di Il Recensore
Il cardinale Carlo Maria Martini ha di recente pubblicato un piccolo libro sulla figura del vescovo intitolato “Il Vescovo”, Rosenberg & Sellier, pp. 92, E. 8,50, 2012. Ne anticipava l’uscita il laicista Corriere della Sera del 22.1.2012 a p. 28, pubblicando alcuni brevi estratti dell’opera (sul tema dei “non credenti” e dei “poveri”) a fianco di uno sperticato quanto generico elogio della stessa da parte del neoeletto vescovo di Novara.
Tralasciamo il tema dei “non credenti”. Il cardinale, a quanto se ne sa, non ha mai convertito nessuno al Cattolicesimo né risulta essersi mai speso per la Missione e la Conversione degli infedeli alla vera religione. Veniamo invece al tema, anch’esso non propriamente nuovo, dei “poveri”. Le aperture del cardinale al “sociale” sono note, quasi quanto le sue esortazioni affinché la Chiesa adotti un atteggiamento più “aperto” nei confronti dell’odierna libertà nei costumi e senza escluderne le forme più variegate, per così dire. Nell’estratto pubblicato, egli non dice nulla di nuovo se non in una frase che, forse per la prima volta, mostra il tipo di realtà che a lui piacerebbe veder trionfare come soluzione radicale del problema della “povertà”. Il suo discorso muove dal concetto (nemmeno questo nuovo, lo troviamo già negli eretici medievali) che la Chiesa, per aiutare i poveri, dovrebbe vendere le tante opere d’arte che ha in eredità (come se l’arte sacra non manifestasse con il suo splendore la gloria e l’onore che si devono rendere al vero Dio e come se di quest’arte non si fosse nutrito il genio artistico del popolo italiano). Ma la Chiesa, prosegue, è considerata responsabile di questo “tesoro” artistico e non può alienarlo, anche se costa caro mantenerlo. Bisogna dunque che se lo tenga. Al cardinale, certo, piacerebbe vendere tutto.
In queste riflessioni non riluce tanto l’amore per i poveri quanto l’odio del cardinale per la storia e la tradizione della Chiesa e dell’Italia cattolica; alimentato, quest’odio, anche dalla liturgia spoglia, arida, brutta e non cattolica, spopolatrice di chiese, inventata e imposta dai progressisti nell’applicare le “riforme” auspicate dal Vaticano II. Ma vediamo la conclusione cui egli giunge d’un balzo: “Certo non si può dire che nella nostra Chiesa, lungo la storia, ci siamo sempre attenuti con fedeltà al messaggio di Cristo. Il Signore ispirerà a ciascuno come regolarsi. Ma il problema rimane ed è molto grande. Forse sarà necessario attendere una invasione di persone venute da altre civiltà, che distruggano e in qualche modo facciano tabula rasa di tutto il nostro modo di vita. Sappia però ogni vescovo che se non mette in pratica le parole forti di Gesù sulla povertà, non solo riguardo agli edifici ma anche negli stessi metodi di evangelizzazione, non potrà contare sull’aiuto di Dio”. Sottolineatura nostra. Come si potrà risolvere il problema della “povertà”? Cercando, forse, di convertire individui e popoli al Cristianesimo, sì che si emendino dai loro vizi e il loro modo di vivere si avvicini il più possibile alla morale evangelica? No. Sarà necessaria un’invasione di “persone venute da altra civiltà”, che distruggano tutto, “facciano tabula rasa di tutto il nostro modo di vita” e quindi del popolo italiano, dell’Italia. Distruzione non semplicemente metaforica, com’è chiaro. Il “forse” è puramente retorico, com’è pure chiaro.
Questo è dunque l’augurio che il cardinale ha fatto agli Italiani per il 2012: un’invasione che, magari gradualmente, spazzi via tutto. Per ricostruire da zero con i nuovi venuti, si capisce, sotto la guida dei vescovi-ajatollah discepoli di Martini. È questo lo spirito con il quale Martini e quelli come lui tra il clero e il laicato progressista guardano alla valanga che sempre più ampia si sta abbattendo su di noi dal sud del Mediterraneo e dai Balcani? È questa la carità cristiana che siffatti “pastori” mostrano nei confronti del loro gregge? Che cosa abbiamo fatto, noi italiani, per meritarci anche questo tradimento da parte di un clero sempre più irriconoscibile?