debitori (Gran Bretagna, Francia, Prussia e comunque la massoneria internazionale, senza le quali mille uomini non arrivavano nemmeno in Sicilia…), e in seguito tale conquista militare era stata ridicolmente “ratificata” da patetici plebisciti la cui validità è pari alla zero; così l’UE, sebbene senza spedizioni militari, è stata pensata, organizzata, realizzata dai successori dei settari ottocenteschi e oggi governa senza il minimo consenso popolare degli europei, cui mai è stato chiesto nulla a riguardo e che non eleggono in alcun modo chi li governa (spesso neanche conoscono chi siano costoro). Se anche qualche volta è capitato che qualche singolo governo nazionale si sia azzardato a chiedere l’opinione popolare con il voto, questo è stato sempre negativo per l’UE (Danimarca, Francia, Olanda, ecc.), anche quando è stato ripetuto più volte, ma senza che per questo la volontà popolare sia stata poi rispettata: ovvero, nulla è cambiato… Mentre nella grande maggioranza dei Paesi tali votazioni non sono mai state nemmeno proposte, come in Italia.
Lo stesso cambio continentale della moneta non è mai stato sottomesso al consenso popolare né in alcun modo democraticamente ratificato.
In questo consiste appunto la similarità del procedimento tra l’unificazione italiana e quella europea, dal punto di vista procedurale. Ma la vera somiglianza risiede nelle intenzioni di chi manovrò allora la storia italiana e manovra oggi quella europea. Infatti, tanto lo statalismo moderno quanto il post-statalismo contemporaneo sono due tappe successive del cammino verso la realizzazione della repubblica universale, l’entità finale per il controllo dell’intera umanità e la preparazione per eventi futuri. Lo statalismo è stato necessario per accentrare e superare il particolarismo identitario medievale e moderno della Res Publica Christiana, di cui l’Italia era forse la massima espressione insieme alla Germania imperiale; realizzato questo fino al parossismo (totalitarismi), oggi si scardina tutto per “sciogliere” ogni autorità locale, perfino quella statuale stessa, nel governo mondiale, di cui la UE è tappa essenziale.
E siccome oggi è ormai evidente a tutti che la sovranità italiana è morta operativamente (sì, abbiamo ancora la bandiera, confini finti, ambasciatori impauriti e governanti marionette agli ordini di forze straniere, peraltro neanche più eletti dagli italiani, mentre non abbiamo più moneta nazionale, politica estera e siamo realmente “calpesti e derisi” molto più di quanto mai lo fossimo stati prima dell’unificazione), ed è morta appunto nel dissolvimento progressivo e ormai avanzatissimo in questa “cosa” indecifrabile e totalitaria che è l’UE, ecco spiegato il senso della questione posta che va a risollevare, come detto poc’anzi, antichi dibattiti in merito. Specificato questo, veniamo appunto a vagliare le due posizioni suddette.
Da un lato, v’è chi sostiene che seppur è vero che lo Stato nazionale italiano è nato con metodologia massonica e non ha prodotto – eccetto la mera statualità geopolitica – i risultati che gli artefici si erano prefissati (ovvero una nuova identità nazionale in cui si riconoscessero tutti gli italiani e una patria libera, voluta, amata e difesa da tutti), e che quindi, chi oggi ama veramente l’Italia tradizionale, qualora fosse stato presente 150 e oltre anni fa, avrebbe dovuto schierarsi dalla parte degli Stati preunitari per opporre legittima resistenza al progetto unitarista massonico e difendere di contro la vera e reale identità italiana di quei giorni, che era cattolica, monarchica e localistica; è anche vero che oggi, proprio per le medesime ragioni, costui dovrebbe difendere lo Stato nazionale dinanzi allo strapotere dell’UE, come strumento appunto di resistenza legittima alle forze della dissoluzione, che 150 anni or sono hanno usato l’unitarismo per distruggere le identità locali e la cattolicità, e oggi usano l’europeismo contro le identità locali e nazionali e la cattolicità. Insomma, ieri il nemico era unitarista, oggi è europeista nel senso di mondialista, e per questa ragione, come ieri si sarebbero dovuti difendere gli Stati preunitari, oggi occorre difendere lo Stato nazionale.
Dall’altro lato, vi è invece chi sostiene che il nemico, ieri come oggi, sia lo Stato nazionale e che solo la via federalista sia la soluzione tanto all’unitarismo quanto all’europeismo sinarchico, due facce della stessa medaglia, la medaglia massonica e mondialista della distruzione delle identità etniche, civili e culturali delle tante popolazioni italiane ed europee. Solo il federalismo, per costoro, ci avrebbe preservato ieri dalle follie nazionaliste e dal centralismo burocratico statalista, e ci proteggerebbe oggi dallo stesso centralismo burocratico europeista e dalla dissoluzione mondialista in corso.
Chi ha ragione e chi ha torto?
Non ho difficoltà ad ammettere che, negli anni passati, personalmente aderivo maggiormente alla prima soluzione. Non per antifederalismo preconcetto, ma più che altro perché mi sembrava la più razionale: Massimo Viglione nel 1860-61 e ancora nel 1866 in Veneto e poi nel 1870 a Roma avrebbe combattuto contro lo Stato nazionale e sarebbe quindi stato contro Cavour, Garibaldi e soci e dalla parte degli Stati preunitari per le ragioni suddette (come nel 1796-99 sarebbe stato dalla parte degli insorgenti contro Napoleone e i giacobini). E, per le ragioni suddette, oggi comprende che ciò che è stato creato allora di sbagliato – l’Italia unita – è invece lo strumento di resistenza a un ulteriore passo in avanti verso il cammino della dissoluzione generale in corso. L’unitarismo era allora il male, oggi è il male minore dinanzi a un male di gran lunga peggiore, il mondialismo sinarchico.
Il ragionamento in sé è certamente razionale e lucido.
D’altro canto, però, le cose oggi sono profondamente cambiate in confronto a soli dieci anni fa o anche meno. Di fatto, lo Stato nazionale italiano non esiste più. Senza moneta, senza confini (se non sulla cartina geografica), senza sovranità politica estera alcuna, senza sovranità militare, invasi da milioni di immigrati, siamo una barzelletta di Stato e prendiamo ordini dall’estero: il compito dei nostri governanti, chiunque essi siano, appare essere quello di districarsi alla meno peggio tra i vari ordini che arrivano (forze occulte, grande finanza, BCE, Bruxelles, Berlino, Washington, capricci di Parigi, senza inimicarsi troppo Mosca) e le problematiche reali che ci attanagliano, dalla crisi economica alla disoccupazione, dall’invasione degli immigrati al disastro della nostra politica economica e burocratica interna, ecc. Non solo: dal golpe antiberlusconiano del 2011, ormai non siamo più nemmeno in una parvenza di democrazia. I governanti li decidono altri.
Ecco la fine dell’Italia nata dal Risorgimento: “umiliati e derisi”, servi non più di uno straniero (austriaci) ma di tanti, e pure in contrasto tra loro, invasi da milioni di immigrati, impoveriti e per di più senza moneta, senza confini, senza sovranità alcuna. Dinanzi a questo disastro totale, che negli ultimissimi anni è divenuto chiarissimo e dirompente, io mi chiedo: che senso può avere oggi difendere ciò che non esiste più? E, soprattutto, è meglio che non esista più, date le ormai assurde condizioni della politica italiana attuale.
E, quindi, ammetto altrettanto che sto rivedendo queste mie posizioni. Cedo quindi alla tesi federalista? So che forse quanto sto per dire non piacerà ai lettori e amici leghisti, ma per onestà devo dire che non ho mai particolarmente creduto al federalismo, almeno a quello proposto nell’Italia risorgimentale da Cattaneo e soci. Era un federalismo laicista in un’Italia ancora completamente cattolica, repubblicano in un’Italia completamente monarchica, funzionalista in un’Italia ancora totalmente ancorata alla sua cultura umanistica e contadina, scientifico in un’Italia ancora tradizionale e familiare. Troppo sovversivo per poter essere vero, realista e quindi accettato dalle popolazioni. Quello di Cattaneo, era un federalismo elitario e pienamente funzionale alle istanze massoniche. Come dire: proviamo con l’unitarismo secco. Se non riesce, ripiegheremo sul federalismo laicista e positivista di Cattaneo. Anzi, a dire il vero, provarono prima con il federalismo di Cattaneo nel 1848; poi, costatato che non poteva funzionare per l’Italia di allora, si passò all’unitarismo monarchico di Casa Savoia.
Non solo: più che al federalismo, del tipo germanico, casomai personalmente aderisco più volentieri all’ipotesi confederalista, molto più vicina alla naturale costituzione dell’Europa medievale e moderna, stile Svizzera o Stati sudisti nella Guerra Civile Americana. Oppure, se vogliamo restare in casa, stile neoguelfismo giobertiano. Non ovviamente per ammirazione di Gioberti, che al contrario era un traditore e voleva e lavorava al servizio delle sette (cui apparteneva) per distruggere la Chiesa e la cristianità e creare un’Italia contraria alla sua vera identità, ma per condivisione del suo progetto politico, quello espresso nel Primato morale e civile degli Italiani, indipendentemente dalla sincerità delle sue intenzioni personali: una confederazione degli Stati preunitari, preceduta da una lega monetaria ed economica, guidata da un senato formato dai sovrani legittimi, che con il passar del tempo si sarebbero gradualmente e volontariamente uniti sempre in maggiore collaborazione e sempre però rispettando le identità popolari dei popoli italici. Questo però è proprio quello che non è avvenuto, visto che Casa Savoia ha “asfaltato” tutto e tutti con i suoi metodi totalitari e con l’appoggio della massoneria internazionale e delle potenze straniere e poi ha finito la sua parabola regalando l’Italia alla Repubblica unitarista,democristian-comunista e azionista-laicista.
E, quindi, venendo all’oggi? Nemmeno oggi personalmente io credo che il federalismo, inteso nel senso classico, abbia una reale prospettiva di futuro politico. Il nemico, l’UE e il mondialismo in genere, non solo non tollerano più lo Stato unitario come ostacolo alla repubblica universale, ma ancor meno i federalismi incontrollabili (per i loro piani dissolutori), che lasciano maggiori libertà alle popolazioni e quindi di fatto allentano la morsa del potere centrale delle forze occulte.
Sono quindi pessimista su entrambe le vie, in quanto siamo entrati in una fase ulteriore del processo rivoluzionario della sovversione della civiltà europea, cristiana, mondiale, che ormai si pone al di là del problema unitarismo/federalismo. Anche se si realizzasse una forma di federalismo regionale o interregionale, sarebbe strangolato e distrutto dallo strapotere finanziario della BCE unito al controllo politico di Bruxelles, con l’appoggio degli USA. Nessuno oggi, in questa Europa, può sognarsi di prescindere dalla realtà dei fatti.
Dobbiamo adeguarci e stare zitti quindi? Neanche per sogno: occorre però essere realisti, fino in fondo.
E guardiamo in faccia alla realtà allora. In questo momento, le forze antieuropeiste, eccetto la Lega e pochi altri, non sono federaliste, bensì nazionaliste, almeno le più importanti: in Francia, in Ungheria, in Polonia, in alcuni Paesi del Nord, così come i partiti antieuropeisti di Gran Bretagna, Austria. L’unica importante forza antieuropeista e federalista è la Lega, ma la stessa Lega è pronta – e fa benissimo, sia chiaro – ad allearsi con queste forze non federaliste, a volte perfino stataliste, al fine di combattere il moloch europeista. Questo dimostra chiaramente che ormai, giunti a questo livello della dissoluzione mondialista, il cuore del problema non è più tanto istituzionale, quanto precipuamente politico: c’è un nemico comune – che peraltro non è né statalista né federalista bensì anarco-mondialista –, occorre che tutti coloro che capiscono la pericolosità di questo nemico e lo vogliono combattere per difendere i popoli europei si uniscano in un progetto comune di resistenza popolare e politica al contempo, che preveda anzitutto la difesa dell’autonomia politica, economica, culturale e anche etnica e linguistica delle realtà – sia nazionali che regionali e locali – del continente europeo.
In tal senso, chi scrive approva gli sforzi del Segretario della Lega di guardare oltre – almeno per il momento – le istanze istituzionali (federalismo) – così come il regionalismo padano a livello italiano: in tal senso consiste il merito principale di Salvini, che ha capito che la Lega, senza snaturarsi, deve però divenire una forza di governo e speranza per tutti gli italiani, essendo ormai il mondo profondamente cambiato negli ultimi anni – per adoperarsi in alleanze con forze importanti, per quanto nazionaliste e a volte stataliste, del mondo libero europeo, a partire dal Front National in giù; e spera vivamente che tali alleanze e collaborazioni vadano a crescere e a coinvolgere sempre più anche i governi dell’Europa dell’Est, come Polonia e Ungheria, ma anche quelli balcanici più aperti a queste idee. Il fine ultimo deve essere quello di creare una generale e continentale resistenza al “Leviatano brussellese” e alla sua dissoluzione morale, politica, economica, nella difesa delle identità religiose, culturali, civili ed etniche di ogni popolazione europea, tanto a livello nazionale che locale.
Riguardo poi lo specifico della questione istituzionale, sarà la storia a dare la sua risposta. Forse – e qui mi azzardo a entrare nelle fole delle previsioni sul futuro – la soluzione alternativa al Moloch europeista e mondialista sarà una situazione del tutto alternativa al presente e al passato, ma non del tutto nuova. Benedetto XVI ebbe a dire una volta che in fondo la situazione attuale dell’umanità, e in special modo dell’Europa e dell’Occidente, è speculare alla situazione dell’Impero Romano nel V secolo, ovvero poco prima della sua caduta, che trascinò con sé per secoli le rovine dell’antichità. Da queste rovine, però, nacque, a quei tempi molto lentamente, con un processo secolare, una nuova civiltà, cristiana ed europea, un nuovo sistema sociale, economico, ma anche politico e spirituale, che per secoli costituì il portato istituzionale e civile di tutti gli europei: il feudalesimo, che per sua natura era localistico e identitario, contadino e commerciale al contempo, che trovava polo d’unità generale all’interno del sistema geopolitico universalista del Sacro Romano Impero e identità unitiva nella religione cattolica, incarnata dalla Chiesa di Roma.
Crollò sì l’Impero Romano, ma non la Chiesa Cattolica, anzi, su questa si rifondò la società europea. E poi rinacque questa società in un sistema agricolo e territoriale, gerarchico e identitario, fondato sul piccolo e medio commercio e sulla famiglia allargata, sul lavoro controllato dal sistema delle corporazioni e sullo scambio di moneta reale, che costituì la natura profonda della nuova Europa e della sua aurea civiltà. Fu in questo contesto che si formarono, vissero, lavorarono e progredirono, fino ad esprimere la più grande civiltà umana della storia, le comunità popolari europee, unite nell’universalismo della Chiesa e dell’Impero e al contempo protette nel loro particolarismo localistico proprio dalle due istituzioni universali, che per propria natura tendono a mantenere vivo il particolarismo al contrario di quanto faccia lo statalismo accentratore e oggi l’oltre-statalismo dissolutore.
Non sono profeta e non posso conoscere tempi e modi. Ma so per certo, e chiunque lo può capire ovviamente, che questo immenso Moloch mondialista e sinarchico prima o poi crollerà come è crollato l’Impero Romano e dalle sue rovine nascerà, e con tempi infinitamente più veloci e ovviamente con modalità adeguate al progresso presente (non si tratta chiaramente di tornare al ponte levatoio e al carro coi buoi, ma di ancorare l’incredibile e inquietante progresso raggiunto a valori religiosi e naturali che ne sottopongano l’utilizzo al bene comune e al rispetto delle leggi eterne del cosmo) una nuova società simile a quella medievale nella mentalità e nella natura particolaristica dove centro della politica saranno le comunità etniche e identitarie riunite tra loro dal medesimo collante dei secoli passati, la fede cattolica di una Chiesa rinnovata e di un clero rinsavito (il rinsavimento di una parte del clero odierno è condizione necessaria…) e incastonate in una Europa che non sarà il mostro odierno, ma si spera una rinnovata forma di Impero sovranazionale, legittimato dal consenso delle popolazioni e dall’adesione all’unica vera religione.
In tal senso, devo ammettere, che tra la via localistica e quella unitarista, la più lontana e meno probabile mi appare la seconda, che in fondo è stato l’esito di un secolare processo post-feudale e che peraltro è finito col favorire il mondialismo sovversivo.
L’Italia e l’Europa sono nate con l’Impero Romano, che certamente era molto più accentratore del futuro Sacro Romano Impero, ma che al contempo sapeva lasciare una certa qual autonomia almeno religiosa e culturale a tutti i popoli sottomessi; poi sono rinate con la Chiesa e il Sacro Romano Impero, istituzioni anch’esse universaliste e attente alla difesa del particolarismo identitario delle popolazioni. Ancora cento anni fa esisteva l’ultimo barlume di quello che fu l’Impero fondato da Carlo Magno e non per niente garantiva la coesistenza di decine di popoli e nazioni, anche di religioni differenti (cattolici, ortodossi e protestanti, compresi gli ebrei): e per questo infatti fu anzitutto scatenata la Grande Guerra, per distruggere quest’ultima luce della civiltà cristiana. Su ventisette secoli di storia europea, più di venti sono stati caratterizzati dall’esistenza politica di questa entità sovranazionale che è l’Istituzione imperiale, al contempo superiore a ogni localismo e garante di ogni localismo, in quanto proprio nelle tante realtà locali affonda le proprie radici vitali.
Per questo io auspico una futura rinascita dell’istituzione imperiale in Europa: il vero problema è quello ideologico. Anche la UE infatti è un’istituzione apparentemente sovranazionale, ma in realtà il suo scopo è l’eliminazione di ogni Stato come di ogni particolarismo locale, fino in fondo, perfino a livello etnico, come l’immigrazionismo da essa perseguito oggi chiaramente dimostra, e fino all’eliminazione della religione bimillenaria degli europei. Quello per cui dobbiamo lottare invece è un’Europa che rinasca dalle sue radici più profonde e tradizionali, e conservi tutto ciò che l’ha resa maestra del mondo nei secoli passati: la religione, le istituzioni civili, le culture, le lingue, le etnie e i popoli e soprattutto l’identità europea, ciò che ci rende diversi da tutte le altre civiltà e organizzazioni politiche e culturali della storia.
In tal senso, il futuro impero europeo dovrà essere, istituzionalmente parlando, confederale, un’Europa delle patrie e delle popolazioni, delle identità e delle culture, unite – si spera – dalla comune religione e dal comune passato e dai comuni interessi, ma sempre caratterizzata dalla difesa delle decine e decine di realtà locali che l’hanno sempre composta e arricchita. Ciò che è già esistito, non tornerà più a esistere come prima, ma può, mutatis mutandis, tornare a esistere nel futuro, perché è già stato possibile.
E, in attesa di verificare se le cose andranno più o meno in questa maniera, cosa si fa?
Tornando a noi e ai nostri tragici giorni, per essere quindi nuovamente realisti e concreti, ciò che va fatto in questi giorni in cui la storia corre molto più veloce della nostra stessa immaginazione verso i suoi tragici esiti, è di resistere al male, e il male è la società gnostica ed egualitaria, liberale e socialista al contempo, anarchica e mondialista, finanziaria e pauperista, pacifista e violenta, umanista e antiumana, comunque a-morale a antinaturale, secondo quella “coincidentia oppositorum” tanto cara agli gnostici di tutti i tempi e luoghi.
Ciò che possiamo e dobbiamo tutti fare oggi in concreto è resistere agli strumenti utilizzati per l’attuazione del grande piano sovversivo: combattere l’immigrazionismo, l’UE, la BCE, la superfinanza e i loro piani di dissoluzione totale della civiltà umana e di contro difendere ogni giorno, in un rinnovato spirito di unità e collaborazione, anzitutto fra italiani, ma anche, come detto, con tutti gli altri europei che condividono queste preoccupazioni e finalità, tutto ciò che di grande ha costituito la civiltà europea dei secoli passati.
Non è più tempo di piani politici ideali: la città è assediata, Annibale è alle porte e pure dentro le porte, ormai. È tempo di combattere uniti per salvare tutto. La verità è che lo Stato nazionale è morto per sempre, mentre il federalismo, quello vero, è oggi come oggi irrealizzabile, se non fittiziamente. Ciò che invece è possibile è appunto combattere il mondialismo e la sovversione difendendo gli europei, gli italiani, e si difendono gli italiani difendendo i lombardi, i siciliani, i veneti, i napoletani, i sardi, i friulani, e tutti le altre popolazioni italiche. Difendendo anche le comunità interne alle regioni suddette, difendendo ogni particolarismo civile, culturale, etnico, linguistico, e al contempo trovando unità generale nel sentirci tutti figli comuni della stessa Fede e della stessa tre volte millenaria storia ed eredità civile e culturale. Questo va difeso, questo può essere fatto. E va fatto.
11 commenti su “Un’altra Storia è possibile. Rubrica di studi storici di Massimo Viglione”
Grazie infinite, professore.
Lo Stato/Nazione, in fondo, è stata l’ incarnazione tragica e paradossale dell’istinto di autocontemplazione che è tipico dei Francesi (specialmente quelli di Parigi, città dell’estremo Nord rispetto alla Francia, a 150 km dal Canale della Manica).
Quanto più “vere” appaiono le denominazioni storiche che mettono in risalto le diverse forme di “statualità” ! Vedo su Wikipedia che l’ Austria/Ungheria (1867) si chiamava ufficialmente “I regni e le terre rappresentate nel concilio imperiale e le terre della corona di Santo Stefano”.
Grande, prof.
Molti anni fa dei commissari esterni proposero un tema sull’Europa e sul suo assetto. Sulla scorta di un discorso di De Gaulle contrappongo da una parte l’Europa dei mercanti che cerca il bene economico e il livellamento, dall’altra l’Europa delle genti, un’occasione per risolvere le anomalie di confine, retaggio delle guerre, per formare macro-regioni con eguale tradizione e cultura (esemplificavo con Baviera-Tirolo, area culturale omogenea, di lingua tedesca e religione cattolica). Ogni area culturale avrebbe potuto scegliere le forme di istruzione e di assistenza più consone alla sua popolazione. Avrebbe potuto accordare alle religioni un ruolo consono al loro seguito. L’Europa avrebbe tratto profitto dalle differenze. La reazione fu inusitata. Il mitissimo Preside, spaventato, mi convoca e mi interroga sulla mia eventuale appartenenza a società segrete o associazioni politiche estremiste. Da lì partì un’opera discreta di sorveglianza.
Per me da allora la democrazia ha gettato la maschera e mostrato di essere una democrazia solo apparente e sotto tutela. Non vi è dubbio, avevo toccato un nervo scoperto. Senza rendermene conto avevo denigrato il grande progetto, prospettando una soluzione che di quel progetto è l’esatto contrario.
http://www.losai.eu/cari-fratelli-massoni/
Purtroppo i libri di storia su cui siamo stati educati erano tutta un’esaltazione del risorgimento quale momento fortemente patriottico del popolo italiano;ricordo come venivano presentati episodi quali “I fratelli Bandiera”,Amatore Scesa,Ciro Menotti, ed anch’io fui educato all’idea che i buoni erano Mazzini,Garibaldi,Cavour,Vittorio Emanuele,mentre i cattivi tiranni erano i re borbonici ed asburgici.Ricordo che da bambino e anche da ragazzo parteggiavo per i primi e vituperavo Cecco Beppe che veniva presentato come l’uomo più odiato dagli italiani.Ricordo che mio nonno,combattente della prima guerra,aveva una piccola forca soprammobile a cui era appeso un fantoccio di Francesco Giuseppe con sotto scritto “L’ultimo tango dell’impiccatore d’Austria”.Cresciuto con queste idee,solo da adulto ho capito che la realtà era completamente opposta,che quei “tiranni” erano invece dei bravi re cattolici e che i risorgimentalisti erano in realtà dei massoni nemici di Dio e della Chiesa.
Anche la cosiddetta resistenza,hanno tentato di farcela studiare come un nuovo secondo risorgimento che ha ridato la libertà e la repubblica al popolo oppresso dal feroce dittatore Mussolini,quando invece oggi sappiamo che il fascismo è stato forse l’unico periodo della storia moderna in cui l’Italia ha avuto una sua vera identità nazionale,un suo orgoglio patriottico ed autarchico arrivando a rivedere l’impero sui colli fatali di Roma! Quanto ad oggi,si pone la scelta fra unitarismo e federalismo.Noi della Destra missina siamo sempre stati storicamente “unitaristi” e statalisti contrari ad ogni secessione,ma allo stato attuale,non vedremmo male un’Italia moderatamente federale sul tipo dei cantoni svizzeri.In fondo la Svizzera,fuori da tutto,è quasi un’isola felice nell’Europa massone ed immigrazionista;bisognava fare come loro,restare fuori da tutte le organizzazioni europeiste controllate dalla massoneria che vuole giungere all’unico governo mondiale ed all’unica religione entro il 2020.
Purtroppo l’Impero fondato da Mussolini (dando il titolo a Vittorio Emanuele III, che pensava agli amci massoni inglesi, non certo alle “faccette nere” d’Etiopia..) era in realtà la compensazione di un vecchio senso di inferiorità rispetto alla “Gloria” di Napoleone – che aveva tentato l’Impero neopagano, per avere qualcosa di grande da cotrapporre alla grandezza del Papato: prospettiva folle, satanica, ma intelligente.
A proposto dell’Impero Austriaco (esistito formalmente ffra il 1804 e il 1867, quando divenne Impero Austo-Ungarico): la maestra di un mio amico settantenne diceva a scuola, negli anni ’50, “Io odio ancora l’Austtria”
GRAZIE !
Che questa riflessione diventi presto un terreno di incontro fra uomini ragionevoli, di buona volontà, di riconoscenza verso le proprie radici e la propria cultura. Che sia ripreso e ristudiato il concetto di bene comune, proprio alla luce di queste considerazioni, alla luce della realtà della storia, dei popoli e delle loro essenze, che questa riflessione sia fondamento di un nuovo agire culturale, politico e religioso. Che sia di richiamo a quei sacerdoti impauriti e sprovveduti che si astengono dal prender posizioni e mirano a galleggiare inseguendo il simulacro di una pace falsa e illusoria. GRAZIE professore, ci voleva una riflessione di così ampio respiro, di lucida analisi e di concreta speranza.
Andrea Peracchio (Torino)
Mi permetto di segnalare lo studio di Paolo Pasqualucci, Unita e cattolica, che riporta una serie di riflessioni molto interessanti sul tema, sfatando anche alcuni luoghi comuni della storiografia neopapalina e neoborbonica. L’unica via di uscita sarebbe la costituzione di un serio partito cattolico nazionale (non nazionalista) che tanto manca in Italia (né Lega Nord né Fratelli d’Italia possono raggiungere un simile obiettivo attualmente). Purtroppo, se anche ci fosse, non riuscirebbe ad avere largo seguito. Paradossalmente, chi ha favorito il cattolicesimo e contrastato efficacemente la massoneria è stato un partito politico totalitario e anticlericale come quello fascista. Ci si muove sempre tra Scilla e Cariddi, come al tempo delle monarchie assolute.
Forza Nuova?
il disegno di Filelleno – un partito cattolico nazionale – è condivisibile – purtroppo i cattolici fedeli alla tradizione sono in maggioranza ostili all’unità della Patria – a mio avviso è (forse) necessario separare e allontanare il dibattito sul risorgimento dall’orizzonte della politica d’oggi – il contributo di Paolo Pasqualucci (Unita e cattolica) indica (a mio avviso) la via percorribile da un pensiero capace di emancipare i tradizionalisti dalle suggestioni anacronistiche, che li (ci) respingono nelle strettoie del nostalgismo e dell’irrealismo