“Musica e Concilio” di Emidio Papinutti  –  recensione di Giovanni Lugaresi

di Giovanni Lugaresi

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zzzzppdavnCorrevano i primi anni Novanta del secolo scorso e ancora nelle redazioni dei giornali il notiziario dall’estero lo si riceveva soprattutto attraverso le agenzie, Ansa in primis. E fu veramente un “avvenimento” quello di leggere, nella redazione Cultura del Gazzettino, una notizia inaspettata: il canto gregoriano inciso dai monaci spagnoli di Santo Domingo de Silos furoreggiava nel mondo. Dischi, audiocassette, CD con quelle note e quelle parole che vengono dalla lontananza dei secoli, andavano a ruba, interessavano, appassionavano i giovani.

Se ne arguì che, uscito dalle porte delle chiese in un post Concilio Vaticano II caratterizzato da una pressoché generale anarchia liturgica, quel canto entrava in tantissime case, ascoltato, accettato, ammirato, amato, da milioni e milioni di persone. Un fenomeno che andava al di là delle mode correnti. Del resto, quel canto ha sfidato, appunto, i secoli, se ancora oggi lo si ascolta e se fa discutere. Si tratta indubbiamente di una ricchezza religiosa e culturale, di un “modo” in cui l’anima può veramente elevarsi da creatura al suo Creatore. Non a caso, nei monasteri, nelle abbazie, dove ancora quel canto non è stato cacciato, ma sempre ha avuto dimora, tenuto in sommo onore, chi vi capita resta sorpreso, conquistato, letteralmente. Perché si tratta, in primis, di una controtendenza rispetto a quello che il mondo offre, e a quello che (purtroppo) anche tante chiese offrono: suoni, motivi che oggi vanno e domani non più; le mode infatti mutano, ma i grandi valori restano.

Queste considerazioni fatte più volte, al di là del successo mondiale di quelle tali incisioni dei monaci spagnoli di cui si è detto, trovano adesso conferma in un libro di alto spessore. Si intitola “Musica e Concilio”, sottotitolo: “Un bilancio dopo cinquant’anni dal Concilio Vaticano II”, a scriverlo, un “addetto ai lavori”: il frate minore friulano padre Emidio Papinutti; l’ha pubblicato un editore di nicchia specialista della e nella musica sacra: Urban di Saronno (pagine 177, Euro 12,00).

Papinutti è un grande esperto in materia: per vent’anni organista della basilica di San Pietro, è stato anche missionario in Guatemala, nonché segretario generale dell’Associazione Italiana Santa Cecilia.

Testimone del Concilio (ha 88 anni), ne ha saputo vedere e valutare gli atti, le decisioni, gli effetti, e non nasconde, anzi sottolinea come tutto ciò che è avvenuto e continua a verificarsi nella liturgia in quanto a musica sacra, sia ben distante da quanto stabilito dalla assise della Chiesa aperta da Giovanni XXIII e conclusa da Paolo VI.

“Musichette e musicacce”, come lui le chiama (il maestro Riccardo Muti parlò e scrisse di “canzonette”), che si ascoltano in tante chiese, non erano certo previste dalla Riforma liturgica, la quale al contrario raccomanda di tenere in gran conto la musica sacra dei secoli che ci hanno preceduto: Gregoriano, dunque, e Polifonia.

Non è dando spazio a musichette e musicacce, appunto, che si favorisce una maggiore partecipazione (“attiva”) del popolo alla liturgia. Tanto è che se prima del Concilio i fedeli cantavano, eccome se cantavano, con i nuovi motivi si canta sempre meno. E poi: quale ”partecipazione attiva”? L’autore sottolinea la partecipazione interiore, che è poi quella che conta, perché tanti bla-bla fra sacerdote e fedeli non sono certamente preghiera. Sono soltanto bla-bla, e niente altro.

Padre Papinutti ripercorre l’iter della Riforma liturgica dall’apertura del Concilio ai giorni nostri, sottolineando (sine ira ac studio) i tralignamenti compiuti e le vere e proprie persecuzioni compiute nei confronti di chi avrebbe voluto mantenersi in sintonia proprio con ciò che il Concilio aveva raccomandato e che i neomodernisti, o progressisti, come si preferisca chiamarli, invece, hanno inesorabilmente distrutto – il ruolo del “riformatore” Bugnini vi ha la sua parte.

Non diversamente, viene a noi da aggiungere, tanti mutamenti apportati nelle celebrazioni della messa, nella ubicazione di altari e tabernacoli, e via elencando, le vergognose libertà (abusi) che preti e frati si sono presi in nome di un non ben chiaro, definito, “spirito del Concilio”, che è il “loro” spirito, non del Concilio!

Padre Papinutti ha come pezze d’appoggio al suo dire i documenti conciliari, le dichiarazioni di papi, passate e recenti: da Pio X e Pio XII a Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

Non nega, lo studioso francescano, la necessità di nuove composizioni valide e cita degli esempi. “Il Concilio di Trento ha avuto il suo Pierluigi da Palestrina. Lutero per la sua Riforma si è avvalso di buoni musicisti, come Johannes Walther. All’inizio del secolo scorso Pio X, col suo motu proprio ‘Tra le sollecitudini’, ha operato una riforma radicale della musica liturgica, ma ha avuto Lorenzo Perosi che ha tradotto i principi proclamati dal Papa. Oggi non resta che aspettarci un nuovo Palestrina, un nuovo Perosi, che dia voce alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II”…

Già, ma all’orizzonte non se ne intravedono le ombre; all’orizzonte ci sono le messe rock, rap, e via elencando, che più che avvicinare a Dio, a innalzare l’anima, avvicinano a qualcosa d’altro. Infatti, oggi non c’è nessun Claudel che si possa convertire entrando in una chiesa ed ascoltando la musica sacra, perché raramente nelle nostre chiese è dato ascoltarla… la musica veramente sacra!

P.S. Vale ricordare agli immemori l’appello rivolto da intellettuali cattolici e laici a Paolo VI in pro del canto gregoriano. Erano Maritain e Mauriac, Borges e Graham Greene, Segovia e Del Noce, Montale e Quasimodo, Cristiana Campo e Zolla, Marcel e Salvador de Madariag, Devoto e Contini, Paratore e Bassani, Luzi e Piovene, per fare un po’ di nomi…

1 commento su ““Musica e Concilio” di Emidio Papinutti  –  recensione di Giovanni Lugaresi”

  1. L’attuale situazione musicale e liturgica si può sintetizzare cosi: devastazione e brutture . Idem l’architettura postconciliare: ma come è possibile che non se ne accorgano? Se è vero che il vero, il bello ed il buono convergono, il post concilio evidenzia che è vero anche l’opposto

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