… il cristianesimo, quello vero, non è la religione della gioia, quella festosa parodia della fede celebrata attorno alle tavole calde nella messa inventata dalla riforma di Paolo VI. Solo dei poveri simoniaci che fanno mercimonio di una misericordia a buon mercato potranno spacciare cibo spirituale adulterato così goffamente. Il cristianesimo, quello vero, è la religione della salvezza inchiodata sulla Croce. Non c’è uomo che su questa terra possa dirsi salvo una volta per sempre e dunque non c’è uomo che non possa dirsi triste.
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Ogni settimana Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti possono scrivere, indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it , con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni settimana sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.
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PD
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Mercoledì 3 febbraio 2016
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È pervenuta in redazione:
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Gentilissimo Alessandro Gnocchi,
mi presento dicendole subito che sono ateo. Mi sforzo di esserlo con onestà e coerenza, anche se con il passare del tempo e l’accumularsi degli anni temo che onestà e coerenza comincino a vacillare. Sono cresciuto in una famiglia in cui l’ateismo era una fede e mi parrebbe di tradire i miei legami più intimi se pensassi che esiste qualche cosa oltre la vita su questa terra. D’altra parte, vedo che ai preti del giorno d’oggi interessa poco la conversione di quelli come me, forse perché non ci credono più neanche loro. È stato Scalfari a scrivere che l’attuale Papa gli ha chiesto di non convertirsi. Non so se è vero, però è verosimile. Ora lei si chiederà perché scrivo proprio a questo sito e alla sua rubrica e la risposta è molto semplice. Perché questo è un luogo in cui trovo qualcosa che forse sto cercando senza avere il coraggio di confessarlo. Sappiate che parlando con serietà e amore della vostra fede parlate anche a chi quella fede non l’ha. Per favore, non smettete di farlo almeno voi.
Grazie
Piergiorgio Tommasoni
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che bel cristiano sarebbe un ateo come lei, se solo, con onestà e coerenza, si arrendesse senza condizioni alla fede che preme sulla soglia del suo cuore. Ogni fremito della sua anima è il battere di Dio che chiama attendendo fino all’ultimo istante un sì o un no. Quel Dio che, infinitamente più generoso del generoso degli uomini, si offre alle sue creature nel mirabile “pulsate et aperietur vobis”. Agli uomini che bussano saranno aperte le porte del Cielo, mentre il Signore dell’universo corre l’amorevole rischio di fermarsi davanti a una porta chiusa sulla terra. Una porta come quella della sua anima, caro Piergiorgio, che lascia vedere uno spiraglio, ma non è spalancata. E offenderei la sua onestà, la sua coerenza e anche la sua intelligenza, se le dicessi che quel pertugio basta per sentirsi al sicuro nel momento del giudizio, o se la tranquillizzassi suggerendole che quel momento non verrà mai perché siamo tutti già salvi, che è come dire che siamo tutti già dannati.
Il mondo è pieno di cristiani anonimi alimentati nel loro rifiuto di Cristo da uomini di Chiesa contagiati e abbruttiti dall’ateismo, estranei o forse terrorizzati all’idea della vita eterna. Sarà Cristo giudice a stabilirne il destino perpetuo, ma si può solo tremare per loro e per chi li inganna, sapendo che l’unica salvezza viene dalla Croce di Cristo e si trova solamente dentro la Chiesa cattolica. Chi, in nome della bontà di Dio, non le chiede di convertirsi, caro Piergiorgio, nomina invano la misericordia, la bestemmia, sbeffeggia Cristo sulla Croce come il demonio sul Calvario.
Questi pastori di cristiani anonimi che la invitano ad abbracciare il mondo invece della Croce lo fanno per sfuggire alla prima domanda che lei rivolgerebbe loro, se solo avessero la carità di ascoltarla invece che la superbia di affidarla ai loro luccicanti piani pastorali. Sono terrorizzati, inerti e inermi davanti all’universale interrogativo sul momento cruciale della vita di ogni creatura: quello che precede la morte. Non sanno cosa dire perché non sanno cosa credere. Non le parlano della Croce, per la quale il principe della Chiesa del dubbio Carlo Maria Martini confessò di avere tanta repulsione, perché, pur nell’orizzonte della resurrezione, la Croce parla della morte e del soffrire, e non di altro. Per offrirla, bisogna aver avuto almeno un po’ di fede e un po’ di coraggio per abbracciarla. Se lei cerca qualcuno che abbia la forza di farla inginocchiare, caro Piergiorgio, deve trovare chi le parli virilmente degli attimi che precedono il morire. Perché, lei lo ha capito, se quel momento fosse dominato solo dal comprensibile timore che ogni uomo prova in prossimità della fine, forse basterebbe una scommessa, un’ultima guasconata, per arrivare fin sulla soglia storditi abbastanza da non pensarci. Se fosse così, avrebbero ragione l’illuminismo e i suoi epigoni quando indicano nella banalissima paura della morte l’origine della religione.
Se fosse così, caro Piergiorgio. Ma, evidentemente, non lo è, se fior di uomini di ingegno, figli delle più estrose varianti dei lumi, in prossimità dell’attimo cruciale si sono incamminati lungo strade impreviste, che li hanno sottratti all’anonimato di un cristianesimo senza Cristo. Evidentemente non è così, se le loro decisioni ultime tengono banco tra credenti e non credenti, se si continua a parlare della conversione di Renato Guttuso, di quella intravista nel corona del Rosario di Proust, di quella inquieta e opinata di Oriana Fallaci o di quella quasi certa di Gramsci.
Può negarlo a parole, caro Piergiorgio, per un mal riposto senso dell’onestà e della coerenza, ma i fatti, anche dentro la sua anima si svolgono diversamente da come vorrebbe. Anche per lei, come per tutti i disincantati abitanti del terzo millennio, la conversione, la fiduciosa apertura su una trascendenza a lungo negata, continua a esercitare un fascino invincibile poiché va alla radice dell’esistenza di ogni singolo uomo. Ciò che è tragico è che gli unici a essere imbarazzati da questa parola, “conversione”, sono quei guardiani di anime morte che invitano il prossimo a non aprirsi sinceramente a Dio in nome di una non meglio precisata autenticità.
Eppure, non vi è sincerità più concreta che la risposta alla perenne chiamata di Dio, al richiamo pacificatore capace di rendere vero l’essere umano nel momento più importante della propria vita. Quando a San Carlo Borromeo chiesero che cosa avrebbe fatto se gli avessero detto che sarebbe morto entro un’ora rispose: “Cercherei di fare particolarmente bene ciò che sto facendo ora”. Altri tempi, dirà lei, caro Piergiorgio, e per certi aspetti non sbaglierebbe. Erano tempi in cui i sacerdoti, invece delle intonse eppure nefaste encicliche verdi sulla cura della Casa Comune, tenevano sul loro scrittoio un teschio per aver ben presente la caducità dell’esistenza. Erano i tempi in cui era facile trovare sin nelle case più povere libretti che si intitolavano Apparecchio alla buona morte. Ma, proprio per questo, contrariamente a quanto sostiene la vulgata corrente, erano tempi pieni di vita. Un uomo del Seicento non aveva bisogno di trovarsi davanti all’assurda tragedia del Bataclan per scoprire che esiste la morte. E, soprattutto, ne aveva avuto ben chiaro il senso.
L’uomo moderno, invece, si trova sempre più spesso nella condizione di dover prendere atto dell’epilogo solo poco prima che avvenga. E allora non può più fingere. Per tutta la sua esistenza può aver giocato con il senso della vita, può aver occultato, dissacrato, violentato il mistero della nascita, può continuare a ritenerlo un fatto puramente biologico, ma solo fino al penultimo atto della sua esistenza. La morte gli si presenta inevitabilmente anche sotto un aspetto soprannaturale e, in questo frangente, non c’è teoria che tenga.
Per la prima volta, il mistero gli si palesa in forma tanto decisa e prepotente da non essere eludibile. Gli compare in forma sincera e generosa, non come qualcosa che deve essere decifrato o svelato, ma come Qualcuno che gli si fa incontro per dirgli chi è veramente. La consapevolezza dell’eterno si fa largo nella coscienza e mostra con le piccole, grandi e concrete evidenze della decadenza che la vita senza fine non ha nulla a che fare con il dato biologico, ma riguarda l’interezza della persona, anima e corpo. Ed è qui, caro Piergiorgio, che la conversione giunge a compimento, nel punto in cui la persona finita scopre che può trarre il senso autentico della propria vita da una Persona che finita non può essere.
Oggi, molti sostengono che il problema dell’ateismo stia nella difficoltà di spiegare l’origine della vita. In realtà, il vero problema dell’ateismo sta nella sua strutturale incapacità di spiegarne la fine. Il razionalista può anche illudersi di padroneggiare l’inizio dell’esistenza, ma non potrà mai farlo con la sua fine, neanche puntandosi un pistola alla tempia, neanche inventandosi tutte le possibili leggi sull’eutanasia. In prossimità della fine l’adulto è molto meno adulto di quanto potrebbe immaginare. Non a caso, gli insegnamenti più concreti sulla morte si trovano nelle fiabe. Ve n’è uno straordinario in un racconto modernissimo, nel film Mr Magorium e la bottega delle meraviglie. Al momento di lasciare questo mondo, uno straordinario Dustin Hoffman spiega il senso di tutto dicendo: “Quando re Lear muore nel quinto atto, sai Shakespeare che cosa ha scritto? Ha scritto semplicemente: ‘muore’!”. Caro Piergiorgio, ci voleva un genio per raccontare in una parola il senso della vita. Ci vuole Dio fare in modo che quel senso non sia vano.
In poche parole, ci vuole la fede, che non è un anestetico per esseri inferiori, come hanno tentato di farci credere quegli intelletti e quelle anime deboli degli illuministi e come hanno finito per credere quegli intelletti e quelle anime ancora più deboli che pascolano anime morte dentro una Chiesa anonima. La fede è quella che Abramo ha mostrato sul Monte Moria, quella che impegna qui e ora davanti a Dio. Il Signore aveva messo il vecchio patriarca alla prova chiedendogli in sacrificio il figlio e lui, in virtù della sua fede, poteva solo obbedire e, insieme, affidarsi: inoltrasi nella follia secondo il mondo per salvare la vita di Isacco e la sua anima. Kierkegaard, in Timore e tremore lo racconta con suggestione di intelletto e di fede difficilmente eguagliabili: “Abramo tuttavia credette e credette per questa vita. Certo, se la sua fede fosse stata soltanto per una realtà futura, allora sarebbe stato facile per lui affrettarsi a uscire da questo mondo al quale non apparteneva. Ma tale non era la fede di Abramo, se mai esiste una fede simile; poiché in fondo ciò non è fede, ma la possibilità più remota della fede (…). Ma Abramo credette proprio per questa vita, che sarebbe invecchiato in quella terra, onorato dal popolo, benedetto nella sua posterità, indimenticabile in Isacco (…). Abramo credette e non dubitò, egli credette nell’assurdo. Se Abramo avesse dubitato, allora avrebbe fatto qualcosa d’altro, qualcosa di grande e di splendido. (…) Egli si era recato sul Monte Moria, aveva tagliato la legna, acceso la catasta, estratto il coltello, aveva gridato a Dio: ‘Non disdegnare questo sacrificio, non è ciò che ho di meglio, ne sono certo. Poiché cos’è un povero vecchio rispetto al figlio della promessa? È però la cosa migliore che possa darti. Fa che Isacco non lo venga a sapere, che possa consolarsi con la sua giovinezza’. E si sarebbe piantato il coltello nel petto. Sarebbe stato ammirato nel mondo e il suo nome non sarebbe stato dimenticato; ma una cosa è essere ammirati e un’altra è essere una stella che guida, che salva chi è angosciato”.
Altro è l’eroe romantico, caro Piergiorgio, e altro il santo, l’uomo di fede. “Basta il semplice coraggio umano per rinunziare a tutta la realtà temporale nella speranza di ottenere l’eternità” spiega ancora Kierkegaard. “Occorre invece un coraggio umile per poter ora afferrare tutta la realtà temporale in virtù dell’assurdo e questo è il coraggio della fede. Con la fede Abramo non rinunziò a Isacco, con la fede Abramo ottenne Isacco”.
Caro Piergiorgio, il cristianesimo, quello vero, non è la religione della gioia, quella festosa parodia della fede celebrata attorno alle tavole calde nella messa inventata dalla riforma di Paolo VI. Solo dei poveri simoniaci che fanno mercimonio di una misericordia a buon mercato potranno spacciarle cibo spirituale adulterato così goffamente. Il cristianesimo, quello vero, è la religione della salvezza inchiodata sulla Croce. Non c’è uomo che su questa terra possa dirsi salvo una volta per sempre e dunque non c’è uomo che non possa dirsi triste. I padri della Chiesa, specie quelli orientali, riassumono questo stato, che è la condizione stabile anche del più grande tra i santi, con il concetto di “penthos”, di “lutto” per la salvezza perduta, quanto a sé o quanto agli altri. E per salvezza i padri non intendono solo la possibilità di evitare l’inferno, ma, in senso più largo, comprendono la salute, l’assenza di infermità spirituali. Insegnano che tutte le nostre colpe, anche le più piccole, compromettono almeno un po’ la nostra salvezza. “Quando un uomo avesse il potere di fare dei miracoli e delle guarigioni” dice Isaia abate del sesto Discorso “quando possedesse la gnosi intera e resuscitasse dei morti, dal momento che è caduto una volta nel peccato, non può essere senza inquietudine, poiché egli è soggetto a penitenza”. Per questo la religione cristiana è la religione delle lacrime. “Prega per prima cosa per ottenere il dono delle lacrime” scrive Evagrio Pontico nel trattato Sulla preghiera “perché tu possa, mediante la compunzione, ammorbidire la durezza che c’è nella tua anima e, confessando contro te stesso la tua iniquità al Signore, ricevere da Lui il perdono”.
Questo lutto per la salvezza perduta, che deve essere perpetuo, caro Piergiorgio, porta frutto per sé e per il nostro prossimo. A che cos’altro era ispirato il cilicio che portava sotto le vesti damascate la nobile Vanna di Bernardino di Guidone? Ma proprio quando, dopo la sua morte, scoprì quel tormentoso strumento di penitenza, suo marito, il gaudente Jacopo de Benedictis, si convertì e divenne Jacopone da Todi. Oggi, naturalmente, quando parlano di questo episodio, i gioiosi cattolici mondani premettono che “appare dubbio e frutto della leggenda”. Li lasci perdere, Piergiorgio, sono troppo festosi per sentirsi in lutto, troppo ubriachi di misericordia per temere della salvezza, troppo dubbiosi su Dio per fidarsi della leggenda.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
21 commenti su ““FUORI MODA”. La posta di Alessandro Gnocchi”
Splendido articolo, ma aggiungerei, scusi ma non vuol essere prosopopea, ma a me povero cristiano peccatore, ha fatto tanto bene e continua a farne, quel capitolo intitolato: “Cielo andata e ritorno”, che campeggia; è l caso di dirlo; nel bel libro uscito nel Luglio scorso e scritto da Antonio Socci, con il singolare tittolo di: AVENTURIERI DELL’ETERNO. Ne suggerisco a tutti la lettura, ben meditata, non se ne esce così come se ne é entrati.
Col fervido Augurio del Sommo Bene per tutti e perticolarmente, per il suo caro, credo caro a tutti, Piegiorgio
Gentile Piergiorgio, lei scrive ‘Sono cresciuto in una famiglia in cui l’ateismo era una fede e mi parrebbe di tradire i miei legami più intimi se pensassi che esiste qualche cosa oltre la vita su questa terra’. Vorrei dirle con rispetto che il divenire adulti implica anche l’accettare che i nostri genitori, pur avendoci dato la vita e tutto l’amore possibile, non per questo incarnavano la perfezione (come nessun uomo in terra).
Questo dovrebbe aiutarci a ridimensionare gli eventuali pensieri erronei che possono averci trasmesso in età evolutiva, o almeno a darci il coraggio di chiamare questi errori col loro nome. Questo è il primo passo. Dopo il quale rimane la nostra libertà di rimanere in questi pensieri ereditati, però con la chiarezza di farlo per PER SOLI MOTIVI AFFETTIVI, e NON PERCHE’ FOSSERO VERITIERI).
E poiché lei è in ricerca, le auguro col cuore di trovare quanto desidera scoprire.
Eh no,caro Gnocchi:il Cristianesimo è la religione della speranza,chi ha fede ha il diritto dovere di essere ottimista pur nelle inevitabili angustie grandi e piccole della vita.”Servite Dominum in letitia” disse S.Francesco,non nel pianto.”La tristezza è del diavolo”:Non bisogna piangere d’ufficio;nei momenti migliori bisogna ringraziarLo,in quelli dolorosi abbracciarLo.Lo so che è arduo,ma se è vero che il Regno di Dio inizia in questo mondo occorrerebbe vederlo con più gioia.Ripeto:lo so che è estremamente arduo,ma se si considera l’esistenza solo come dolore e condanna,rifletta,non è da Lui un dono del genere
Certo che il Cristianesimo è la religione della speranza e certo che è bellezza. E credo che queste lacrime di cui parla Alessandro Gnocchi non sono la connotazione triste del cristiano, ma rappresentano l’inquietudine per i nostri peccati, cioè quell’atteggiamento di vigilanza per cercare di evitarli e per provarne pentimento. Tutto il contrario di coloro che ritengono che visto che c’è la misericordia, prendiamo la vita alla leggera, ché tanto, comunque sia, il paradiso ci attende.
Caro Giorgio, sono d’accordo con lei. Questa volta lo scritto del sempre interessante Alessandro Gnocchi mi pare troppo sbilanciato, forse per mettere in guardia dagli eccessi della melassa misericordia. Penso anch’io che il cristianesimo serva per vivere con gioia, o meglio con letizia, e l’ottimo Gnocchi potrebbe trovare molte citazioni bibliche o di grandi santi che esprimano questo concetto. Lo stesso Gesù quando nell’orto degli ulivi prega chiede di non bere l’amaro calice, anche se poi si offre per la nostra salvezza. Quindi la croce, che mai deve essere occultata , è sempre un mezzo e non uno scopo.
Prima o poi finirà l’orgia dei buontemoni
Profondissima e commovente: aggettivi infinitamente inadeguati al valore di questa lezione magistrale che dal cuore di chi l’ha scritta non può non arrivare al cuore di colui a cui è rivolta. Vi si trova la passione vigorosa del credente che la fede non vuole tenerla per sé, ma vuole trasmetterla: un perfetto atto di carità. Come non restare stupefatti di fronte a una misericordia di questo genere? Di fronte a questo crescendo di insegnamenti, così veri e così, come dire, naturalmente cattolici? Parole mai più sentite da un altare, né tanto meno in un confessionale dove, pentiti, si va a cercare la consolazione di Dio. Caro Alessandro Gnocchi, dopo aver letto e meditato queste sue parole, non credo occorra la lettura di Avventurieri dell’eterno per sentirsi l’anima elevata. La gioia spesso consiste nella constatazione che la nostra santa Religione non è morta, se vi sono persone come lei.
Sig. Tommasoni,la prego, faccia uno sforzo in più e della pagina mirabile a lei rivolta cerchi di fare un buonissimo e proficuo uso.
La fede è un dono “gratis dato” da Dio (una grazia di Dio) disponibile per tutti (tutti coloro che lo accettano), per questo in termini umani rappresenta sempre e comunque
un atto volontario liberamente scelto dall’individuo. E’ Lei Sig. Tomassoni che può ed ovviamente DEVE decidere, su di sé, sulla Sua esistenza, sul senso della Sua vita.
Una fede nell’assenza di Dio è una fede vuota, che ripiega in sé stessi e con la morte uccide tutto.
La fede in Dio, atto libero dell’intelletto, conduce invece alla comprensione ed alla accettazione della infinita ed eterna realtà divina.
La fede è uno strumento di comprensione, una facoltà in più di cui ognuno può disporre (a patto che lo voglia) e dà lì si parte per quel cammino
luminoso e tremendo che attraverso la croce può condurre alla porta stretta della Salvezza.
Anche Sant’Agostino faticò molto a trovare la Sua fede, ma poi vinse e scrisse: Credo ut intelligam, intelligo ut credam.
Provi a pregare, Dio ci ascolta, sempre !
Grazie, Gnocchi, questo articolo è un capolavoro, pieno di verità e di sana misericordia.
Caro Piergiorgio, Lei sta bussando alla porta di Cristo, questo la espone al serio “pericolo” che Cristo le apra. Il Signore è in ascolto dei battiti del nostro cuore, aspettando che questo batta anche per Lui. Il suo spirito inquieto alla ricerca della Verità è già la Verità da sé stessa. L’abbracciare Cristo non toglie un millesimo alle nostre pene qui sulla terra anzi, per certi aspetti ne aumenta il sentire, poichè si (ri)conoscono più nel profondo i propri limiti e l’immanente diventa trascendente. Caro Piergiorgio, Lei ha molta più Fede di tanti sedicenti credenti in Cristo e come un “guerriero che in tempo di pace combatte sé stesso”, sta vincendo, con Cristo. Cari Saluti.
Signor Piergiorgio, la sua lettera, che comunica sensibilità e serietà, mi ha commossa profondamente, forse perchè ero come lei fino a pochi anni fa. La Grazia ha bussato quando, per pura curiosità intellettuale, ho assistito ad una Santa Messa secondo il rito antico. Non saprei più pensarmi, oggi, pur con tutte le inevitabili difficoltà, miserie e cadute che mi caratterizzano, senza lo sguardo di Colui che solo è Via, Verità e Vita. L’onestà e la coerenza di cui lei parla era quella che anche io mettevo nel mio quotidiano, con una tensione etica sempre vigile, ma che è destinata per forza a vacillare e risolversi un una chimera. Le assicuro preghiere perchè lei apra quella famosa porta di cui le parlava tanto magistralmente il dottor Gnocchi, con il quale concordo: sarebbe proprio un bel cristiano un ateo come lei! Le auguro ogni bene.
Quello che mi ha colpito particolarmente è la frase:
“D’altra parte, vedo che ai preti del giorno d’oggi interessa poco la conversione di quelli come me, forse perché non ci credono più neanche loro.”
Un ateo nel passato si sentiva infastidito da coloro che tentavano di ricondurlo a Dio. Ora che molti pastori vacillano nella fede e camminano nelle tenebre anche un non credente si rende conto della immane desolazione che ci circonda.
Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi ascolta, ripeta: “Vieni!”. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita.
Ap 22,17
E’ bello trovare di questi tempi un ateo più devoto del papa. Tuttavia è necessario il grande passo per portare a compimento la salvezza.
Di atei, od agnostici che dir si voglia, è piena la storia. Mi ha colpito, nei decenni scorsi, in merito, una figura. Quella di Indro Montanelli.
Era sempre ad un metro dal confine della fede ; però non si decideva mai a varcarlo. Solo Dio sa se lo ha fatto in punto di morte. Speriamo. Ma – a mio parere – quello che trattiene costoro dall’ abbracciare totalmente la cattolicità è il timore – suscitato senz’ altro dal Tentatore – di perdere la propria libertà. Se sapessero che osservando i comandamenti vivrebbero nella gioia, farebbero immediatamente il salto auspicato. Vivrebbero nella gioia, si, attenzione, non nel godimento. Non confondiamo. Nella gioia vivono anche i martiri e i perseguitati per la fede di ogni tempo. Si può essere sereni anche in Croce. Vero , Bergoglio ?
Magari avessimo dei sacerdoti che parlano come Lei Signor Gnocchi .
Perfetto! Concordo pienamente…magari!!!
Caro Signor Piergiorgio,
se lei in questo sito trova ciò che sta cercando non deve fare altro che continuare a leggerlo e un ulteriore, piccolo (ma importantissimo), passo: inizi a commentare anche lei!
Probabilmente si sentirà a disagio a commentare gli articoli che riguardano DIRETTAMENTE la fede, ma ce ne sono tantissimi che riguardano la morale (la morale cattolica può essere condivisa, come a volte in effetti accade, anche dagli atei): se inizierà a commentarli con una certa frequenza la comunicazione con persone cattoliche diventerà una parte importante della sua vita e un po’ alla volta nascerà anche in lei l’amore per il VERO cattolicesimo, per la sua coerenza e per la sua perfezione…a questo punto la conversione sarà molto più facile e non le sembrerà più un tradimento nei confronti dei suoi cari, ma la cosa più naturale, ovvia e giusta da fare!
…
Dio non ha mai smesso di chiamarla e ciò che ha scritto dimostra che lei è riuscito a sentirLo: frequentando ATTIVAMENTE un sito cattolico potrà riuscire a sentirLo molto più fortemente.
Avrà molto aiuto anche dal cominciare a pregare: la risposta non si farà attendere!
Sig. Piergiorgio,
la Fede è il Dono che Dio fa a tutti,dipende dal ns atteggiamento interiore di accoglienza del Suo Dono.Se Dio trova un cuore non pronto ad accoglierLo,per svariati motivi,certamente Dio non forza la ns. libertà,ma non smette mai di bussare alla porta del Ns. cuore nel corso della vita, tramite eventi, persone, cose ecc.La prima Parola di Dio sta nel Suo Vangelo che ci dice che Egli si è manifestato pienamente facendosi Uomo in Cristo. Gesù dice che nel rapporto di Fede con Dio, bisogna essere come bambini”Se non ritornerete come bambini non entrerete mai nel regno dei Cieli” e la caratteristica del bambino è la completa fiducia nel genitore, da cui scaturisce l’umiltà di chi sa di non poter far da solo e si abbandona completamente al padre.In tutti gli ateismi c’è questa mancanza di umiltà di non voler riconoscersi creature bisognose di Dio Padre. L’umiltà di inginocchiarsi in una chiesa davanti a Gesù Crocefisso o davanti al Santissimo Sacramento e chiedere l’accoglienza della Fede. Pertanto Dio ci chiede innanzitutto il ns. cuore e successivamente la Ragione ne è illuminata e si capisce non solo col cuore ma anche con la razionalità che questa è la Verità. Le faccio tanti auguri perché trovi non solo l’umiltà ma anche il coraggio di fare questo.
Cordiali saluti.
“Id quo maius cogitare nequit” disse sant’Anselmo d’Aosta per dimostrare l’esistenza di Dio.
Io consiglierei a Piergiorgio di leggere i santi dottori della Chiesa, oltre a meditare sulla risposta del dottor Gnocchi.
Caro Piergiorgio, Nostro Signore aspetta ardentemente il suo Sì.
Proprio come quello di Nostra Madre, Maestra e Regina: la Beata Vergine Maria, proprio come quello dei Santi Apostoli che hanno abbandonato tutto per seguire Gesù, come quello dei Martiri e dei Santi che hanno sacrificato tutto per la loro salvezza e quella del mondo intero e che nella Tradizione Cattolica (universale) della nostra Fede hanno testimoniato fino alla fine la Verità, l’unica rivelata da Cristo sulla nostra esistenza.
Si lasci guidare dai fratelli nella fede che ci hanno preceduto in questa Tradizione viva fatta di sangue e carne, fatta di sofferenza e dolore, fatta di gioia e letizia, di lacrime e amore, di preghiera e sacrificio.
Preghi con cuore puro, umile e sincero la Madonna di donarle la forza di pronunciare quel Sì decisivo che cambia l’esistenza, che lava l’anima e la salva. Sia un uomo vero, si abbandoni alla Verità e si riconosca creatura bisognosa di redenzione perché l’uomo non salva se stesso.