Ripercorriamo passo passo la storia non proprio edificante di come il gender sia entrato ufficialmente nella scuola, col sigillo dello Stato totalitario rivestito di diritti di vari colori, con tendenza predominante verso l’arcobaleno. Un ben articolato imbroglio coronato da un atto di amministrazione generale, sottratto a ogni controllo parlamentare e popolare.
di Patrizia Fermani
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Con la “buona scuola”Il governo Renzi ha trovato il modo di realizzare il micidiale programma “educativo”ispirato all’idea del gender, di cui ora tanto si discute, senza dare troppo nell’occhio. È stato messo a punto un meccanismo legislativo anomalo, capace di stendere sui propri contenuti reali quella cortina fumogena che è servita a suo tempo ad ottenere la fiducia del parlamento, e a rassicurare e ammansire per interposta diplomazia vaticana persino la massa che era scesa fiduciosa a Roma con baldanzosa sicurezza, ignara di avere fatto un viaggio inutile perché i giochi erano già fatti e ad essa era stato affidato solo il compito di indossare la maschera beffarda della democrazia.
Ma molte famiglie che hanno già visto il sopruso consumato ai danni dei più piccoli, nella indifferenza delle autorità scolastiche di ogni ordine e grado, non si sono rassegnate. Ecco allora, di fronte alla irriducibile resistenza di queste, la affannosa campagna propagandistica governativa messa in campo per sedare ogni ansia. Battono città e campagne onorevoli e uomini di pensiero, rappresentanti del clero e del terzo stato impersonato da una falange di psicopedagoghe che vantano competenze scientifiche ad ampio spettro. Tutti impegnati a garantire i vantaggi formativi della nuova scuola, priva di inquinamenti ideologici.
Eppure in questa sequenza desolante e apparentemente marginale della vita collettiva si riassumono gli aspetti di una inaudita deriva culturale, etica, politica, legislativa e financo religiosa in cui un’intera società sta affondando senza eccessivo clamore. E per averne un quadro adeguato occorre ricapitolare a grandi linee le varie fasi che l’hanno preceduta.
Tutto nasce come sappiamo quando un oscuro medico di Baltimora, cultore anche di psicologia, ha l’opportunità di sperimentare concretamente su un bambino la propria idea che sia possibile costruire l’identità dell’individuo, cioè il suo “genere”, indipendentemente dal corredo sessuale con cui si presenta alla nascita. Egli è il padre riconosciuto di questa teoria demenziale che non avrebbe fatto fortuna se il seme relativista e libertario non avesse già attecchito da tempo. Ma soprattutto se essa non fosse tornata utilissima ai sempre più potenti movimenti omosessualisti e al femminismo radicale esploso nelle follie sessantottine. Infatti, se ciascuno è libero di inventare il proprio genere, l’omosessualità diventa una forma normale della sessualità, mentre la donna può liberarsi a buon diritto dai ruoli legati alla maternità e alla famiglia.
Inoltre questa strana idea ora può servire egregiamente anche il grandioso progetto geo politico di controllo della compagine umana, che i poteri sovranazionali intendono attuare per arrivare, attraverso la demolizione della famiglia, quale recinto di autonomia e libertà morale, alla costruzione di un immenso allevamento di umanidi, riproducibili all’occorrenza in laboratorio, dopo accurata selezione.
L’idea di Money è tanto appetibile che comincia ad essere inserita sotto traccia nelle conferenze internazionali organizzate dall’Onu su temi che si prestano ad ospitarla sotto mentite spoglie. Il termine “gender”compare già negli atti della conferenza di Nairobi del 1985 sulle donne, in quella del Cairo sulla popolazione, e finalmente torna martellante negli atti preparatori e nei documenti ufficiali della conferenza di Pechino ancora sulla donna.
Fin qui si lavora sul piano culturale, si forgia il linguaggio e con esso i conseguenti modi di pensare, vengono arruolati i mezzi di comunicazione. Ma una volta dissodato il terreno si deve entrare nelle stanze della politica e quindi nelle leggi. Se l’educazione di stato è il primo obiettivo di ogni regime totalitario, il progetto di controllo globale della popolazione, che mira alla demolizione della famiglia attraverso l’indifferentismo sessuale, punta ora all’educazione delle nuove generazioni che a questo fine dovranno essere sottratte alla famiglia.
L’unione Europea, il potere totalitario senza volto e senza responsabilità che rappresenta solo se stesso, impone già la cultura dell’aborto libero, della eutanasia, della fabbricazione degli umani in laboratorio, la decostruzione dei modelli famigliari. Ma ora elabora anch’essa il proprio progetto educativo ispirato all’indifferentismo sessuale che deve essere imposto in qualche modo agli stati membri. Non è un caso che nella miriade di dispendiose commissioni che si occupano dei temi più disparati in nome dell’UE, non ve ne sia nessuna dedicata alla famiglia. Tutte le formule del repertorio genderista cominciano ad entrare negli atti della comunità europea. Così nel progetto di Costituzione europea del 2004 l’orientamento sessuale, che è la “direzione affettiva e sessuale verso altre persone”che non sopporta limiti di sorta, e apre la strada anche alla pedofilia, figura accanto agli altri motivi della non discriminazione imposta dal principio di uguaglianza. Sappiamo che la Costituzione bocciata nel 2005 da alcuni stati membri viene riproposta pressoché inalterata col Trattato di Lisbona felicemente sottoscritto anche dall’Italia, ed entrato in vigore nel 2008. E anche qui, all’articolo 10 del titolo II, ritorna il riferimento alla lotta contro le discriminazioni fondate “sull’orientamento sessuale”.
Peraltro nello stesso Trattato, con il quale abbiamo rinunciato di fatto alla sovranità nazionale, agli artt. 3 e 4 del Titolo I, vengono tuttavia elencate le materie di competenza esclusiva degli stati membri, fra cui figura l’istruzione. E questo dovrebbe bastare per impedire condizionamenti di sorta da parte dell’UE in tema di istruzione e di sistemi educativi. Ma all’articolo 6, è anche previsto che l’UE possa “svolgere azioni intese a sostenere, coordinare, o completare l’azione degli stati membri”. Di qui si apre la porta ad un vero e proprio martellamento da parte dell’Unione Europea che attraverso i propri organismi proteiformi, cerca di imporre impunemente il nuovo modello “educativo” di cui il “genere” è diventato il perno concettuale.
Esso è anche il leit motiv di un linguaggio ambiguo quanto perentorio. Oltre all’orientamento sessuale, si insiste ossessivamente sulla “identità di genere”, la “discriminazione di genere”, e la “violenza di genere”: tutto un linguaggio fatto di locuzioni rituali ripetute fino allo sfinimento nei documenti ufficiali.
Si susseguono le famose “raccomandazioni” di varia provenienza (Parlamento, Consiglio dei ministri, Commissione ecc.) che pur non giuridicamente vincolanti, producono un fortissima suggestione alimentata dalle eterne quinte colonne del progressismo d’accatto promotore dei modelli di “civiltà”altrui, che le enfatizzano attraverso gli zelanti mezzi di comunicazione. Si crea così nella opinione pubblica, abituata a sentire sul collo su altre materie lo scarpone del dettato europeo, il senso che esso abbia una forza ineluttabile.
La pressione da parte dell’UE è dunque sempre più forte e sempre più alimentata dal postcomunismo che per giustificare la propria sopravvivenza alle disfatte della storia, si è gettato a capofitto nella decostruzione etica della società, e nella messinscena dei “diritti” a contenuto di fantasia.
La carta fondamentale di questa prospettiva “culturale” e politica, viene emanata il 31 marzo 2010 dal Comitato dei Ministri composto dai ministri degli esteri degli stati membri, che emette una Raccomandazione con cui si invitano i rispettivi governi a prendere tutte le misure dirette a “combattere la discriminazione fondata “sull’orientamento sessuale” o l’identità di genere”, con particolare riguardo alla Istruzione (art. 31 del relativo Allegato), e a far sì che gli allievi non soffrano discriminazioni fondate “sull’orientamento sessuale” o “sull’identità di genere”. Il perno su cui deve ruotare la nuova “educazione”, dunque proprio l’ideologia del “genere”, con la relativa imposizione della cultura omosessualista e neo femminista. Le formule usate sono quelle fatidiche di un linguaggio ormai inequivocabile.
Ma su questo mare ideologico desolante spicca minaccioso l’incredibile invito a legittimare di fatto la pedofilia. Tale è l’inaudito contenuto dell’articolo 18 che basta da solo a dimostrare la vicinanza tra omosessualismo e pedofilia nell’orizzonte culturale dell’UE e quali siano i relativi perversi orientamenti propagandistici.
Nello stesso anno viene firmata da dieci stati fra cui l’Italia la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Gli stati firmatari si impegnano a combattere ogni forma di violenza, le discriminazioni, le disparità di trattamento. Non mancano riferimenti all’analfabetismo, alla impossibilità di accedere ai gradi di istruzione, alle mutilazioni dei genitali, che riguardano le donne. L’idea di fondo è che tutto questo deriva essenzialmente dalla condizione di inferiorità socio culturale, cioè che è una conseguenza del genere in cui è stata ingabbiata la donna, di una subordinazione anche psicologica e culturale che deve essere rimossa in quanto causa primaria della violenza nei suoi confronti. Il quadro di riferimento è senz’altro relativo a società lontane ormai anni luce da quelle occidentali, ma non importa. L’importante è fare entrare, dietro il paravento di culture che vanno riscattate dalla barbarie, l’idea che ci sia bisogno di un riscatto culturale universale modellato sull’idea del “genere”. Occorre far passare l’idea che la donna deve disfarsi di un armamentario di valori negativi che la mettono in qualunque latitudine in una condizione di inaccettabile inferiorità, da cui scaturisce la violenza.
Infatti si chiarisce già nel preambolo come “l’uguaglianza di genere de jure e de facto, sia un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne” e si riconosce “la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere”. La relativa ideologia del gender, giocata sul versante femminista, c’è tutta. Non mancano all’articolo 14 indicazioni educative circa i ruoli di genere “non stereotipati”. Tutto quello che serve all’occidente per staccare la donna dalla maternità e dalla famiglia. Ma il genere è anche quello sessuale scelto liberamente, quindi le indicazioni “educative” possono servire agevolmente anche per il promovimento dell’agenda omosessista. Il congegno è tanto sofisticato quanto funzionale.
Infatti è vero che a prima vista l’impegno assunto dal nostro stato potrebbe apparire ozioso poiché le nostre leggi, al riparo dell’articolo 3 della Costituzione, garantiscono già tutto quanto la Convenzione intende garantire, e la realtà sociale riguardante le donne è agli antipodi rispetto a quella sulla quale sembra modellata la Convenzione. Ma in realtà, questa viene sottoscritta per diventare la fonte privilegiata capace di nascondere dietro al surreale piagnisteo neofemminista l’ideologia genderista. E d’ora in poi, quando converrà camuffare l’imposizione del modello omosessualista in campo educativo, si metterà l’accento, come vedremo, proprio sulla necessità di combattere attraverso l’educazione la violenza di genere, quella che si scatena contro le donne, in ragione di una atavica condizione di assoggettamento fisico e psicologico.
La nuova società omofemminista, che decostruisce la famiglia, presuppone la distruzione di valori consolidati. Una espressione minacciosa come “abbattimento degli stereotipi di genere”, “convinzioni” e “tradizioni”, che denuncia da sola un feroce programma totalitario, viene mutuata tale e quale da ogni successivo programma e discorso politico che miri alla rieducazione del popolo. Questa formula diventa il cuore dell’ineffabile DDL messo in piedi dalla senatrice Fedeli e accolto totalmente, per bocca della stessa autrice, come vedremo, dalla “innocua” legge renziana sulla scuola.
Ma prima il progetto educativo “genderista” è stato introdotto dal governo Monti in articulo mortis attraverso un ”Protocollo di intesa” del gennaio 2013, tra il Ministro della pubblica istruzione, Profumo, e la delegata alle Pari Opportunità, Elsa Fornero, che sforna la “Strategia Nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, appaltata alle 29 associazioni LGBTQ, fra le quali figura anche il circolo ”Mario Mieli”, accreditate presso il proprio dicastero.
La Strategia, priva ovviamente di qualunque forza normativa, costituisce però di certo un cuneo poderoso per la penetrazione dell’ideologia omosessista nella scuola. È una sorta di manuale, di indottrinamento, che accoglie virtualmente la famigerata Raccomandazione dei ministri del 2010, predispone anche il supporto per così dire concettuale, il quadro sociologico e traccia le linee di un paradossale sistema educativo tutto incentrato sui “valori”dell’omosessismo.
Con l’Intesa il Miur si impegnava a “favorire la diffusione nel mondo della scuola dei progetti educativi elaborati in collaborazione con il dipartimento delle pari opportunità”. Dunque alle scuole è arrivato, già dai primi mesi del 2013, il completo libretto di istruzioni per l’educazione all’omosessismo e in via complementare al femminismo genderista.
Ma nell’estate il parlamento crede di dovere onorare praticamente l’impegno preso con la Convenzione di Istanbul, e sforna il decreto, diventato lo strumento preferito per eludere il normale esercizio della potestà legislativa, poi convertito nella legge 119, che crea i nuovi assurdi reati qualificati dal sesso della vittima. Abbiamo il “femminicidio”, monstrum giuridico che ha sacrificato alla ideologia politica i principi più elementari del sistema penale. Ma non basta. Per realizzare una prevenzione efficace si prevede, al famoso articolo 5, che verrà stilato un “Piano si azione straordinaria contro la violenza sessuale e di genere”, di cui si indicano i contenuti di massima. Ma la norma rimane ferma su un binario morto perché del piano previsto e di una sua articolazione dettagliata non si ha più notizia fino alla fine del 2014, quando ne viene pubblicata una versione sul sito del Dipartimento delle pari opportunità, aperta alle osservazioni dei lettori occasionali ritenuti capaci di soddisfare da soli ogni esigenza di controllo democratico.
Intanto la legge che si autodefinirà della buona scuola che è stata approvata alla Camera non contiene un proprio programma educativo ma si rimette a questo fine, al piano preannunciato dalla legge 119, anche se non ancora formulato. Insomma la buona scuola fa proprio, a scatola chiusa, il piano educativo che la legge sul femminicidio ha previsto per prevenire la violenza contro le donne, con un obiettivo specifico dunque che a ben vedere avrebbe a che fare più con la politica criminale visto che nasce sul terreno particolare della legge penale, che prevede un reato particolare. Ma tant’è. L’orizzonte educativo della scuola sembra doversi concentrare tutto sulla violenza vera o presunta ai danni di un tipo eletto di vittime.
Della anomalia giuridica della legge 119 pare che nessuno si sia curato dato che è stata votata a larghissima maggioranza, quindi anche da onorevoli provvisti di una qualche conoscenza dei principi del diritto penale che normalmente punisce i fatti lesivi nella loro oggettività giuridica e non in ragione della qualità del soggetto passivo. Tuttavia a questa anomalia iniziale, si aggiunge il paradosso di una legge come quella sulla scuola che avocando a sé anche fini educativi, li riassume in una sorta di agenda femminista rafforzata dal tema suggestivo della violenza sulle donne. Ma in realtà le cose sono di fatto ancora più paradossali ed inquietanti. Infatti, come abbiamo visto, già nella Convenzione di Istanbul che ha ispirato la legge sul femminicidio, fra tanto parlare della violenza sulle donne, e su tante forme di svantaggio sociale, si parla anche qua e là anche di violenza di “genere” e affini, e l’auspicata azione educativa abbraccia per implicito anche le categorie solidali con quella delle donne e bisognose dello stesso intervento difensivo previsto per esse in fatto di “discriminazioni” dovute al ”genere” di appartenenza.
In altre parole gli estensori della legge sulla scuola quando hanno previsto l’adozione a scatola chiusa del piano educativo promesso dalla legge 119 erano perfettamente consapevoli di quello che esso avrebbe contenuto. Erano consapevoli cioè di poter fare entrare la educazione genderista nella scuola facendola penetrare di soppiatto e a tempo debito, da una porticina di servizio, da aprire magari nottetempo all’insaputa di tutti. La manovra ricorda in tutto il gioco dei prestigiatori di un tempo, capaci di nascondere il coniglio nel cilindro fino all’ultimo momento.
Ecco dunque che il programma ancora in pectore era già stato destinato prima della nascita a soddisfare e due prospettive diverse, quella della prevenzione del reato previsto dalla norma sul femminicidio e quella della educazione scolastica. Un po’come i fanciulli che venivano promessi in matrimonio già dalla culla. Particolare non da poco, che tuttavia scopre la presenza prepotente di un’unica ideologia da imporre ovunque nella sua grammatica consolidata.
Infatti il piano viene poi redatto all’interno del Dipartimento delle pari opportunità dove sappiamo che albergano le 29 associazioni LGBT. Ufficialmente non ha una paternità istituzionale e una sostanza giuridica definita. È un atto di amministrazione generale congegnato per sfuggire alla discussione parlamentare. Dopo la lunga gestazione sfuggita all’attenzione generale, Giovanna Martelli annuncia sempre via internet che esso ha visto la luce felicemente e che verrà presentato il 7 maggio alla presidenza del Consiglio, cioè una stanza più in là della propria. Un paio di giornali informati lo pubblicano e qualcuno si accorge che l’allegato B è incentrato sulla educazione al “genere”. Tutto si è svolto secondo copione. Però il 20 maggio c’è grande afflusso di popolo per impedire l’ingresso della ideologia genderista nella scuola. Il popolo viene rassicurato e rispedito a casa, come se nulla fosse. La legge passa felicemente al senato mentre del piano cui essa rinvia si sono già perse le tracce. Sarebbe curioso sapere quanti di quelli che l’hanno votata sanno di avere votato anche “il Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”, compreso l’allegato B) sull’educazione. L’estate torrida incombe su tutto. Il Piano riemerge nella calura per ricevere il crisma del decreto presidenziale il 7 luglio. Una settimana dopo la legge della buona scuola è entrata in vigore.
Questa è la storia non proprio edificante di come il gender sia entrato ufficialmente nella scuola, col sigillo dello Stato totalitario rivestito di diritti di vari colori, con tendenza predominante verso l’arcobaleno.
Il resto è storia recente. Le famiglie sono sempre più allarmate perché da tempo hanno cominciato a leggere i libretti perversi che occupano ormai le scaffalature scolastiche ma anche quelle delle librerie “cattoliche”. Cominciano a circolare progetti inquietanti, si teme che quanto di peggio è già stato fatto continui ad essere fatto senza trovare ostacoli, anzi anche col crisma della sedicente buona scuola.
Parte la campagna di controinformazione da parte del Ministero. La ministra Giannini, mentre vanta la santa alleanza con il vescovo di Padova che non c’è, nega la presenza nella legge della teoria del gender che c’è e minaccia azioni legali contro quelli che affermano l’esistenza stessa di una teoria che sempre secondo lei non c’è.
Di alcune sequenze della truffaldina campagna normalizzatrice in atto si è già parlato su queste pagine, per altre successive rimandiamo, a Dio piacendo, a prossimi articoli…
6 commenti su “Gender e legge sulla “buona scuola”. Come ingannare un popolo con tecniche da stato totalitario – di Patrizia Fermani”
Pare che Valeria Fedeli sia stata intervistata per radio a “Un Giorno da Pecora” del 28 settembre 2015 su buona scuola e unioni civili. Ci sono ammissioni interessanti,
Qui Youtube:
https://youtu.be/mPQfUqzv9Qw
Qui il podcast:
https://www.youtube.com/watch?v=mPQfUqzv9Qw
O è un audiomontaggio, o la signora, parlando “ai suoi”, si è tradita clamorosamente.
Non che qualcuno dubitasse, ma almeno così l’ha detto lei, forte e chiaro.
Alla faccia della Giannini.
Se non ci fosse da piangere, riderei.
gentile lettrice, come preannunciato nell’articolo, mi riprometto di illustrare al più presto l’orizzonte socio culturale e giuridico della sen. Fedeli, quale emerge dalle sue performances in difesa “della buona scuola”. le anticipo, come risulta anche dal video, che secondo la signora l’articolo 3 della Costituzione si riferisce anche all’orientamento sessuale. Quando l’ho sentita di persona dire questo ho pensato ad un lapsus freudiano. Invece è chiaro che ha una edizione sua personale della Costituzione. Inoltre pensa che il principio di non discriminazione non sia rivolto dall’articolo 3 al legislatore ordinario che non deve fare leggi discriminatorie, ma ai comuni cittadini ai quali sarebbe evidentemente interdetto scegliere ad esempio un collaboratore secondo il criterio che vogliono. Poi spiega ossessivamente che genere non è gender, e come abbiamo sentito, che le donne sono discriminate ancora in Italia in quanto donne: lei stessa ne è l’esempio vivente. Perciò merita un articolo a parte
Grazie. Leggerò con interesse.
L’avvocato Amato ci ha aperto, con il suo libro, la finestra sull’argomento.
Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta, con “UNI SEX, la creazione dell’uomo senza identità”, Arianna Edizioni, ci fa vedere da dove viene il Gender e verso quali evoluzioni spaventose ci vogliono portare. Gli autori? A mio parere sono “satanisti”, in quanto una simile aberrazione antiumana e antinaturale può essere solo opera di Satana. Nel libro ci sono gli autori di questo piano malvagio, nomi noti della ricchezza e della politica mondiale, nel quale piano perfino parte della Chiesa ci sta cascando. Ma, non c’era Giuda tra gli Apostoli?
Qui una scheda:
http://www.ariannaeditrice.it/vetrina.php?id_macrolibrarsi=71691
Grazie per l’articolo che stiamo già diffondendo anche all’estero. La pubblicazione di articoli a tappe è un’ottima idea che lascia alla gente il tempo per approfondire e acquisire nozioni preziose per una corretta argomentazione su questa tematica così intricata. Grazie ancora, la tieniamo sempre nelle nostre preghiere.