La memoria del sacrificio e dell’eroismo degli Alpini e del Beato cappellano. Ricordi e vita di un’Italia sana che ancora esiste e produce frutti.
di Giovanni Lugaresi
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Perché tornare, con la mente, col cuore, che sono poi elementi fondamentali della memoria, a quell’evento così lontano nel tempo (e nello spazio), che fu la battaglia di Nikolajewka?
26 gennaio 1943: il gelo, le bianche distese senza fine di una steppa ostile, il nemico (quello che allora era “il nemico”) implacabile nella sua superiorità numerica, di mezzi, di armamenti, di equipaggiamento, da una parte.
E il resto, soldati laceri, fisicamente debilitati se non sfiniti, male armati (quando lo erano), malissimo equipaggiati, dall’altra.
La sacca e la prospettiva di restarci imprigionati, uccisi, o catturati, quindi mandati nei gulag, lungo quella strada del “davai” dove si cadeva congelati, affamati, sitibondi, e se non si moriva perché tutte le energie erano venute meno, si veniva finiti a colpi di arma da fuoco dalle guardie sovietiche.
Non ci si poteva fermare: davai, davai, avanti, avanti, appunto…
Ecco, tornare a quell’evento con mente e con cuore significa oggi, oltre che rievocare una pagina di storia, rendere omaggio a quegli sventurati vittime di una campagna di guerra insensata – quanto meno – e nella quale, non di meno, compirono il loro dovere.
Omaggio a quei Caduti che si aggiunsero a chi li aveva preceduti, soprattutto sul fronte del Don tenacemente, caparbiamente tenuto, dalla Divisione Julia, fino a quando non era giunto l’ordine di ripiegamento.
Gli eventi epici di quella campagna di guerra si possono riassumere in tre momenti:
la carica del Savoia Cavalleria a Isbuschenskij (24 agosto 1942),
la disperata tenuta della Julia e della Cuneense (11 dicembre 1942-15 gennaio 1943) sul Don,
l’epica sortita della Tridentina (26 gennaio 1943) al grido del suo comandante generale Luigi Reverberi, per rompere l’accerchiamento, l’uscita dalla sacca, e la rinata speranza di poter tornare a baita.
C’è una letteratura, oltre alla storia, retaggio di quegli eventi: Egisto Corradi, Mario Rigoni Stern, Eugenio Corti, Aldo Corti, Enrico Reginato, don Giovanni Brevi, Luigi Venturini, Carlo Vicentini, Nuto Revelli, Giulio Bedeschi, per fare un po’ di nomi. Tutti testimoni-protagonisti a un tempo.
E ci sono personaggi che in quell’evento hanno lasciato un segno: da don Carlo Gnocchi a fratel Bordino, i due beati che si sono aggiunti, a distanza di anni, al primo santo alpino, don Secondo Pollo, caduto in Grecia.
Di don Gnocchi, poi, il 28 febbraio prossimo ricorderemo il sessantesimo della morte, un anniversario particolarmente emblematico, anche nell’attualità, per un collegamento agli eventi della campagna di Russia.
Se infatti l’Ana è tuttora impegnata nella progettazione di quel Ponte dell’amicizia degli Alpini richiesto dalla pubblica amministrazione di Livenka (la vecchia Nikolajewka), con presenze significative: da Lino Chies di Conegliano a Cesare Poncato di Ponte nelle Alpi e, ovviamente, al presidente nazionale dell’Ana Sebastiano Favero, già protagonisti dell’Operazione Sorriso a Rossosch nel 1992-1993 (la costruzione dell’asilo nido-scuola materna dono delle Penne Nere a quella popolazione), ecco una sorprendete e meravigliosa novità.
Da quella Ucraina tormentata dalla guerra, dove i coniugi Filonenko di Kharkov hanno fondato l’associazione Emmaus per prendersi cura di ragazzini orfani e/o invalidi, è giunta la richiesta di tradurre in russo due libri di don Carlo: “Cristo con gli Alpini” e “Pedagogia del dolore innocente”, nonché di poter allestire una mostra che racconti la storia del santo sacerdote cattolico.
Perché e come tutto questo? Perché il nome e l’opera dell’ex cappellano della Tridentina erano emersi in conversari dei Filonenko con amici italiani che li avevano resi edotti della vicenda bellica e quindi dell’opera sorta per il bene dei mutilatini con protagonista don Carlo, appunto.
“Abbiamo bisogno di don Gnocchi, la nostra gente, la nostra patria ne hanno bisogno. Don Gnocchi è anche il ‘nostro’ santo” – sono parole espresse dai coniugi ucraini, i quali si propongo inoltre di far conoscere ai soldati della loro patria le vicende degli Alpini. Non ultima, sulle ali di un entusiasmo e di una devozione profondi per il nostro santo, il desiderio di poterne avere una reliquia per la chiesa locale.
Crediamo che nella memoria-storia di Nikolajewka 73 anni dopo, possa (debba) avere parte anche questa notizia. Perché rappresenta un retaggio all’insegna del sacrificio, del dolore, e di uno spirito di amicizia, di fraternità, che oggi può esistere fra due popoli. E pure perché dimostra come a volte le vie del Signore (che sono infinite) possano incontrarsi con quelle degli Alpini.
7 commenti su “Ricordando Nikolajewka (1943) e don Carlo Gnocchi (1956) – di Giovanni Lugaresi”
La richiesta di questi coniugi sembra un fatto d’altri tempi: un esempio per noi italiani, così dimentichi di questi bei gesti. E vedremo se per il 60° della morte di don Gnocchi vi sarà un’eco ufficiale da qualche parte.
non fu ‘una guerra insensata’, visto che l’Armata Rossa, secondo le recenti rivelazioni storiche, stava per invadere la Germania e con essa tutta l’Europa occidentale. I sacrifici di quegli Alpini, impedirono all’Italia di finire sotto il tallone sovietico.
Spero di finirci ora…..
Amaro auspicio, comprensibile se espresso da chi, e anche da me, si sente schiacciato dal pesante tallone dell’europa (voluta la minuscola) massonica e libertaria, per cui liberticida.
“Signore da chi andremo, Tu solo hai parole di Vita Eterna….”
Mi unisco a Sergio nel sottolineare come schiaccianti evidenze storiche dimostrino oggi che la guerra sul fronte Russo, lungi dall’essere un suicidio dettato dalla megalomania hitleriana, fu di fatto una guerra difensiva dell’Asse, che impedì un’Europa totalmente sovietica già negli anni ’40. Anche per questo, e per molto altro, dovremmo essere grati alle genrazioni italo-tedesche di allora (le ultime con un po’ di attributi).
Paola, capisco l’ironia del Suo intervento, ma creda, nessun tallone è gradito. Anche se la Russia di oggi grazie a Dio non è l’URSS di allora.
Forse Paola, azzardo, si riferisce al tallone massonico di questa europa (ancora la minuscola, è d’obbligo) insensata e dissennata.
la Federazione Russa di Putin, non è l’unione sovietica di stalin. Essa si ispira ai valori cristiani, l’urss all’ateismo di stato.